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Il lavoro di un'impresa forestale / Ferriere

Sveglia alle 4.30 e pranzo sotto gli alberi per i fratelli boscaioli: «Fatica notevole, ma non faremmo altro»

L’impresa forestale di Marco e Paolo Baldini, originari di Pittolo, da vent’anni al lavoro in montagna. «Negli ultimi due anni il "boom" della legna da ardere, troppe richieste. La montagna era più "pelata" nei decenni scorsi, i boschi vanno gestiti»

Passano più di dieci ore ogni dì nei boschi di montagna, sei giorni su sette, dodici mesi su dodici, ormai da vent’anni. Un mondo da cui i fratelli Marco e Paolo Baldini, 47 e 38 anni, originari di Pittolo, non riuscirebbero a stare lontani. Il legame non è di sangue, ma di fatto, costruito nel tempo.

Paolo e Marco Baldini-2

Marco da ragazzo fa il trattorista in campagna, poi passa a vendere la legna al dettaglio ai privati, come commerciante, comprandola in Alta Valnure. Nel ‘99 parte l’impresa forestale. Il fratello minore, Paolo, studia e in estate arriva a dare una mano; nel 2004 si unisce all’attività a tempo pieno e i due prendono in gestione il comunello di Curletti, poi quello di Rocconi. Intanto il rapporto con la montagna s’intensifica, entrambi si sposano: Marco con Micaela, di Canadello, e Paolo con Cinzia, di Grondone.  Dalla primavera all’autunno i due tagliano in montagna, in inverno si spostano più a valle, fino alla pianura. «Poi negli ultimi anni è scomparsa la neve, ormai si può lavorare anche in altitudine», fanno notare.

La loro giornata tipo inizia presto. Sveglia alle 4.30, segue la preparazione di camion, attrezzi e motoseghe. Alle 5.30-6 l’arrivo “in ufficio”, nel bosco. Anche il pranzo è all’ombra degli alberi, si stacca solo quando è terminato tutto: «Se va bene alle 17, più spesso alle 20», dice Paolo. Al sabato lavorano mezza giornata, la domenica è per il riposo, per modo di dire; i due fratelli bruciano calorie con la corsa, allenandosi per il “Ferriere Trail Valley”, sulla distanza dei 50 chilometri.

Negli ultimi due anni, tra inflazione, guerra russo-ucraina e caro energia, hanno ricevuto tantissime richieste di lavoro. «Tutte le settimane siamo costretti a dire di “no” a qualcuno, il mercato chiede molta legna. È la prima volta che succede in vent’anni, questa è una fase eccezionale, gli ultimi mesi sono stati contrassegnati da sbalzi di prezzo impressionanti». E poi il lavoro aumenta anche perché la richiesta non riguarda solo il tagliare la legna, ma anche «fare il giardinaggio e pulire».

I Baldini fanno tutto da soli: «Gli orari non sono facili, la fatica è notevole. Curiosamente, tra Farini e Ferriere, le imprese sono formate da coppie di fratelli come noi, che facciamo questo mestiere con molta passione; non faremmo altro nella vita».

Dal loro punto di vista in montagna il lavoro manuale non manca. «Agricoltori, muratori, giardinieri. C’è tanto lavoro a disposizione per queste attività, che sono faticose e che, ovviamente, qualche volta ti portano ad accettare le richieste a valle. Però le opportunità ci sono; certo, da queste parti non si trovano invece posti impiegatizi».

Più gente opera in montagna, più il territorio è curato. «Gli enti locali - riflette Marco - devono gestire territori immensi, altrimenti arrivano frane e smottamenti. Laddove c’è un’azienda agricola impegnata, le cunette sono pulite. Quando passa un’impresa forestale, per forza di cose i sentieri sono aperti e in ordine. Noi siamo solo in due e ci concentriamo sul taglio legna, ma un’impresa più strutturata potrebbe offrire un servizio più articolato e strutturato di pulizia. Un territorio non gestito crea problemi e spese economiche in un futuro. Regione e Provincia (e altri enti) dovrebbero puntare sui giovani per gestire il territorio e prevenire. Ad esempio, una quota dei soldi che i privati e le aziende elargiscono per compensazioni, andrebbe utilizzato per questo tipo di interventi, formando squadre di giovani operai dediti a ciò».

Marco, una decina di anni fa, aveva dato vita ad un’associazione di forestali impegnati nel lavoro in montagna. «Purtroppo, abbiamo ottenuto scarsi risultati. Se sono nel bosco a lavorare tutto il giorno, non riesco a farmi valere come attività sindacale, il nostro è un settore povero e con pochi operatori». Pochi? «Sì. Piacenza è la provincia dell’Emilia-Romagna dove si taglia di più e la Valnure è la vallata più operosa. Eppure, ci sono solo cinque imprese forestali professionali. Sembriamo di più perché diversi agricoltori, giustamente, fanno reddito tagliandosi qualche migliaio di quintali da legna per sé e per gli altri».

Il mercato ha vissuto molte oscillazioni negli ultimi tempi. «Oggi la legna si vende a 8 euro al quintale, negli anni di crisi 5. Fino a poco tempo sembrava bandita dal mercato, perché inquinante. Poi, con la guerra e la crisi del gas, molti sono ricorsi alla legna, ricordandosi che le risorse forestali servono anche a questo».

Secondo i due fratelli è scomparsa la materia prima più concorrenziale: quella proveniente dall’Est. «Veniva venduta nel Nord Italia a 1 o 2 euro in meno, però era altamente inquinante, perché i camion fanno due o tremila chilometri per arrivare qui. La legna, secondo noi, dovrebbe essere a chilometro zero e spostata il meno possibile. Se da Ferriere la trasferiamo a Ponte dell’Olio o a Milano la differenza sono sei ore di viaggio in camion. Se si utilizzasse quella del posto ci sarebbe più lavoro per le imprese e per i giovani».

Quali sono i problemi di un’attività forestale come la vostra? «I boschi sono abbandonati, molti proprietari sono emigrati all’estero. Quando un vecchio proprietario muore, con il passaggio agli eredi, le aree vengono parcellizzate. Ci ritroviamo con terreni di montagna e boschi che hanno 40 o 60 proprietari; come si fa a mettere tutti d’accordo sul loro utilizzo?».

Di questi tempi la vostra attività non è ben vista da un numero sempre maggiore di persone. «Però un bosco giovane - rileva Marco - produce più ossigeno di uno vecchio ed è più stabile dal punto di vista idrogeologico. Non sradichiamo le piante; un territorio gestito significa avere i boschi tagliati, altrimenti non è un bosco. Se lo abbandoni, si trasforma nell’Amazzonia. E aumentano anche i rischi d’incendio nei mesi estivi, molto secchi».

A lungo andare, però, rischiamo di non avere più foreste di alberi? «Assolutamente no. Se si guarda alle foto di 80, 70, 60 anni fa, la montagna piacentina era molto più “pelata”. I vecchi usavano molto più di noi queste risorse, anche quando c’era il carbone, conservavano il patrimonio e tagliavano maggiormente. Negli ultimi decenni i boschi sono cresciuti. È un ciclo naturale e le poche imprese che lavorano in questo settore non riescono a stare dietro a tutto il lavoro, quindi non c’è alcun rischio».

La burocrazia affligge anche questo settore. Forse più di altri. I fratelli Baldini, ad esempio, segnalano la situazione particolare del loro inquadramento fiscale. «Noi boscaioli - conclude Marco - per dieci anni siamo stati “artigiani”, poi trasformati in “agricoltori”. È una stortura, il settore forestale dovrebbe avere il suo inquadramento. Sono forse un artigiano ad entrare nel bosco con la motosega? O un commerciante? O un agricolo? Niente di tutto questo».

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