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Martedì, 16 Aprile 2024

Editoriale

Alessandro Rovellini

Direttore responsabile

Il potere di Reboli

Non era solo capo ultrà carismatico. Era, anche e soprattutto, colui che decideva chi valeva e chi no durante la notte

Di solito è patetico, quando muore qualcuno, fare coccodrilli del tipo "è morto tizio caio, ma parliamo un po' di me". Qui lo devo fare per forza, almeno un po'. Abbiate pietà. Torno indietro a quando ho 17 o 18 anni. Inizi Duemila. Festa di compleanno di un amico all'Avila. Cena pietosa da discount, vinaccio, poi discoteca. Abbiamo sfiga che esce da tutti i pori, ma ci sentiamo re del mondo. Si arriva eleganti e mano a mano che procede la serata ci si riduce allo stato brado. Ballo in mezzo alla pista con la camicia sbrindellata, scomposta, con una vistosa macchia di rosso sul petto. Non sono ubriaco, ma sembro un barbone. A un certo punto mi sento sollevare da terra. Avete presente le cagne che portano i cuccioli per la collottola? Ecco, una cosa simile. Non era mia madre ma Davide Reboli. Mi trascina fuori dal locale. Sono troppo impaurito e stupidamente timido per chiedergli qualsiasi cosa. Mi mette davanti all'entrata. Mi fissa negli occhi: "Adesso stai qui mezz'ora, ti fai una passeggiata, ti rimetti a posto, ti metti dentro la camicia, e quando sei in ordine ti faccio rientrare". Succede proprio così. Dopo mezz'ora mi ripresento. Mi guarda, mi sorride, mi dà una pacca sulla spalla e mi fa entrare. Era stato il suo modo per rende la mia serata meno ridicola.

C'è stato un momento, nella storia di Piacenza, in cui Reboli è stato più potente di un prefetto. Ho visto gente ripresentarsi 3 volte (3, dico 3) con 3 cambi d'abito per potere essere ammessi in discoteca. Ho visto gente piagnucolare, elemosinando l'ingresso. Lui decideva chi era importante e chi no. Io vedevo questa montagna di muscoli e grasso tatuata e provavo invidia per chi lo salutava amichevolmente. Più che un buttafuori, era lo stereotipo di un buttafuori. Lui si spostava, toglieva il nastro e faceva passare. Poi si rimetteva davanti. Ti squadrava da capo a piedi, e in quei 3 secondi di radiografia decideva se avevi il diritto, o no, di entrare. Perchè rimanere fuori, mentre gli altri passavano, era umiliante. Eri di serie B. Se tu lo fossi o meno, lo decideva Reboli.

Davide era 'verosimile', non era una macchietta, e andava oltre il suo aspetto fisico. Lo precedevano le leggende metropolitane, visti i suoi problemi con la legge. Ne so una decina. Probabilmente la metà è falsa, l'altra metà ancora più falsa. Quella volta che gli hanno rubato in casa e i ladri hanno fatto una brutta fine; quella volta che pestato 10 tifosi avversari che lo accerchiavano; quella volta che ha aiutato la polizia a fermare una rissa. Tutte cose che si rincorrono, si gonfiano e si sgonfiano slalomando tra le salamelle nei luridi davanti al Garilli. Ha fatto in tempo a diventare un meme, con un discorso tra il grottesco e l'epico contro i giocatori del Piacenza che arrancavano in campionato ("Facciamo un 1 contro 11? Vi meno tutti"). Era il Gregor Clegane piacentino, braccio armato di popolarità nel mondo borioso tra la Nord e la movida. Impauriva ma rassicurava, e aveva l'innata capacità di essere qualcuno. Tutti in città sapevano chi fosse. Già questo, in 53 anni vita, è un risultato che in pochi raggiungono. Nei libri di storia locale, sì, lui ci sarà.  

Un giorno, qualche mese fa, l'ho incrociato in centro. Ero col passeggino in una strettoia, lui si è spostato e mi ha fatto passare. Gli ho detto "Ciao Davide". Non so perchè, non avendo quasi mai scambiato con lui una sola parola. Ma è come se lo conoscessi da sempre. Lui mi ha detto "Ciao, prego" e se n'è andato. Mi piace pensare che quel "ciao" sia arrivato vent'anni di ritardo.

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