«Oggi tra le categorie dei beni devono prevalere quelli relazionali e comuni»
Stefano Zamagni dell’Università degli Studi di Bologna e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali in Cattolica
«Fino alla fine degli anni Ottanta tra le categorie dei beni si citavano solo quelli privati e pubblici. Oggi le condizioni collegate alla felicità e al benessere dipendono maggiormente da quelli relazionali e da quelli comuni». Questo il pensiero di Stefano Zamagni dell’Università degli Studi di Bologna e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, intervenuto alla Cattolica, nell’aula “Gasparini”, in occasione degli incontri e delle lezioni che per l’intera settimana l’Ateneo piacentino ha dedicato al tema del dono.
Zamagni ha presenziato in streaming da Roma presentato dal professore Paolo Rizzi, preceduto da una breve presentazione delle finalità da rappresentanti di importanti associazioni quali Admo, Aido ed Avis. Ha sostenuto che «sono andati in crisi i due pilastri storici su cui si regge da sempre l’economia: lo scambio di equivalenti regolato dal mercato, il cui scopo è quello di produrre ricchezza, un sistema di leggi e regole stabilite dallo Stato, insomma pubblico e privato». Ha ricordato la fondamentale distinzione tra «donazione e dono, la prima potrebbe “appiattire” essere sterile e fine a se stessa, il secondo presuppone una relazione interpersonale, coinvolgente, e tutti sono in grado di farlo: anche i più poveri. Occorre chiarire l’equivoco del significato fra dono e donazione, sono due cose diverse che l’enciclica di papa Francesco “Laudato Sì” spiega bene. La donazione è di un oggetto ed è quindi prerogativa dei ricchi, mentre il dono è relazione intra-soggettiva per cui è gratuito e può essere fatto da tutti, nessuno infatti può negare un sorriso o una stretta di mano».
«Così - ha detto - bisogna distinguere tra fraternità e fratellanza: nel secondo caso è tipica di un gruppo sociale, nel primo ha una natura “verticale” di comune paternità che è universale, ovvero Dio, ed ha valore trascendentale». «Il grande tema del dono si collega - ha proseguito - a quello altrettanto fondamentale della responsabilità. Quando nulla assicura più a priori la possibilità di vivere insieme, è ad una nozione rafforzata di responsabilità che bisogna fare ricorso, perché il rapporto con l’altro non sia affidato unicamente alla variabilità delle preferenze individuali o all’arbitrio della sopraffazione. Responsabilità significa, letteralmente, capacità di risposta e questo ci indica che siamo di fronte ad una nozione intrinsecamente relazionale, perché postula in modo costitutivo la dimensione della risposta. L’atto del rispondere, infatti, rinvia necessariamente alla dualità fra chi dà e chi riceve risposta e al loro rapporto. Ma responsabilità, dal latino res-pondus, significa anche portare il peso delle cose, delle scelte effettuate». E ancora: «L’interpretazione tradizionale e ormai insufficiente di responsabilità, la identifica con il dare conto, rendere ragione di ciò che un soggetto, autonomo e libero, produce o pone in essere. Tale nozione di responsabilità postula dunque la capacità di un agente di essere causa dei suoi atti e in quanto tale di essere tenuto a “pagare” per le conseguenze negative che ne derivano. Il peccato di omissione sta appunto in ciò,mentre oggi prevale un individualismo libertario, ovvero, se non faccio qualcosa, non ne sono responsabile».
«Dunque oggi - conclude - non basta più declinare il principio del dono sull’asse del dare- donare a chi si trova nel bisogno. Occorre portarsi sulla dimensione dell’essere,puntare alle categorie relazionali (come l’amicizia) e a beni comuni come l’ambiente, erroneamente considerato bene pubblico o privato. Un altro bene comune è la conoscenza, come quella dei vaccini, per esempio, per cui bisogna applicare le regole della gratuità, più che dell’efficienza. Tutto questo per dare una dimensione diversa alla scienza economica».