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Martedì, 16 Aprile 2024
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Dalle foto di Prospero Cravedi gli anni piacentini in cui si viveva solo il reale, non i social

Giangiacomo Schiavi sull’eredità fotografica lasciata da Cravedi: «Eravamo inconsapevoli di avere accanto qualcosa di simile a un Robert Capa o a un Cartier Bresson di provincia». In Santa Chiara una mostra con le sue foto

«Una straordinaria tranche de vie di vent’anni di vita collettiva piacentina, una vera e propria saga in bianco e nero di anni in cui si viveva il reale e non i social, un’epoca di sogni, di passioni, sentimenti, speranze». Così il giornalista del “Corriere della Sera” Giangiacomo Schiavi ha efficacemente sintetizzato l’opera di Prospero Cravedi di cui è stata allestita, a cura della Fondazione di Piacenza e Vigevano, una mostra nell’ex convento di Santa Chiara sullo Stradone Farnese.

Una rassegna suddivisa in sezioni, impreziosita da un catalogo il cui ricavato andrà a favore dell’associazione Africa Mission Cooperazione e Sviluppo; l’esposizione presenta ben duecento immagini realizzate tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta: un racconto appassionato di un pezzo importante della storia piacentina e di un’idea di umanità senza confini: lo sport, la città e il territorio, le piazze e l’impegno civile, il Po e l’Africa, i ritratti femminili, i volti celebri. Un’esposizione di cui è stato curatore Paolo Barbaro che si snoda attraverso duecento scatti selezionati all’interno di un archivio sterminato di oltre un milione di negativi, il frutto di una vita di lavoro, la cui sistemazione, conservazione e valorizzazione è stata avviata dalla famiglia: dalla moglie Angela e dai figli Gianni ed Ettore che hanno proseguito la professione del padre. Ad oggi sono state catalogate, all’interno di circa seimila buste, le foto risalenti al periodo tra il maggio 1955 e il 1981; oltre 160mila le immagini scansionate, duecento delle quali sono appunto esposte, l’intensissima attività di Prospero che, da dietro l’obiettivo, ha raccontato i protagonisti e la gente comune, i grandi eventi e la quotidianità piacentina.

«Un atto di amore - ha proseguito Schiavi (presente al primo degli incontri previsti nell’ambito della mostra, coordinato da Tiziana Pisati, del Consiglio Generale della Fondazione di Piacenza e Vigevano cui ha partecipato anche il curatore della mostra, il prof. Paolo Barbaro) - per città e provincia, per una passione che diventa vocazione e professione, grazie alla quale ha tirato fuori l’anima, di quella Piacenza.Andare, vedere, raccontare, insomma esserci sempre, con un atteggiamento di rispetto verso chi ritraeva».

«Una funzione dove sovente - ha detto Barbaro - si sfocia nell’artistico. Saper raccontare, ma andare oltre, con un modello di trasfigurazione, cogliere anche quanto c’è di finzione nella realtà e che sfugge alla contingenza giornalistica. Prospero non ruba la realtà- ha sottolineato- ma ne fa una chiave di racconto. Per questo credo fosse un artista perché racconta in modo intelligente le cose e da loro un senso».

«E noi, allora - ha ricordato nel catalogo della mostra Schiavi - eravamo inconsapevoli di avere accanto qualcosa di simile a un Robert Capa o a un Cartier Bresson di provincia; uno che metteva sulla stessa linea cuore, mente e occhio e tratteneva il respiro quando scattava; ci ritroviamo oggi nella bellezza struggente di certe sue immagini, depurate dalla fretta della messa in pagina». «Insomma un uomo - ha concluso il giornalista - che ha saputo andare anche controcorrente, cresciuto sul marciapiede giorno per giorno, con umiltà, mettendosi sempre in gioco, un archivio della vita, una stagione di cui prendere il buono, con una fiducia verso l’avvenire che deve tornare, nonostante tutto ciò che stiamo vivendo».

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