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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Macché "Sasso di Piacenza", la città antica ha per culla ciotoli e detriti del Trebbia

La tesi scientifica fornita dalla lettura geomorfologica del territorio

Secondo un’abbastanza radicata credenza, nel sottosuolo del centro storico della città esisterebbe un saldo ammasso roccioso, comunemente indicato come “il Sasso di Piacenza”, che avrebbe garantito nel tempo la decantata saldezza del centro stesso (anche nei confronti di erosioni fluviali), giustificando anche la sua relativa sopraelevazione rispetto alle aree circostanti. In verità il “Sasso” non esisterebbe in quanto si tratterebbe della salda ossatura dei depositi ghiaioso-ciottolosi del Trebbia, assai più consistenti delle “molli” sabbie limose sulle quali è impostato il basso ripiano che lo circonda su tre lati: le vie  S. Ambrogio, Ventun Aprile, Stazione Ferroviaria. L’alveo del Trebbia nei secoli si è infatti spostato di ben quindici chilometri a ovest, traslocando lo sbocco sul Po da est a ovest di Piacenza. Nel 218 avanti Cristo infatti il fiume costeggiava la Statale 45 per Bobbio, per poi arrivare dritto in città. La colonia romana di Placentia fu creata nel 218 a.C. in corrispondenza di una stretta morfologica della fascia di meandreggiamento del Po, a controllo di un punto di attraversamento del fiume stesso e del Trebbia che all’epoca sfociava ancora a est della città, in corrispondenza della zona di Le Mose.

Il fronte a ventaglio di questa ossatura (depositi alluvionali del Trebbia di dominante natura ciottoloso-ghiaiosa)  è stato poi scalzato dalle correnti del Po, che hanno intagliato in esso un’alta scarpata (circa 15 m), che ne definisce oggi il margine settentrionale. Lo stesso Po ha successivamente depositato, nel solco aperto ai piedi della scarpata, una spessa coltre di sedimenti sabbioso-limosi, lasciando comunque integra la porzione sommitale della scarpata. E’ stato questo il tema affrontato dal Prof. Giuseppe Marchetti nell’affollata conferenza tenutasi nella Sala delle Conferenze della Galleria Ricci Oddi - a chiusura del ciclo annuale delle conversazioni organizzate dalla Società Dante Alighieri. Il professore ha sviluppato il contenuto di un suo intervento tenutosi a Palazzo Galli - Banca di Piacenza, nell’ormai lontano novembre 2014. L’oratore ha richiamato e illustrato, con numerosi schemi e immagini, la genesi e l’evoluzione del suolo piacentino, facendo rilevare come esso sia effettivamente parte della porzione terminale di un conoide di deiezione del Trebbia del tardo Pleistocene (circa 3 milioni di anni fa), a tipica pianta a forma di ventaglio, con perno situato nella zona di Rivergaro e massima apertura verso il Po, fino a comprendere gran parte dell’attuale sede della città.

Marchetti ha richiamato i “saliscendi”, che contraddistinguono lo sviluppo della città, ponendo alla base della loro presenza alcuni elementi geomorfologici: la scarpata incisa dal Po al fronte settentrionale del conoide pleistocenico del Trebbia (con perno a Rivergaro), sul cui estremo settentrionale è stata edificata l’antica città; la vecchia sponda sinistra del Trebbia attiva nel  218 a.C. (anno della “Battaglia del Trebbia” tra Cartaginesi e Romani), quando il fiume sfociava nel Po ad est della città;  la depressione a pianta arcuata (verso sud), che contraddistingue la zona di ubicazione di Stradone Farnese/Ospedale militare; i “dossi” sui quali sono impostate Via Sopramuro e Via Calzolai. La situazione così creatasi trova pratico riscontro nella zona di Palazzo Farnese. Qui, il maestoso monumento, che affonda le sue fondamenta negli appena citati sedimenti del Trebbia, è collocato  all’orlo della ricordata scarpata modellata  dal Po. L’arena del campo sportivo Daturi è situata, a sua volta, sul sottostante ripiano, che si diparte dai piedi della scarpata e che risulta impostato nelle sabbie a matrice limosa successivamente depositate dal “Grande Fiume” sul fondo del solco da lui precedentemente inciso.

Tutte le vie che dal centro storico sono dirette verso il Po discendono per raggiungere il piano basso, della scarpata intagliata nelle ghiaie del Trebbia. Procedono infatti in discesa, più o meno accentuata, Via Campagna, Via Borghetto, Via X Giugno, Via Genocchi, Via Melchiorre Gioia, Via Montagnola, Vicolo del Guazzo  ecc. (Sono gradinate artificiali la Muntà di Rat, in Via Mazzini e  la gradinata di S. Sisto in Via Morselli). L’unica via diretta al Po, che non ridiscende la scarpata, è Viale Romagnosi, in quanto costruito su un rilevato artificiale di raccordo fra il ripiano di Palazzo Farnese e la spalla destra del ponte sul Po. E’ questa la situazione geomorfologica che caratterizza il margine settentrionale (verso Milano) e quello occidentale (verso Voghera) del centro storico. Lo stesso vale, almeno dal punto di vista morfologico, per il margine orientale (verso Parma), dove il gradino, che segna il passaggio dal piano alto a quello basso, coincide, stavolta, con la vecchia sponda sinistra del Trebbia, attiva all’epoca della “Battaglia del Trebbia” della seconda guerra punica (218 a.C.), quando – come detto in precedenza - la confluenza del fiume appenninico  nel Po era collocata nella zona dell’attuale Mortizza e il suo alveo comprendeva la zona adiacente all’attuale stazione ferroviaria.

Non a caso, anche in questa porzione orientale della città, le vie che dal centro storico si spingono verso Parma sono in netta discesa: Via Benedettine, Via Alberoni, Via Roma, Via Scalabrini, a partire da Piazzetta San Paolo. La discesa di Via Roma è stata vistosamente addolcita da successivi riporti artificiali, quegli stessi che sopportano il Monumento della Lupa e che sono stati realizzati per attenuare il salto dal vecchio e basso alveo del Trebbia verso il  “pianalto” dell’antica Piacenza Non è parimenti casuale se le vie che, dal centro della città, si muovono in discesa: Corso V. Emanuele (a partire dal Cinema Corso), Via S. Franca (a partire dall’incrocio con Via Verdi), Via P. Giordani, Via S. Vincenzo ecc. Si configura così l’immagine di un “cuore” dell’agglomerato urbano appoggiato su una sorta di pianalto/sperone, “troneggiante” sul sottostante ripiano, coincidente con una ex area golenale del Po, oggi occupata, come visto,  dal Campo sportivo Daturi, dalla Stazione ferroviaria, dalle vie  Viale S. Ambrogio, Via Ventun Aprile...

Un ulteriore evento morfologico, posto a definitiva delimitazione di questo “saldo” sperone, è presente anche a sud verso le valli Nure e Trebbia.  In questo caso, non si tratta di una scarpata, ma una relativamente ampia (seppur bene abbozzata) depressione valliforme,  a sviluppo  planimetricamente arcuato (con parte convessa rivolta a sud). Questa zona è fisicamente riconoscibile a cavallo della zona di Stradone Farnese-Via Venturini-Ospedale Militare. Viale Beverora è più elevata perché frutto di un rialzamento artificiale per favorire l’afflusso delle acque del rio omonimo alla città romana, superando la depressione esistente che è testimoniata dalle discendenti vie Nova e Venturini, dalla zona dove sorge la chiesa di San Giovanni in Canale, unita a viale Beverora da una scala. In merito alla interpretazione della presenza di questa depressione, l’oratore  ha ipotizzato, in alternativa: l’esistenza della traccia di un’antica ansa meandrica del Po -  il permanere dei resti di un antico canale diversivo (lo storico greco Strabone ricorda la costruzione da parte dei romani di canali a difesa della città dalle piene del Trebbia;  più verosimilmente, le conseguenze di documentate deformazioni del piano di campagna dovute a spinte provenienti dal profondo sottosuolo e rientranti nel campo dei fenomeni di neotettonica (scienza che studia i movimenti della crosta terrestre), di essi non è certamente avulsa la nostra pianura: quest’ultimo accidente morfologico completerebbe verso sud la perimetrazione del “Sasso” , come evidenzia questa figura di sintesi:

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