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Domenica, 26 Marzo 2023
La commemorazione

«In questo giardino c'è l'ultimo abbraccio che Piacenza non ha potuto dare a tanti»

Per la Giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia il Comune ha posizionato una stele vicina agli alberi del "Giardino di Vita" di via Portapuglia

Sabato 18 marzo, nella cornice del “Giardino di vita” tra via Portapuglia e via dell'Orsina, anche Piacenza ha onorato, nella Giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia, il ricordo di tanti concittadini. Nell'occasione, accanto al sindaco Katia Tarasconi, sono intervenuti il vice prefetto Luigi Swich, per la Provincia il consigliere Lodovico Albasi, il direttore sanitario dell'Azienda Usl Andrea Magnacavallo e il vescovo, monsignor Adriano Cevolotto.

La stele per le vittime del Covid ai Giardini Portapuglia - DelPapa/IlPiacenza

IL DISCORSO DEL SINDACO TARASCONI

Un anno fa, nell'atmosfera raccolta e partecipe di quest'area verde, ho ascoltato in silenzio la cerimonia che ne ha sancito l'intitolazione. Oggi, mentre il mio ruolo di sindaca mi richiede di dare voce alla nostra comunità, avverto il peso di ogni parola, sospesa tra il profondo rispetto per il dolore altrui e la consapevolezza che quello stesso dolore, in realtà, la pandemia lo ha reso proprio e tangibile per ciascuno di noi. Come se fossero anche nostre, quelle famiglie cui idealmente ci stringiamo. Nostri, gli amici che il Covid si è portato via e che insieme abbiamo pianto.

Perché in questo “Giardino di Vita” c'è l'ultimo abbraccio che Piacenza non ha potuto dare a tanti, troppi concittadini; c'è l'omaggio carico di affetto che le fasi più critiche e gravi dell'emergenza sanitaria non ci hanno consentito di rendere loro come avremmo voluto. C'è una consapevolezza, infine, che non ci abbandona e che in questa ricorrenza, dedicata alla memoria di tutte le vittime della pandemia, ci fa percepire più forte la necessità e l'urgenza di sentirci vicini, di esprimere l'intensità del ricordo e la gratitudine, tuttora così intensa e sincera, nei confronti delle persone che da quel 20 febbraio 2020 in avanti si sono fatte carico e prese cura di noi e della nostra comunità.

Lo hanno fatto con coraggio e generosità straordinari, onorando la propria etica professionale, gli ideali dell'umanità più autentica, i principi di una solidarietà fattiva e concreta. Mettendo a rischio la propria incolumità e quella dei loro cari per restare sempre in prima linea. Spesso a costo della loro stessa vita, come è stato ricordato poche settimane fa rendendo il tributo del Paese a 500 tra medici e infermieri che il Covid ha strappato ai propri affetti e al proprio lavoro, interpretato con amore sino all'ultimo istante. Nell'ingombro faticoso delle tute protettive indossate da tutto il personale sanitario degli ospedali e delle squadre delle Usca, nelle divise delle associazioni di primo soccorso e di Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco, delle Forze Armate e di Polizia, riconosceremo per sempre il simbolo dell'altruismo e della dedizione, dello spirito di servizio e del sacrificio, di una responsabilità esemplare e di un autentico senso di appartenenza alla collettività.

“... stiamo facendo quello che sappiamo fare, e forse ci sono più eroismi che viltà in circolazione. Non sappiamo cosa accadrà a noi e all'Italia fra una settimana, ma sappiamo che mai come questa volta ognuno di noi è importante”. Così scriveva, in quei giorni febbrili di paura e incertezza del marzo 2020, Franco Arminio: qui ritrovo l'impegno infaticabile di tutte le istituzioni riunite sotto l'egida della Prefettura, nel confronto costante tra la Regione Emilia Romagna, l'Azienda Usl, i sindaci di tutti i Comuni del territorio. Giovanni Malchiodi, ai cui familiari va il nostro pensiero. E Patrizia Barbieri, che vorrei ringraziare in particolare accanto a ciascuno dei primi cittadini della nostra Provincia.

In questa giornata, del resto, si accostano per noi tutti istantanee e frammenti di memoria: il profilo delle tende dell'ospedale da campo e il successivo allestimento dei centri vaccinali, il silenzio nelle scuole e lungo le strade, le mani tese di volontari, scout e sacerdoti, la trincea dei lavoratori dei supermercati e di tutti i servizi che, mentre il mondo si fermava, hanno continuato a garantirci l'essenzialità del quotidiano. La processione greve e silenziosa dei camion a Bergamo, la solitudine delle carezze negate, la tenerezza di due anziani che si sfiorano le mani separati da un vetro, di una serenata intonata sotto le finestre dell'ospedale: immagini che hanno fatto il giro del mondo e che oggi non rivediamo con gli occhi, ma con il cuore.

La preghiera del vescovo Cevolotto «per non dimenticare»

O Signore, siamo qui a far memoria per non dimenticare.

Per non dimenticare, con il senso di smarrimento e di paura di quei mesi, l’esserci sentiti parte della medesima umanità, senza distinzioni sociali.

Per non dimenticare il silenzio assordante e la preziosità delle parole.

Per non dimenticare i tanti gesti di cura, straordinari e ordinari, che ci hanno nutrito e salvato.

Per non dimenticare che senza speranza non c’è presente e quindi non c’è vita.

Per non dimenticare i nostri cari e coloro che non conoscevamo ma che abbiamo sentito fratelli e sorelle che ci lasciavano.

Per non dimenticare che non si può andar via da soli. Senza congedo. Per non dimenticare che la malattia e la morte vanno accompagnate perché siano umane.

Per non dimenticare chi non può permettersi di voltare pagina, perché il Covid è impresso nella sua carne e nel suo cuore in una ferita aperta per un vuoto che sembra incolmabile.

Per non dimenticare che abbiamo chiamato “eroi” chi ‘semplicemente’ stava facendo il proprio dovere e che allo stesso modo continua a farlo oggi. A servizio dei più fragili e quindi per tutti. Anche se noi rischiamo di dimenticarlo.

Per non dimenticare che non siamo immortali, che non siamo onnipotenti: la vita è preziosa, unica e bella perché è custodita da te, in vita e in morte. Perché Tu sei la Vita Eterna.

Amen.

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