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La purgazione dei templari di Piacenza del 1311: uno fu torturato e un altro derubato

Dal 17 al 21 giugno 1311 si svolse il procedimento che riguardava 88 articoli d’accusa elencati uno ad uno nella bolla papale del 12 agosto 1308 che andavano rivolti ad ogni singolo templare

Non è tutta rose e fiori la vicenda del processo ai templari di Piacenza, purtroppo per quei sette malcapitati che furono condotti sotto buona guardia armata a Ravenna per ordine di Rainaldo da Concorezzo. Da quel processo uscirono tutti completamente assolti dalle nefandezze mosse loro dagli inquisitori papali e questo per la giusta e umana condotta degli interrogatori dell’arcivescovo Rainaldo che a Ravenna proibì l’uso della tortura, cosa che invece fu ampiamente usata da altre parti e nonostante che i due inquisitori domenicani Nicolaus e Joannes volessero usarla ampiamente.

Dal 17 al 21 giugno 1311 si svolse il procedimento che riguardava 88 articoli d’accusa elencati uno ad uno nella bolla papale del 12 agosto 1308 che andavano rivolti ad ogni singolo templare e che abbiamo letto negli originali latini pubblicati. Dice il papa senza mezzi giri di parole che tutto “l’Ordine e ogni singolo Templare hanno commesso nefandi, scellerati orrendi crimini di eresia” e tra questi “super abnegatione videlicet Domini Salvatoris Nostri Jhesu Christi, et super nephanda, temeraria et presumptuosa et heretica conspuitione super ymaginem eiusdem Crucifixi” cioè “in più rinnegano la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, e tra le grandi perversioni senza timore e con cattivo orgoglio sputano sopra al Crocifisso”.  Con la parola latina “super nephanda” a quel tempo si alludeva anche alla sodomia, cosa anche questa della quale erano accusati e che però essi rinnegano nuovamente con la purgazione di Piacenza del 1311 “Item quod in receptione per se vel de se facta non docuit nec doctus fuit quod fratres dicti Ordinis possent carnaliter ad invicem commisceri”, cioè..."non ho indotto ne sono stato indotto a congiungermi carnalmente con i frati del mio Ordine”.sigillo dei templari-2

A processo il papa manda tutti i templari di qualsiasi grado o umile servizio e tutti devono dare la loro testimonianza all’inquisitore “in Ordine supradicto sacerdotibus, preceptoribus, militibus et servientibus” nessuno insomma la può passare liscia. I sette cavalieri templari piacentini erano fra Raimondo e Giacomo Fontana, i frati Mauro, Jacopo, Alberto e Guglielmo da Pigazzano e fra Pietro Caccia e tra questi Jacopo Fontana era stato addirittura precettore di S. Maria del Tempio di Milano e questo già dal 1304 come mostrano atti notarili milanesi dei Templari, insomma era un pezzo grosso tra i militi di Piacenza ed infatti come vedremo, sarà vittima di un ingiusto e illegale nuovo processo, violando palesemente le leggi inquisitoriali.

Dopo il loro ritorno da Ravenna da innocenti e pienamente assolti, gli ex-cavalieri si sottoposero all’ultimo atto formale cioè alla “purgatio” la purgazione che avvenne nel palazzo del vescovo a Piacenza e sottoscritta con atto notarile del 5 luglio 1311 il giorno dopo la festa di S. Antonino patrono cittadino e forse questa data non venne scelta a caso perchè significativa.

La purgazione è un atto molto importante da fare nella diocesi di appartenenza davanti al vescovo: il templare accusato di eresia e poi assolto, con questo ultimo interrogatorio nuovamente deve ammettere di non aver mai rinnegato Cristo, ne la Vergine ed i Santi e tra le altre tante cose di non aver mai e poi mai sputato sulla croce di Cristo “non abnegavit Christum... Deum... Virginem...” e “non spuit super Crucem”. Alla purgazione devono assistere per forza almeno sette testimoni, tra gli amici importanti dell’ex accusato “et quilibet eorum per se et singulariter cum septem clericis vel laycis, quorum nulli sint de dicto Ordine Templi, et qui sint fide catholici et probate vite” cioè i testimoni “siano per ogni purgante sette e presi sia tra i sacerdoti che i laici, e siano di fede cattolica e di vita provata, cioè senza macchia e non appartenenti all’Ordine del Tempio”.

I nostri militi infatti fecero degnamente questo atto e per ognuno ci misero la faccia i sette testimoni dei quali conosciamo nomi, cognomi e stato di vita ed ovviamente tutti di questa terra piacentina, per brevità a caso citiamo “Magister Jacobus de Burgo Medicus... Dominus Ghislerius de Bonifacio comes... Frater Petrus minister hospitalis Sancte Marie de Burgheto...” e tanti altri soprattutto sacerdoti e monaci di Piacenza dei quali si cita l’abitazione, la chiesa o il convento.

Il papa Clemente V che vive in Francia, dai suoi messi a cavallo riceve le carte del processo e immediata rimanda una lettera di fuoco a Rainaldo datata 27 giugno 1311, pensate dopo solo sei giorni dalla fine del processo con assoluzione piena e si lamenta che sia stato evitato con negligenza grave ed estrema l’uso della tortura: “per vos subiici debuerint questionibus et tormentis , quod minus prudenter quam et negligenter facere omisistis”.

Ma ecco che accade un fatto gravissimo, un anno dopo gli sgherri del vescovo di Lucca dopo il processo svolto contro i templari di quella città, catturano sulla strada verso Pontremoli (così deducono gli storici dando un paio di tesi sul fatto) il piacentino Jacopo da Pigazzano e lo sbattono in cella: il 24 ottobre 1312 verrà processato nuovamente nella curia di Lucca alla presenza dell’arcivescovo di Pisa Giovanni, del vescovo di Firenze Antonio e del canonico di Verona Pietro Giudice e stavolta non gli verrà risparmiata la tortura.

Puzza di vendetta questo fatto perchè l’ex milite del Tempio piacentino e gia precettore di Milano, è stato assolto formalmente a Ravenna ed ha pure fatto in curia a Piacenza l’atto della purgatio, appurare quel fatto sarebbe stato molto semplice ma tant’è e viene sottoposto al tormento della corda che consisteva nel venire appesi per gli arti e ogni tanto strattonati fortemente, causando dolori e traumi non irrilevanti.

L’accusato questa volta ritratta tutto e ammette le accuse di eresia: rinnegamento della Croce, sodomia e tutto il resto di depravazioni, e questo purtroppo grazie all’uso della tortura che spinse Jacopo da Pigazzano a far cessare quei dolori proprio confessando la colpa e la documentazione lucchese originale parla chiaro. E questo secondo processo fu un clamoroso atto di ingiustizia della Chiesa perchè era assolutamente previsto che un inquisito dopo l’assoluzione e l’innocenza acclarata non potesse più esser sottoposto a processo per lo stesso tipo di reato: a Lucca l’arcivescovo, il vescovo e l’inquisitore veronese per un motivo che toccherà agli storici scoprire, andarono contro legge senza pietà.

Un altro grave fatto è che nel 1314 l’ex milite templi il nobile Raimondo Fontana che nonostante il brutto affare cui era incorso, viveva come anche gli altri, vita agiata, viene assalito da Versuzio Landi e derubato della somma di ottanta fiorini d’oro e vien pure picchiato a sangue; dopo questo episodio gli sgherri assalgono la sua abitazione di Piacenza e la depredano di tutto e non contenti la incendiano. Le cronache del tempo che ci han lasciato gli storici narrano che Raimondo Fontana, vecchio e mai più ripresosi dai traumi fisici e dal danno ai suo beni, morì nell’arco di qualche tempo di crepacuore.

Questi anni che vanno dal 1308 con l’esproprio dei beni a Cotrebbia, a Fiorenzuola ed altri luoghi da parte dell’inquisitore, al 1311 con il processo di Ravenna e la successiva purgazione di Piacenza con assoluzione piena e gli episodi del 1312 con il processo illegale a Jacopo da Pigazzano e poi l’attacco personale del 1314 al vecchio templare Raimondo Fontana, sono uno spaccato di vita piacentina medievale interessante e curioso.

Umberto Battini

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