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La polemica

Scontro sui manifesti "gender" in città. Piacenza Coraggiosa «Vanno tolti». Fdi: «Richiesta inaccettabile»

Polemiche a livello politico sulle affissioni realizzate dall'associazione Pro Vita e Famiglia. I consiglieri Infantino e Anelli scrivono al sindaco ma arriva la replica di Sara Soresi

«Inaccettabile la richiesta, avanzata dal gruppo Piacenza Coraggiosa, con la quale si chiede all’Amministrazione comunale di rimuovere i manifesti apposti in alcune strade della città da parte dell’Associazione Pro Vita & Famiglia poiché, secondo loro, contrari alla legge». Così la capogruppo di Fratelli d’Italia in consiglio comunale Soresi Sara interviene sull’interpellanza presentata dai consiglieri Boris Infantino e Andrea Anelli del gruppo Piacenza Coraggiosa.

“I Consiglieri di Piacenza Coraggiosa – prosegue Soresi - richiamando l’art. 23 del Codice della Strada, forse dimenticano che tale norma vieta forme di pubblicità contenente messaggi sessisti, violenti o discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, identità di genere o abilità fisiche o psichiche, ma che i manifesti apposti da “Pro Vita” non attaccano alcun genere, né orientamento, limitandosi ad una libera manifestazione di pensiero, in particolare sottolineando la loro  contrarietà alla teoria gender. I casi, dunque, sono due: o i consiglieri confondono il “gender” con l’orientamento sessuale, o la legge che ritengono violata altro non è che quell’insieme di ideologie e stereotipi che una certa parte della sinistra vorrebbe imporre alla totalità delle persone, bambini compresi».

«Auspico – continua Soresi – che il Comune non voglia dar seguito a questa richiesta, espressione di una sinistra oscurantista che, in nome di un laicismo ateo, intende imbavagliare chiunque, con modalità del tutto lecite, esprima democraticamente idee e/o valori diversi, condivisibili o meno che siano. Ritengo che anche a livello locale vi siano temi certamente più urgenti ed importanti da affrontare, così come le ultime elezioni politiche hanno avuto modo di dimostrare premiando i partiti che maggiormente si sono concentrati sulle esigenze primarie della gente, accantonando il perbenismo ed il politically correct tipico di una certa parte politica».

I consiglieri Boris Infantino e Matteo Anelli avevano scritto così nella loro interpellanza indirizzata al sindaco, chiedendo la rimozione dei manifesti.

«Venerdì 30 settembre sono stati affissi in città manifesti pubblicitari da parte dell’associazione Pro Vita e Famiglia. Tali manifesti raffigurano il volto di un bambino con espressione triste e imbronciata, mentre due mani di soggetti fuori campo, una delle quali con le unghie dai colori arcobaleno, gli propinano un papillon rosso da porre sul capo e un rossetto verso le labbra. Sopra questa immagine campeggia la scritta “Basta confondere l’identità sessuale dei bambini. #Stopgender”. Completano il quadro cupo della raffigurazione lo sfondo nero e la luce caravaggesca in perfetto stile Decollazione di San Giovanni Battista, a voler sottolineare l’imminenza del pericolo.
La rappresentazione grafica fa il paio con il contenuto della petizione pubblicizzata, nella quale, con toni allarmistici, si afferma che “ogni giorno in centinaia di scuole italiane si svolgono lezioni, attività, corsi su "affettività e sessualità" profondamente intrisi di ideologia Gender”... “Firma subito la petizione per chiedere al Parlamento di approvare una legge che vieti l'indottrinamento gender nelle scuole dei figli degli italiani rispettando il diritto di priorità educativa della famiglia!”. L’associazione in questione, quindi, propugna la necessità di un intervento del legislatore al fine di promuovere la centralità educativa della famiglia, anche per evitare il diffondersi della “ideologia gender”».

«Nel messaggio pubblicitario l’innocenza dell’infanzia appare minacciata da un “lavaggio del cervello di massa” perpetrato dai “collettivi omosessuali” (così definiti) che organizzerebbero nelle scuole dei progetti che “mirano a diffondere tra i più giovani la loro ideologia sulla famiglia, sulla sessualità, il matrimonio, i figli, l'utero in affitto”. Si tratta di una congerie di errori e sovrapposizioni concettuali.
La comunità scientifica è unanime nell’affermare che quando si parla di sesso, ci si riferisce all’insieme delle caratteristiche fisiche, biologiche, cromosomiche e genetiche che distinguono i maschi dalle femmine. Quando si parla di genere si fa riferimento al processo di costruzione sociale e culturale sulla base di caratteristiche e di comportamenti, impliciti o espliciti, associati agli uomini e alle donne. Quando si parla di orientamento sessuale, ci si riferisce all’attrazione erotica e affettiva che porta ognuno di noi verso persona del sesso opposto, dello stesso sesso o di entrambi.
Tenere a mente queste distinzioni è necessario per superare le discriminazioni e le disuguaglianze nei confronti di quelle persone che non si riconoscono nello standard maggioritario».

«Il contenuto del messaggio dell’associazione Pro Vita, invece, è scorretto e fuorviante, non solo perché i corsi di indottrinamento gender che scavalcano i convincimenti familiari non esistono nelle scuole italiane, ma soprattutto perché gli autori lasciano trapelare l’idea che combattere le discriminazioni e le disuguaglianze uomo-donna, oppure anche solo condannare l’omofobia avrebbe come conseguenza cancellare le differenze sessuali».

«I promotori del manifesto pubblicitario, d’altronde, non riescono a concepire la possibilità che la promozione dell’uguaglianza in termini di dignità e di diritti sia di fatto compatibile con il rispetto di tutte le differenze, compresa ovviamente quella sessuale. Anche semplicemente perché – ma questo è l’errore di fondo del messaggio veicolato - i concetti di differenza e di identità sono descrittivi, a differenza dell’uguaglianza e della disuguaglianza che sono invece concetti valoriali.
Si aggiunga, ad ulteriore dimostrazione della fallacia del messaggio veicolato, che la famiglia “come società naturale fondata sul matrimonio” è già riconosciuta dall’art. 29 della Costituzione come entità naturale preesistente allo Stato ed all’ordinamento giuridico, la cui centralità educativa non potrebbe certo essere messa in discussione da ipotetici corsi organizzati dai “collettivi omosessuali”. A prescindere dalla scorrettezza del messaggio pubblicitario, la cui espressione rientrerebbe nel diritto di libera manifestazione del pensiero, ciò che allarma è la violenza dell’immagine, con un bambino quasi costretto a subire degli imbellettamenti sgraditi da parte di voraci
mani, presumibilmente appartenenti a perfidi omosessuali, nonché la manifesta carica offensiva apertamente rivolta a coloro che non si identificano negli stereotipi di genere propugnati dall’associazione che ha affisso i manifesti. Offesa che si esprime nello sbeffeggiare qualsiasi deviazione dallo stereotipo di genere del bambino maschio che suda dietro ad un pallone e si impone con la forza fisica e la bambina femmina, di rosa vestita, che si diletta in quei giochi di economia domestica ai quali dovrà attendere in futuro».

«La libertà di manifestazione del pensiero, però, incontra un limite nella continenza delle espressioni e nella necessità che queste non rechino offesa ad altri. L’art. 23, comma 4 bis, del Codice della Strada, opportunamente riformato, stabilisce che “E' vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell'appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all'orientamento sessuale, all'identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.
Il manifesto oggetto di discussione risulta evidentemente offensivo per le ragioni sopra riportate. Il comma 4 quater dell’art. 23 del Codice della Strada stabilisce che il rispetto delle norme sopra indicate è condizione per il rilascio dell’autorizzazione all’affissione da parte dell’ente proprietario della strada, nel nostro caso quindi del Comune. La norma stabilisce, altresì, che in caso di violazione l’autorizzazione rilasciata è immediatamente revocata.
Nel Comune di Piacenza le autorizzazioni sono rilasciate da ICA Srl, società concessionaria del servizio di Autorizzazione Pubblicitaria, come previsto dalla legge n. 160/2019».

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