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Ricordo e considerazioni sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio

Profonda e stimolante lectio magistralis di Carmelo Sciascia alla Dante Alighieri

Capaci (sul raccordo autostradale Punta Raisi-Palermo) e Via D’Amelio nel capoluogo siciliano, sono nomi di sconvolgente dolore per la storia contemporanea d’Italia. Rispettivamente il 23 Maggio e il 19 luglio 1992, due spaventose telecomandate esplosioni al tritolo seminarono sangue, distruzione, la morte dei magistrati Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo, di Paolo Borsellino, di otto agenti delle scorte.

La “Società Dante Alighieri” a inizio del nuovo anno sociale ha ricordato, in collaborazione con la “Famiglia Piasinteina, le due stragi mafiose nel 30° anniversario con una eccellete “Lectio magistralis” del prof. Carmelo Sciascia: non si è inteso attuare un “formale” atto di circostanza – ha rilevato il presidente della “Dante”, Roberto Laurenzano – ma proporre attraverso il ricordo dei due magistrati, un’occasione di conoscenza e riflessione socio-culturale indirizzato soprattutto alle giovani attuali e future generazioni.

Sciascia ha collocato l’origine pratica della cultura mafiosa dalla fine’800-primo‘900, su base terriera, cioè con l’impossessamento di vasti terreni agricoli di proprietà nobiliare da parte degli affittuari, favoriti spesso dal non raro disinteresse della nobiltà. Ma ciò sviluppò una condotta di vessazioni, non aliene da violenze e progressivi poteri autoritari da parte dei nuovi “padroni” (miope anche lo Stato), nei confronti dei contadini fino al formarsi una sorta di esistenza di “uno Stato nello Stato”, situazione di fronte alla quale le Autorità Istituzionali, nonostante episodi di collusione con la malavita, si sono dimostrate spesso impotenti, insipienti e anche tolleranti.  E’ appurata ad esempio, la cooperazione Mafia-Forze Anglo-americane per lo “sbarco” in Sicilia nel 1943 (con accordi col Capo-mafia siculo-americano Lucky Luciano: vedasi documentazione 29.10.43/Foreign-Office).

Sciascia ha tracciato con chiarezza un “quadro” della progressiva ascesa del “turbine” mafioso dal dopoguerra a oggi, a cominciare dal massacro nel 1947 di Portella della Ginestra contro contadini, donne e bambini, dallo scontro Carabinieri-bandito Giuliano-Pisciotta; su “connubi” fra politici e mafia locale, fino a condanne dell’organizzazione mafiosa, ma senza mai intaccare “raffinate menti politiche mandanti”. Numerosi “Piani regolatori” sono stati ispirati a interessi speculativi e intrecci politici (vedasi il film-documento del regista Francesco Rosi “Le mani sulla città”), vi è stato il “caso Sindona” e le campagne delegittimanti l’azione di Falcone e Borsellino, la lunga serie “Killeristica” mafiosa con gli omicidi di validi servitori della Giustizia determinati a combattere il potere di Cosa Nostra e le sue truci condotte assassine e di profitti illeciti.  In questo contesto è inquietante l’affermazione del Cardinale Ruffini, di Palermo, la Domenica delle Palme del 1964: “la Mafia non esiste” ... “le grandi piaghe della Sicilia erano ... Tomasi di Lampedusa con “Il Gattopardo” e Danilo Dolci con una continua diffamazione dell’isola”! 

Oggi sono sempre più numerosi ed efficaci i “blitz” da parte delle Forze dell’Ordine: ne va dato atto e ampia gratitudine. Ma il “cancro” mortale esiste ancora; non più in forma di “lupara”, ma di “managerialità” laureata, infiltratasi variamente in gangli di rilevanza economico-finanziaria, istituzionale, industriale, di mercati, di droga, di sport, e quant’altro. Il “Potere mafioso”, oggi ormai esportato in varie parti dell’intera Nazione, non lo si è riuscito “o voluto?” debellare.

Falcone e Borsellino sapevano tutto ciò e sapevano di essere costanti bersaglio di morte. Appena dopo l’assassinio di Falcone, Borsellino ebbe a dire testualmente “Devo far presto, non ho più tempo”. Sapeva benissimo che presto sarebbe toccato a lui stesso. Ed infatti dopo meno di due mesi dalla strage di Capaci, ecco “Via D’Amelio” e la “scomparsa” di quella famosa “Agenda rossa” ove Borsellino annotava tutto; ecco i vergognosi depistaggi che hanno portato a ben quattro processi fino al 2021!

Sciascia ha terminato richiamandosi alle parole del giudice Nino Di Matteo (sotto scorta dal 1993), a Palermo: “È il momento di scegliere tra Noi e Loro, da che parte stare”. A Noi piacciono i magistrati vivi che indagano bene ed in ogni direzione, a Loro i magistrati morti antimafia; a Noi piace andare in fondo, cercare sempre la verità, se non assoluta, la più plausibile; a Loro girarsi dall’altra parte e simpatizzare con politici corrotti o collusi; a Noi piace che la politica sia un utile strumento per una società migliore”

Laurenzano ha poi ricordato il rifiuto dello Stato a Dalla Chiesa, dei “pieni poteri” (come li aveva peraltro ricevuti per debellare – e vi riuscì – il terrorismo nel Nord, da Generale dei Carabinieri) e quanto il Generale ebbe a dire con forte amarezza “Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì!”. Si dice sempre che “giustizia è fatta”, ma poi certe impunità sono garantite. Giovanni Falcone (così come avvenuto anni prima per Dalla Chiesa, che aveva “appunti pesanti” nei suoi “notes”) fu esautorato dalla sua “naturale” funzione, con la “formale” promozione ad incarico di alto livello a Roma (Direttore Generale degli Affari Penali), alla pari di Dalla Chiesa, tolto dalla “divisa” e mandato quale Prefetto a Palermo per ... contrastare la mafia: - promoveatur, ut amoveatur  -(sia promosso affinché sia rimosso); entrambi poi abbandonati e isolati e dopo soli due mesi, i vili assassinii

Alla Conferenza è intervenuto il dott. Gaetano Rizzuto (già direttore di “Libertà”), attuale direttore de “Il Magistero del Lavoro”, periodico nazionale di cultura economico-sociale, del Maestri del Lavoro, ricordando la propria lunga frequentazione con Falcone al tempo in cui il giudice era al Tribunale di Trapani.

“Dal 1971 al 1977 - ha ricordato Rizzuto - quasi tutti i giorni incontravo, per lavoro, il giudice Giovanni Falcone e il sostituto procuratore della Repubblica di Trapani Giangiacomo Ciaccio Montalto, entrambi impegnati su inchieste di mafia, entrambi uccisi da Cosa Nostra. Trapani e la provincia erano, e sono ancora oggi, dominate dalla mafia. Nel trapanese infatti opera, da latitante, il super boss Matteo Messina Denaro”. “Già in quegli anni Settanta – ha aggiunto Rizzuto - Falcone aveva intuito che contro la mafia bisognava creare una superprocura che potesse indagare su tutti i territori ed aveva soprattutto capito che l’arma migliore per combattere e sconfiggere la mafia era di colpirla nel suo patrimonio, nei suoi possedimenti, bloccando i suoi traffici illegali. Cosa poi attuata molti anni dopo con la legge Rognoni-La Torre”. Falcone - ha concluso Gaetano Rizzuto - già in quegli anni, in tanti colloqui con me, sosteneva che il fenomeno della mafia era di natura umana e come tutte le cose umane hanno un inizio e una fine, anche se sottolineava che si sarebbe trattato di una lotta lunga, e che bisognava puntare sulle nuove generazioni per isolare e battere la mafia. Poi Falcone a Palermo ha messo in atto questa sua strategia che ha inferto duri colpi alla mafia.

Magistrale conferenza di ampio respiro questa con Sciascia; di doverosa ”Memoria”, ma anche di “Speranza”; debellare la mafia non è un’utopia: perché, “un uomo non muore in modo definitivo finché resta un punto di riferimento delle azioni di quanti lo seguono”.

Il testo completo della “lectio” di Carmelo Sciascia è pubblicato nella rubrica “libertà di pensiero” del nostro quotidiano al link:

https://www.ilpiacenza.it/blog/liberta-di-pensiero/falcone-e-borsellino-considerazioni-nel-ricordo-dei-due-giudici.html

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