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Piacenza quarta in Italia per eccesso di mortalità (29,9%). Cala la speranza di vita: -3,8 anni per gli uomini

Sono alcuni dei dati stimati per la nostra Provincia negli Indicatori demografici Istat del 2020, che fanno i conti con la pandemia. In Italia «la mortalità indotta direttamente/indirettamente da Covid-19 ammonta a 99mila decessi»

Piacenza quarta in Italia per eccesso di mortalità (29,9%), superata solo da Lodi (34%), Cremona (35,1%) e Bergamo (35,8%). Nel 2020 diminuisce inoltre la speranza di vita dei piacentini: 77,6 anni per gli uomini e 82,7 anni per le donne, in calo di 3,8 anni per i primi e di 2,8 per le seconde, rispetto al 2019. Sono alcuni dei dati stimati per la nostra provincia presenti nelle tabelle degli Indicatori demografici Istat del 2020. Un quadro che fa i conti con la pandemia di Covid-19, in particolare sotto la voce di “eccesso di mortalità” - ben superiore a Piacenza rispetto alla media nazionale (13%) - come sintetizzato nel report dell’Istat. «Secondo il Sistema di Sorveglianza Nazionale integrata dell’Istituto Superiore di Sanità, nel corso del 2020 sono stati registrati in Italia 75.891 decessi attribuibili in via diretta a Covid-19. Tuttavia, come già evidenziato, l’incremento assoluto dei decessi per tutte le cause di morte sull’anno precedente è stato pari a più 112 mila. Così, se da un lato è possibile ipotizzare che parte della mortalità da Covid-19 possa essere sfuggita alle rilevazioni, dall’altro è anche concreta l’ipotesi che una parte ulteriore di decessi sia stata causata da altre patologie letali che, nell’ambito di un Sistema sanitario nazionale in piena emergenza, non è stato possibile trattare nei tempi e nei modi richiesti». «In attesa degli approfondimenti sui dati dettagliati per causa di morte - prosegue l’analisi -  che nello specifico ripercorrono le fasi di ciascun singolo decesso del 2020 (dalle cause iniziali alle complicanze, fino alla causa letale ultima), è possibile effettuare alcune valutazioni di massima. Se, ad esempio, nel corso del 2020 si fossero riscontrati i medesimi rischi di morte osservati nel 2019 (distintamente per sesso, età e provincia di residenza e applicati ai soggetti esposti a rischio di decesso) i morti sarebbero stati 647mila, ossia soltanto 13mila in più rispetto all’anno precedente, invece dei 112 mila registrati. Ne consegue che la mortalità indotta direttamente/indirettamente da Covid-19 ammonta a 99mila decessi, un livello che può considerarsi come limite minimo. Infatti, nei primi due mesi del 2020, in una fase antecedente alla diffusione del virus, i decessi sono stati 6.877 in meno rispetto agli stessi mesi del 2019. È dunque lecito ipotizzare che senza la pandemia i rischi di morte sarebbero stati inferiori e non, come qui è ipotizzato ai fini del calcolo, precisamente eguali».

«Delle 99mila unità stimate come eccesso di mortalità 53mila sono uomini e 46mila donne, a riprova che la pandemia ha prevalentemente colpito il genere maschile. In base all’età le perdite umane in eccesso si concentrano tutte dopo i 50 anni e risultano maggiori all’avanzare dell’età. Fino a sotto i 50 anni, infatti, l’ipotesi di rischi di morte costanti nel 2020 sui livelli espressi nel 2019 produce un numero di decessi atteso in ogni caso superiore, di circa 1.500 unità, a quello realmente osservato nonostante la pandemia. Ciò avvalora non solo la tesi che la letalità del virus sia di fatto irrilevante nelle classi di età più giovani, ma anche quella che senza la pandemia il 2020 avrebbe potuto essere un buon anno per le prospettive di sopravvivenza nel Paese. Si registra invece un eccesso di mortalità nelle età più fragili, che per gli uomini interessa soprattutto le classi 80-84 e 85-89 anni (circa 22mila decessi in più) mentre per le donne, in ragione di una presenza più numerosa, l’eccesso prevale nella classe 90-94 anni (oltre 15mila decessi in più). A livello nazionale l’eccesso di mortalità rappresenta il 13% della mortalità riscontrata nell’anno, ma la situazione è molto varia sul piano territoriale. Nel Nord rappresenta il 19%, nel Centro l’8% e nel Mezzogiorno il 7% del totale. A livello regionale i valori variano dal 4% di Calabria e Basilicata al 25% (un decesso su quattro) della Lombardia. In quest’ultima regione, peraltro, emergono le aree più colpite. Nella provincia di Bergamo l’eccesso di mortalità costituisce il 36% del totale, in quella di Cremona il 35%, in quella di Lodi il 34%» a cui segue il 29,9% di Piacenza.  In merito invece alla speranza di vita «tutte le regioni, nessuna esclusa, subiscono un abbassamento dei livelli di sopravvivenza. Tra gli uomini la riduzione della speranza di vita alla nascita varia da un minimo di 0,5 anni (vale a dire 6 mesi di vita media in meno) riscontrato in Calabria, a un massimo di ben 2,6 anni in Lombardia».

Guardando alla tabella del bilancio demografico 2020 relativo al nostro territorio (dati provvisori, valori per mille residenti), il tasso di natalità si attesta al 6%, a fronte di un tasso di mortalità pari al 17,6%. Nel 2020 le nascite in città e provincia (età media del parto 31,5 anni) sono diminuite dell’8,1%. In calo anche il numero medio di figli delle donne piacentine, passato dall’1,42 del 2008 all’1,29 del 2020. Un decremento demografico che interessa tutte le regioni, ad eccezione del Trentino Alto Adige. A livello nazionale «nel volgere di 12 anni si è passati da un picco relativo di 577mila nati agli attuali 404mila, ben il 30% in meno. Alla contrazione dei progetti riproduttivi, con un tasso di fecondità totale sceso lo scorso anno a 1,24 figli per donna da 1,27 del 2019 (era 1,40 nel 2008), si accompagnano anche deficit dimensionali e strutturali della popolazione femminile in età feconda, che si riduce nel tempo e ha un’età media in aumento».

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