«Nei campi della Bassa le leggende vengono con l’acqua»
Il Grande Fiume e Giovannino Guareschi: nel cinquantesimo della sua scomparsa lo scrittore bassaiolo è stato ricordato in tanti modi nella sua terra. Nel suo “Mondo piccolo” in poco tempo si passa dalle alluvioni ai periodi di grande siccità: è la Bassa, con i suoi problemi
Ricorrono quest’anno i cinquant’anni dalla scomparsa di Giovannino Guareschi, lo scrittore della Bassa, letto e tradotto in tutto il Mondo. Diverse le iniziative in Emilia-Romagna che lo hanno ricordato: un plauso alla Regione per aver valorizzato un autore in passato dimenticato dalle istituzioni politiche e letterarie. Su IlPiacenza.it vogliamo ricordarlo riportando a galla il suo legame con il fiume Po nei racconti del “Mondo piccolo”, quelli che hanno per protagonisti Peppone e don Camillo.
SECONDA PUNTATA:
Come detto, quando si ha a che fare con il il Grande Fiume, spesso ci si appiglia alla Fede nelle situazioni più a rischio. Perché di problemi, il Po, ne dà tanti agli abitanti della Bassa. Alluvioni e periodi di grande siccità sono frequenti e l'uomo può fare poco.
«Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile del limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza[1].
Il grande fiume era gonfio d’acqua limacciosa e tutti coloro che, uscendo dalla Messa, andarono sull’argine per vedere se il livello aumentava o diminuiva, ricordarono le semplici parole di don Camillo[2].
Il fiume era cresciuto parecchio e l’acqua fangosa scorreva rapida, ma il guardiano tranquillizzò don Camillo[3]
Gli abitanti vivono giorni di dolore e angoscia. Il loro futuro, le loro cose, i loro paesi, sono in pericolo: Era il secondo giorno della famosa alluvione che aveva rovinato un terzo del paese e gli alluvionati, appollaiati sui tetti delle case sommerse, aspettavano ancora che qualcuno si accorgesse di loro[4].
La paura aumentava assieme all’acqua. Vennero i tecnici e spiegarono che l’argine della Pioppaccia avrebbe resistito perfettamente. Il pericolo c’era e sempre maggiore: la gente provvedesse in tempo a sgomberare, non aspettasse l’ultimo minuto. I tecnici se ne andarono via alle dieci del mattino. Alle undici l’acqua era ancora cresciuta e improvvisamente alla paura seguì il terrore. «Non si fa più a tempo a salvar niente!» disse qualcuno. «L’argine della Pioppaccia si spaccherà e tutto sarà perduto. Non c’è che un modo per salvarsi: passare il fiume e andare a spaccare l’argine dell’altra sponda»[5].
Le piene, frutto di incessanti piogge, sono sciagure per questi paesi della Bassa. La vita, il lavoro, la routine di tutti i giorni, la politica, si fermavano del tutto. La tensione sale di ora in ora, non c’è spazio per altro, quando la minaccia del fiume torna a farsi sentire: I canali di scolo erano gonfi fino all’orlo e la terra, fradicia, diventava pantano. E, dappertutto, si imprecava contro la pioggia (…) Il Giròla scosse il capo: «No: ho visto degli uragani, ho visto delle inondazioni, ho visto di tutto, ma era roba di giorni, magari di qualche settimana. Uno squilibrio che durasse degli anni di seguito non l’ho mai visto»[6].
Noi abitavamo in fondo al paese, proprio a piè dall’argine[7]. Al fiume, mentre mio padre sbadilava, io pasticciavo per conto mio, col sedere rovente sulla sabbia soffice, umida e fresca[8].
«L’acqua ha rotto il ponte» gli disse il conducente vedendolo perplesso. «Per raggiungere il paese bisogna fare un chilometro a piedi»[9].
Arrivarono alle terre sommerse del Delta nel primo pomeriggio e quando si videro le prime case poderali semisommerse incominciarono i guai[10].
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