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Piacenza ha un grosso capitale di “spazi aperti” da rigenerare per farli condividere con i cittadini

Dagli architetti Baracchi e Mei idee per risvegliare il senso di appartenenza alla città e dare ossigeno e qualità di vita

L’appuntamento di mercoledì 8 maggio a Palazzo Galli-Banca di Piacenza - dove la Carlo Ponzini arredamenti ha in corso la rassegna culturale che festeggia il traguardo storico del suo secolo di vita con conferenze di docenti universitari, professionisti, esperti, imprenditori - ha portato idee e orientamenti attuali sul tema della sostenibilità della rigenerazione urbana.

Hanno parlato di paesaggio urbano, nelle forme dei suoi spazi, in cui si svolge quotidianamente la vita degli abitanti, il Presidente dell’Ordine degli architetti di Piacenza, Giuseppe Baracchi e il collega Pasquale Mei, che ha sostituito Sara Protasoni docente del Politecnico di Milano, che, causa un impegno improvviso, non ha potuto raggiungere la nostra città.

Un’analisi di Piacenza nella sua evoluzione storica deve partire dai flussi abitativi. Superata la soglia dei 50 mila nel 1911, la nostra città ha guadagnato circa ventimila residenti nel successivo mezzo secolo per poi raggiungere nel 1981 quota 109mila. Negli anni Novanta ha registrato un’inversione di tendenza fluttuando tra i 97mila e i 102 mila abitanti di oggi, con un trend che gli analisti indicano negativo per i prossimi anni (dato comune alle piccole città).

La strategia di ogni pianificazione urbana deve avere presente questa evoluzione e associarla ai servizi resi e percepiti dal cittadino: dagli interventi del primo, secondo e terzo lotto realizzati nel centro città, all’’anonimo sviluppo della zona di viale Dante il cui obiettivo principale è stato quello di “dare casa”; alle riqualificazioni urbane private realizzate nel recente passato (ex Unicem- Arbos- Massarenti) “non tutte di ottima qualità”, all’intervento pubblico dell’area ex Macello, divenuto spazio museale e Campus universitario.

E’ nella percezione degli spazi del paesaggio urbano che vengono apprezzate o meno, le condizioni dell'abitare. L'urbanistica dovrebbe avere una cura maggiore nell’accertare il gradimento del cittadino-utente al “ri-uso” di quanto operato dai suoi interventi.

La riqualificazione urbana della nostra città del futuro, deve considerare anche elementi minori quali i marciapiedi, che oltre ad essere sollevati e sconnessi sono stretti e spesso resi impraticabili dalle piante, e le stesse rotatorie che progettate per far defluire il traffico e diminuire la nocività dei gas di scarico dei veicoli, andrebbero ripensate.

Una delle caratteristiche della nostra città è il patrimonio di aree dismesse e di lotti liberi, che tra civili e militari si estendono per oltre un milione di metri quadri di superficie. Città come Roma e Milano ne hanno due terzi in meno.

Ci sono poi gli “Spazi aperti” - tema approfondito in particolare dall’architetto Mei (docente universitario che è anche vice coordinatore del Corso  di laurea in Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Piacenza) - definibili come il legante capace di tenere assieme gli edifici della città e della comunicazione tra i cittadini. La città ne ha un alto potenziale, che opportunamente riqualificato potrebbe attrarre i piacentini invertendo la loro relativa scarsa propensione a vivere gli spazi pubblici, tendenza favorita anche dall’avvento dei centri commerciali che hanno portato alla periferizzazione degli spazi pubblici svuotandone però l’originale significato di Agorà condivisa.

Le aree di possibile riqualificazione sono un grosso capitale sul quale investire idee non condizionate da interessi economici, ma conformi alla tradizione, capaci di dare nuova vita, senso di appartenenza, ossigeno e qualità di vita.

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