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Giovedì, 5 Ottobre 2023
Attualità Nibbiano

“Ottantafame”: in un libro di Spinelli gli anni ’80 nell’alimentazione

Un libro di culinaria, spartiacque tra cibo contadino e quello industriale , dove analisi sociologica e ricette si miscelano come in uno sfizioso cocktail, esplorando gli anni ’80. Lo ha scritto Carlo Spinelli, critico gastronomico milanese. La presentazione al salumificio Grossetti di Nibbiano

C’è un luogo dove la tradizione e cultura alimentare si coniugano con l’innovazione: è il salumificio di Antonio Grossetti a Stra’ di Nibbiano, ovvero quella vallata dove vini e salumi danno il meglio di sé, incoronando un territorio straordinario. Non c’era dunque luogo migliore, anche se un po’ inconsueto, per presentare un libro di culinaria, dove analisi sociologica e ricette si miscelano come in uno sfizioso cocktail, esplorando gli anni ’80. Lo ha scritto Carlo Spinelli, 40 anni, critico gastronomico milanese conosciuto sul web come Doctor Gourmeta, con alle spalle già diversi testi e collaborazioni ed ora autore di “Ottantafame” (ed. Marsilio), ovviamente dedicato ai sapori degli anni ’80, periodo nel quale, come ha evidenziato l’autore in dialogo con la chef Isa Mazzocchi e con il “Mastro salumiere” Antonio Grossetti “il cibo, in Italia, diventa food. Appena uscito dagli anni di piombo e dalla crisi economica, il paese desidera lasciarsi alle spalle divisioni e austerità, per aprirsi al mondo e allo stesso tempo dedicarsi al piacere privato del cibo. E in una cultura gastronomica varia ma tradizionalista come la nostra, questo vuol dire in primo luogo rompere tabù, contaminare.

«Le cucine - ricorda Spinelli - diventano hi-tech e le tavole si riempiono di cibi nuovi, strani, veloci. Gli anni Ottanta sprizzano lusso, gonfiano l’Ego e scarcerano il cibo dalle prigioni della sobrietà, in un vortice di intrighi politici risolti spesso nei ristoranti tipici di Roma e Milano, mentre la “Milanodabere” prende forma e si perde sguazzante e crapulona tra i cocktail e gli aperitivi».

Quello di Spinelli è un viaggio semiserio sulle tracce della memoria gastronomica e politica del Paese, dalla Roma godereccia della Prima Repubblica ai buffet di vol-au-vent, salmone affumicato e risotto alle fragole. La televisione commerciale gioca un ruolo da protagonista, tra le pin up di “Drive In” ed il mago Galbusera sui pattini, invade le case di novità zuccherate, grasse e colorate come il panino Spuntì, il gelato Piedone e le immancabili Girella Tegolino. E mentre i menù dei ristoranti sono pieni di “fettuccine all’Alfredo”, crêpe Suzette, aspic e insalata nizzarda, arrivano i primi chef di successo come Gualtiero Marchesi, Angelo Paracucchi, la brigata del ristorante Trigabolo di Argenta o dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze.

Impazza una nuova cucina italiana, creativa e finalmente provocatoria. Ma è il fast food l’emblema degli anni 80. Ci vanno tutti, studenti e famiglie, paninari e manager, attirati da hamburger e patatine. «È incredibile- rimarca- pensare che nell’epoca contemporanea i giovani e i manager si nutrano all’opposto, preferendo di gran lunga una cucina vegetariana, sostenibile e salutista. Alla fine è cambiato tutto insomma: prima era di tendenza mangiare strano, oggi l’imperativo è mangiare sano».

Ma nel libro di Spinelli c’è spazio anche per una mappa ormai semiperduta della ristorazione di quella metropoli benestante e frenetica che per prima in Italia sganciò il cibo dagli obblighi della tradizione domestica. Lo Zi’ Maria di via Broletto che fu per i paninari il proto fast food, l’esercito di ristoranti con buffet e aragoste a vista che fecero del filetto al pepe verde il piatto yuppie per eccellenza, Al Matarel (che ancora esiste) dove i socialisti si vedevano il lunedì e dove, leggenda vuole, Craxi pescava dal piatto con le mani carni e risotti, scalzo, “come un africano”. Fu la città dei primi etnici, fu soprattutto in via Bovesin de la Riva la città laboratorio dove Gualtiero Marchesi, primo due stelle d’Italia nel 1985, concepì il risotto con foglia d’oro. Maestro mai dimenticato la cui lezione vive.

Ne è consapevole la nostra chef più illustre, Isa Mazzocchi che, nella sua Palta a Bilegno, ha arricchito la tradizione del territorio con alcuni elementi innovativi ma dove i nostri salumi Dop, principalmente la coppa, sono il quasi scontato “benvenuto” ai clienti, soprattutto degli altri territori; «quella coppa - ha detto Isa - che non mi faccio mai mancare una volta al giorno, così con le mie collaboratrici all’una di notte, quando “stacchiamo” dopo una dura giornata di lavoro. Ma oggi c’è molta più attenzione e cultura verso la materia prima, base di ogni piatto ben riuscito, che esalta i sapori del territorio».

«Veniamo - ha ricordato Grossetti - da un mondo di piccoli negozi, salumerie ed osterie, dove vigeva l’imperativo della stagionalità, dove si produceva limitatamente. Il passaggio epocale è stato avvertire che il mondo cambiava, che c’era bisogno di fornire prodotti per tutto l’anno, con un approccio sanitario vincolante. Il Consorzio - ribadisce - è stato fondamentale per questo cammino e noi oggi giustamente ne ricordiamo i 50 anni della fondazione ed i 25 delle tre Dop. La Valtidone- ha detto Grossetti- riforniva Milano già negli anni Sessanta, ma poi ha dovuto fare i conti con la certezza di una produzione che continuava tutto l’anno. I nostri salumi sono stati precursori dell’aperitivo oggi tanto di moda, sono un emblema dello stare insieme, un’emozione da gustare, l’italianità e la piacentinità vestita a festa». E per concludere ovviamente, in nome dei tempi moderni, un panino, simbolo del “fast food”, ma con dentro un cotechino, emblema del cibo povero e sapido, quello autentico della tradizione. Il tutto accompagnato dal Gutturnio.

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