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Le nostre “storiche” supremazie naufragate dalle scelte di politica economica

Un viaggio tra Piacenza e Siena, un'occasione di meditazione sulla realtà culturale piacentina

La via francigena dopo Orio Litta giungeva, nella sponda lombarda, alla Corte Sant’Andrea dove i pellegrini attraversavano il Po e superando Calendasco giungevano a Piacenza, in alternativa proseguivano il cammino costeggiando il Po restando nella sponda lombarda e attraverso San Rocco al porto, giungevano comunque sempre a Piacenza, prima città emiliana ad accoglierli. Dopo avere attraversato la campagna piacentina si giungeva a Borgo San Donnino (Fidenza) e da lì ci si incamminava, attraverso l’attuale passo della Cisa, si superava l’Appennino per giungere a Sarzana e proseguire poi verso la Toscana. Da tenere presente in territorio piacentino dell’esistenza di una terza via. La cosiddetta via degli Abati che da Pavia, attraverso Bobbio, Bardi e Borgotaro giungeva a Pontremoli. Questa via percorsa dagli abati e dai monaci dell'abbazia di San Colombano fu preferita dai pellegrini irlandesi ed inglesi che intendevano venerare il Santo irlandese. In provincia di Piacenza, attraversava la val Trebbia e la val Nure, toccava Caminata, Coli e Farini. Quindi non ci rimane che ribadire il primato di Piacenza anche in questo: avere non una, ma tre vie francigene che da nord Europa conducevano a Roma.

Le maggiori città toscane attraversate dalla francigena sono state Lucca, la maestosa città dalle possenti mura, San Gimignano, la Sce Gemiane della la XIX tappa di Sigerico nel suo itinerario di ritorno a Canterbury ed infine Siena.

Eccoci arrivati nella città di Siena, dove lo spazio percorso, dall’essere partiti da Piacenza potrebbe considerarsi nullo. È strano ma i quattrocento e passa chilometri che allora si dovevano percorrere, perdono d’un tratto consistenza. Vediamone il perché.

Entrando in città da Porta di Camollia, seguendo l’antico percorso della via francigena, si attraversa via dei Banchi di Sopra fino alla diramazione, che sarebbe il suo proseguimento verso sud, con via dei Banchi di Sotto. Nell’incrocio con via di Città, si trova la cosiddetta Croce del Travaglio. Proprio in quel preciso punto si erge maestosa la Loggia della Mercanzia o dei Mercanti. Certo non poterono vederla i pellegrini che attraversarono quei luoghi prima del ‘400 essendo stata costruita nella prima metà di quel secolo. Ma è strano constatare, come due delle quattro statue poste nel loggiato rappresentino due vescovi piacentini: San Savino e San Vittore! Che sono tra l’altro due dei quattro santi protettori della città. Sia San Vittore che San Savino furono vescovi di Piacenza il primo dal 322 al 375, il secondo dal 376 al 420. Le reliquie di San Vittore, insieme a quelle del Santo Patrono della città si trovano nella chiesa di Sant’Antonino. La stessa Basilica, oltre ai due Santi, ospita anche la tomba di Lotario II, re di Lotaringia. Nella basilica di San Savino, sotto l’altare, troviamo invece i resti del vescovo cui è dedicata la basilica.

Ma torniamo a Siena, città con ben quattro protettori, di cui due vescovi piacentini, San Vittore e San Savino. Gli altri due sono Sant’Ansano anch’egli rappresentato in Loggia e San Crescenzio. Come se non bastasse i senesi, nel momento del bisogno, si posero anche sotto l’ala protettiva della Madonna (melius abundare). Si dice che lo sguardo dei santi rappresentati in Loggia sia rivolto verso Firenze, città rivale. Ma essendo rivolto verso via dei Banchi di Sopra, la via delle Banche, molti sono convinti che lo sguardo protettivo dei santi sia rivolto a protezione dei soldi dei banchieri, che erano poi i mercanti che avevano commissionato l’opera. A noi piace pensare che almeno lo sguardo di San Vittore e San Savino sia uno sguardo benevolo rivolto ad accogliere e consolare il pellegrino.

Ci sentiamo a casa, vedendo le statue dei due nostri vescovi santi. Ma ci sentiamo a casa ancora di più nel vedere nel loro gonfalone cittadino la lupa capitolina. Sostengono i senesi essere la loro città l’unica a fregiarsi della lupa a simbolo cittadino, come Roma. Sappiamo che le cose non stanno proprio così.

La lupa capitolina la troviamo nello stemma di Piacenza a simboleggiare la fondazione della città, prima colonia fondata dai romani nel lontano 218 a.C. La romanità della città è ribadita anche dall’altra metà dello stemma cittadino che rappresenta i colori della Legione Tebea, ai tempi di Diocleziano, dove militava anche Sant’Antonino. Oltretutto Calpurnia Pisone, ultima moglie di Cesare, discendeva da famiglia piacentina.

Quindi, oltre ai due vescovi, la lupa capitolina. Perché se è certa la fondazione di Piacenza, quale colonia romana, così non è per Siena che necessita di ricorrere alla leggenda secondo cui l’origine della città si deve ai figli di Remo, Senio ed Ascanio, che in fuga dallo zio Romolo, in groppa a due cavalli uno nero, l’altro bianco, giunsero a Siena, ecco così spiegati i colori della balzana: il nero ed il bianco.

Anche se Siena ha diversi monumenti che riproducono la lupa, non ne ha nessuna che riproduca perfettamente l’immagine della lupa capitolina come può essere il monumento di piazzale Roma a Piacenza, dove la lupa (ribadisco, riproduzione perfetta dei quella romana) è stata posta dall’architetto Berzolla, su due antiche colonne di granito provenienti da Palazzo Farnese, a ricordare la fondazione della città romana.

Dopo i moti risorgimentali Siena fu la prima città toscana, nel 1859, a votare l’annessione al Regno d’Italia. Piacenza, a seguito di un plebiscito popolare, già nel 1848, decideva l’annessione al Regno di Sardegna, perciò detta La Primogenita. Le analogie e le differenze sulle due città potrebbero continuare, credo che la bilancia comunque penderebbe dalla parte della città emiliana e della sua provincia.

Un esempio per tutti: l’integrità difensiva, la stabilità e l’omogeneità di un borgo medioevale come Vigoleno non ha nulla da invidiare ad un borgo come Pienza, dove il pesante intervento operato da Papa Pio II, stravolgendo un piccolo centro come Corsignano, ha rischiato e rischia di far franare a valle, l’intero abitato.

Nonostante tutto, se noi andassimo oggi a verificare il riconoscimento del patrimonio storico-culturale per le terre senesi, troveremmo: Il centro storico di Siena, centro storico di Pienza, la Val d’Orcia. E se provassimo a verificare i siti riconosciuti per Piacenza? No, meglio di no, visto che non si riesce ancora oggi a rendere fruibile nemmeno il Castello di Pier Luigi Farnese!

Piacenza ha posto la propria candidatura a capitale della cultura 2020, esclusa, si illude di occupare un posto al sole nell’essere gregaria di Parma… oppure di promuovere una mostra (avulsa dal territorio piacentino) su Annibale, in spregio al “Vigile scolta tra i barbari vinti”…ma, basta non scoraggiarsi perché qualche riconoscimento Piacenza riesce comunque ad averlo, grazie alle scelte politiche a favore di uno sviluppo economico fondato sulla logistica: peggiore qualità dell’aria e la maggiore impermeabilizzazione del suolo.

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