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Venerdì, 29 Marzo 2024
Attualità Ferriere

«Non ci sono argomenti per ipotizzare origini glaciali per il laghetto Sfondrò di Cassimorenga»

Dal professor Paolo Roberto Federici un'interessante argomentazione sulla glaciazione dell’Appennino Piacentino

A differenza dei laghi Nero, Bino e Moo il piccolo “Laghetto Sfondrò”, situato nel comune di Ferriere, tra i boschi di Cassimorenga e Solaro, non ha origine glaciale: sarebbe stato originato da un evento franoso. La teoria già sostenuta dal geologo prof. Giuseppe Marchetti che abbiamo illustrato nei recenti articoli:

 https://www.ilpiacenza.it/attualita/tra-cassimorenga-e-solaro-uno-sconosciuto-laghetto-opera-d-arte-della-natura.html e

 https://www.ilpiacenza.it/attualita/il-groppo-di-colla-e-il-laghetto-sfondro-stuzzicano-la-curiosita-dei-lettori.html

trova ora dimostrazione in un documento scritto per i nostri lettori dal prof. Paolo Roberto Federici, Università degli studi di Paolo Roberto Federici foto-2Pisa, autore di studi “Sulla presenza storica e caratteristiche dei ghiacciai sull’appennino”. Il professore è buon conoscitore delle nostre montagne dal tempo della tesi di laurea sulla alta e media Val Ceno con frequenti incursioni in val Nure allora collegata da una carrareccia: “Dovendo spendere il meno possibile alcuni i allevatori della Valle Lecca mi facevano dormire nella loro stalla e mi rifornivano di formaggio. Poi ho girato il mondo ma quei momenti non li ho mai dimenticati...”.

Monte Albareto e lago Sfondrò

Per inquadrare l’argomento dobbiamo fare alcune precisazioni poiché quanto scritto riguarda due temi. Il primo tema tocca il problema delle glaciazioni in Appennino, il secondo tema riguarda la possibile genesi del lago Sfondrò. Per quanto concerne le glaciazioni, bisogna premettere che le ultime glaciazioni conosciute (ve ne sono state altre in epoche più remote di quelle che hanno interessato le nostre montagne) si sono sviluppate nella cosiddetta Era (o Periodo, secondo alcuni) Quaternaria. In essa sono state riconosciute 5 glaciazioni ognuna delle quali composta da due o tre momenti di forte sviluppo. Ogni glaciazione è stata separata da un’altra da un periodo di tempo definito Interglaciale in cui il clima è completamente cambiato in senso positivo e quindi contrassegnato da un consistente aumento delle temperature. Il termine Preglaciale va quindi riservato ai tempi precedenti la prima delle glaciazioni. Per quanto riguarda l’Appennino ha lasciato tracce l’ultima glaciazione chiamata Wurm poiché nelle Alpi il locus typicus è stato individuato e definito per la prima volta nella valle omonima in Austria. Così tracce più o meno consistenti delle conseguenze della comparsa dei ghiacciai, quali i circhi glaciali, i profili trasversali a U delle valli, le superfici di esarazione, l’escavazione di più o meno profonde conche ove si potevano insediare dei laghi anche molto grandi, le rocce con la forma a dorso di montone, la esarazione delle rocce capace di produrre molto detrito caratterizzato da forme spigolose che assieme al detrito più fine può dare origine ai depositi dette morene. Queste a loro volta possono avere forme varie tra cui quella ad arco delle morene frontali che talvolta possono costituire delle dighe capaci di generale laghi (di sbarramento morenico). Fra i detriti possono esserci anche massi di grandi dimensioni detti “erratici”. Lo scorrimento di grandi e piccoli erratici possono produrre sulla superficie di scorrimento delle incisioni più meno profonde. Ma bisogna considerare che anche i massi delle frane scorrendo l’uno sull’altro possono produrre lo stesso risultato, per cui bisogna valutare con cautela la loro origine.

La glaciazione di Wurm ha avuto il suo acme chiamato Ultimo Massimo Glaciale fra gli anni 24 000 e 18 000 circa (date un po’ variabili in luoghi diversi) ottenute con metodi di ricerca radiometrica sui suoli e sulle rocce. Pertanto le morene poste più in basso appartengono a quel momento. Ciò ovviamente è avvenuto laddove vi erano le montagne più alte in un contesto di clima (temperatura, precipitazioni, esposizione a nord) e morfologia favorevoli. Comunque resti glaciali si trovano sui maggiori gruppi appenninici fino ai Monti del Pollino fra Basilicata e Calabria (qui i resti segnalati sono dubbi).

Dopo il massimo sviluppo è comparso rapidamente un miglioramento del clima che ha progressivamente consumato i ghiacciai anche appenninici (che a dire il vero sono stati di piccole dimensioni) attraverso almeno tre fasi di ritiro per cui i ghiacciai piccoli sono scomparsi subito, quelli più grandi si sono ritirati sempre più in alto fino a scomparire anch’essi. L’ultimo relitto ormai agonizzante si trova sul Gran Sasso la montagna più alta. Le quote più basse a cui sono arrivate le fronti glaciali del Wurm in Appennino si sono aggirate sugli 800- 1000 metri ma in molte montagne si sono fermate più in alto.  Nell’Appennino ligure piacentino il ghiacciaio del M. Ragola è arrivato sugli 850 m, del M. Maggiorasca - M. Nero sui 900 m, del M. Aiona sui 900 m. Resti posti più in basso sono sempre molto dubbi. Si tratta come è noto di montagne alte.

Per quanto riguarda la penultima glaciazione detta di Riss essa ha lasciato pochissimi resti in Appennino. In quello settentrionale l’unico resto sicuro è quello del Monte Navert in Alta Val Parma (che nel Wurm ha ospitato un grande ghiacciaio con tre lingue confluenti sceso fino a 760 m), mentre nell’Appenino Centrale sono stati interessati dal glacialismo il M. Velino, il Massiccio del Gran Sasso, il M. Greco ove sono state fatte anche datazioni assolute. Una ragione fondamentale per spiegare la estrema scarsità delle tracce di resti glaciali del Riss è che essi ove eventualmente presenti sono stati ripresi durante la successiva ultima glaciazione del Wurm dai ghiacciai nuovamente comparsi evidentemente negli stessi luoghi e i suoi detriti mescolati e indistinguibili dalle nuove morene in movimento.

Detto tutto questo, si evince chiaramente che non vi sono argomenti per ipotizzare che la penultima glaciazione abbia interessato il M. Albareto e le montagne circostanti che hanno altezze troppo modeste. Non solo ma le medesime argomentazioni si possono fare per l’ultima glaciazione. I luoghi sono costituiti da montagne basse con alcuni versanti esposti a sud e in un contesto generale non di catena montuosa alta e morfologicamente adatta a ospitare accumuli di ghiaccio. Infatti se si pensa che il limite delle nevi permanenti nell’alto Appennino ligure piacentino non scendeva sotto i 1280 m circa, si comprende come nel M. Albareto e dintorni tale limite neppure veramente tracciabile non avrebbe potuto originare vere lingue glaciali. La zona del M. Albareto e del lago Sfondrò si trova nelle aree interessate dalle unità tettoniche di M. Orocco ( cioè un Flysch a Elmintoidi) e di Ottone con presenza di ofioliti, in particolare serpentine e diaspri ma proprio nella zona del lago è presente una chiara superficie di scorrimento fra unità tettoniche ed anche una faglia nord-sud. Il quadro è completato ivi e in tutto l’Appennino piacentino da una grandissima presenza di terreni franosi spesso considerati ancora in attività cioè in movimento.

Da tutto questo quadro sembra si possa escludere che il lago Sfondrò e altri piccoli siano di origine glaciale perché non c’erano le condizioni per la presenza di ghiacciai comunque consistenti e tali da creare conche o sbarramenti di detrito morenico adatti a ospitare l’acqua di un lago. Invece la diffusione delle frane fa pensare che esse possono creare le condizioni per la creazione di laghi accidentali ed effimeri. Nella zona in oggetto comunque la presenza di disturbi tettonici può aver contribuito non solo a creare una morfologia favorevole ad ospitare ristagni d’acqua consistenti ma la presenza di una faglia o frattura che dir si voglia può essere una condizione per lo scorrimento di acque capaci di alimentare il laghetto, che per le sue ridotte dimensioni non avrebbe potuto sopravvivere.

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