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Il ricordo

«Nessuno può permettersi di ignorare il suo amore per questa città»

Una “piacentinata” in memoria di Sforza

Lo so per certo. Moltissimi commenteranno: “et vist, anca lü con tutt i so sod, a le andӓ”. Quelli un poco più raffinati citeranno “’a livella”, ma il risultato sarà lo stesso. Voglio essere crudo: apparentemente ed ufficialmente ci saranno tanti piangenti salamelecchi, ma alla fine, come sempre, poi prevarrà l’indifferenza e dopo pochi giorni tutto finirà, confermando ciò che ci confidiamo sempre, nelle nostre lunghe passeggiate, con l’amico Carlo, di quanto sia effimera la gloria ed il potere e come tutto svanisca con la rapidità di un pappo al primo colpo di vento. Piacenza puttana, come l’ho definita in una delle mie poesie (che prima o poi mi deciderò a pubblicare), non mancherà di colpire ancora con il suo “muro di gomma”, con la sua imperturbabilità, eppure stavolta il colpo è davvero terribile per la sua sopravvivenza storico- culturale.

Corrado Sforza Fogliani, a modo suo, questa città l’ha amata davvero e con lui la Banca era diventata davvero di Piacenza e Palazzo Galli il suo centro culturale, oasi in un infuocato deserto di iniziative. Ripiomberemo senza di lui in quell’atmosfera sonnacchiosa che tanto piace a noi piacentini.

Uomo certo dal carattere non facile, quasi un principe rinascimentale con la sua corte, con pochi veri amici e molti altri, “obtorto collo”, una dinamicità che forse nascondeva un’ansia di sopravvivenza che il tempo rapidamente sgretolerà.

Così, come per il poeta Faustini che nella prima strofa di una poesia si diceva sicuro di avere un cuore che sarebbe tornato a battere se fosse stato portato in Piazza Cavalli (E quand me sarò mort purtèm in piazza; culghèm dastes là in mezz ai piasintein; ciamèm una batusa, una ragazza; con la sisura cl’ha ma squärsa in sein; cl’am vera bein al cör, e po là sura cl’as pröva a dì: Piaseinza!... al battrà ancura), sarebbe opportuno che quello di Corrado potesse riposare nella sua S. Maria di Campagna, come hanno potuto fare per secoli i nobili piacentini, lui che di questa nobiltà incarnava i molti pregi e qualche difetto. Ma nessuno può permettersi di ignorare il suo amore per questa città, quel suo desiderio di cambiarla in meglio, lui, personaggio nazionale che avrebbe dovuto diventare sindaco “ad honorem” e forse, davvero, avrebbe potuto mutarla.

Così con questa mia “piacentinata” lo voglio ricordare, voglio rammentare la sua stretta di mano prima quasi impacciata quando mi conosceva solo superficialmente, poi forte e convinta quando, anche con le mie conferenza a Palazzo Galli e con il mio romanzo, aveva compreso quanto anch’io ami (ed odi) questa mia città che, nonostante Corrado ci sia passato come un vento impetuoso, non cambierà mai, mantenendo intatti i suoi, troppi, difetti.

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