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Venerdì, 29 Marzo 2024
Attualità

Riparte l’attività della Famiglia Piasinteina e della Dante

Con la conferenza “Dante padre della lingua italiana” la Famiglia Piasinteina e la Dante hanno ripreso l’attività dopo il lungo periodo di blocco per l’emergenza coronavirus

La conferenza sul tema “Dante, padre della Lingua italiana: ruolo di questa nell’identità delle nostre radici” tenuta dal presidente della Società” Dante Alighieri” di Piacenza Roberto Laurenzano nella bella e accogliente nuova sede della “Famiglia Piasinteina” e con questa organizzata, ha dato il “LA’” alla piena ripresa dell’attività culturale di entrambi i sodalizi. Laurenzano ha polarizzato l’attenzione della sala in versione tutto esaurito, con un “excursus” storico-linguistico, del quale pubblichiamo una sua sintesi.

La denominazione “Italia” emerge nel 2° millennio a.C. quando una comunità greca immigrò in Sicilia, ove già preesistevano i Sicilioti, e si stabilì nella parte orientale dell’isola, per poi espandersi anche nella vicina terra calabra. Erano gli Enòtri, il cui antichissimo Re era stato Italos, forse leggendario, ma che lo storico Antioco di Alicarnasso e lo stesso Aristotele menzionano.

Più sicura appare l’origine dalla parola “uìtulos” degli Enòtri-Italiòi, e poi da “viteliù” dei successivi Osci (giunti dall’antica Pannonia, odierna Ungheria), stante la ricchezza di “bovini” in quelle terre. Successive varie altre comunità stanziatesi nella penisola, e lentamente unitesi con le pre-esistenti, determinarono nei secoli la nascita di varie lingue “locali”. Da una di queste comunità (i Latini”, abitanti del Latium) derivò Romolo, fondatore di Roma (dal nome del fondatore, o forse da “rumon”, antica denominazione del Tevere). Roma repubblicana e poi imperiale determinò l’espansione della lingua latina, ma di fatto, questa era usata (a prescindere dall’aspetto letterario) solo a Roma e in terre limitrofe; nei territori conquistati si continuò a parlare la “lingua specifica del posto”, al più con alcuni latinismi favoriti dalla presenza delle milizie romane, o da opportunità commerciali.

Con la caduta dell’Impero d’Occidente (476.d.C.), in pochi secoli anche il latino “parlato” andò mutando, e lingue “locali” ebbero ruota libera. Pertanto, fermo restante il tipo di latino delle esigenze “ufficiali e formali” e letterarie, il “parlato” ebbe presto poco a che fare col vecchio latino. Il ritrovamento nel basso-Lazio, nel 960 d.C., dell’unico documento giuridico “scritto” in lingua “parlata” (il Placito Cassinese o Capuano) evidenziò il linguaggio in uso quanto meno in quel territorio. Solo nel secolo XII, con la Scuola Siciliana presso la Corte del re di Sicilia Federico II° di Svevia, si avvertì un’opportunità di una lingua raffinata scritta, fermo restante il “parlato” locale. Giacomo da Lentini, Cielo d’Alcamo e pochi altri ne furono gli esponenti fondamentali. Tale lingua fu conosciuta poi anche in Toscana, e ammirata dallo stesso Dante, grazie soprattutto ai “copisti” dopo che, decaduta la Corte Sveva, pure la Scuola Siciliana si era conclusa.

Più o meno contestualmente Dante aveva avvertito la necessità di un mezzo espressivo letterario raffinato che sostituisse il latino, e comprensibile a tutti più di quanto non fosse il latino letterario per il “vulgus”. Scrisse il trattato “De Vulgari eloquantia”, in latino (dunque per persone dotte) sostenendo tale tesi. Esaminò le numerose lingue “locali” della nostra penisola (tra l’altro, conobbe ed apprezzò il “piacentino”, da lui giudicato bello, positivo e musicale) e alla fine determinò che la lingua presentante i richiesti requisiti fosse il “fiorentino letterario del ‘300” perché in esso ritrovava l’esemplare struttura sintattico-grammaticale, solida ed eccellente, dell’antico latino letterario. E in tale lingua compose la “Commedia”.

La successiva “questione della lingua”, con Pietro Bembo nel ‘500 (che comunque ammirava la lingua di Dante, ma avrebbe preferito la lingua del Petrarca per la poesia e del Boccaccio per la prosa), non intaccò l’operato di Dante: come Romolo aveva tracciato “il solco” di Roma, così Dante aveva ormai tracciato il “solco” della lingua sia pur letteraria, la quale poi sarebbe divenuta, dopo ulteriori secoli, la nostra lingua “italiana” nazionale.

Nel 1827 Alessandro Manzoni si recò di persona a Firenze per “sciacquare i panni in Arno”: cioè per pulire da lombardismi, localismi, francesismi, spagnolismi, la propria lingua de “I promessi sposi”. Con l’Unità d’Italia (1861) nasceva in concreto la “nostra” lingua “italiana” unitaria. Tuttavia, l’elevato analfabetismo (circa il 98% della popolazione) di fatto manteneva un “parlato” nelle tradizionali lingue locali, che oggi denominiamo “dialetti”, lingue comunque da tramandare quali segni viventi di storia locale.

Ma è attraverso la Lingua Nazionale che una comunità avente alle spalle un retroterra di storia, cultura, arte, costumi, religiosità, eventi vari, testimonia la propria “identità”. La Lingua ne comprova la “radice” unitaria. Laurenzano in chiusura della applaudita conversazione, ha anche evidenziato taluni strafalcioni linguistici oggi presenti per moda, ignoranza o capriccio, tra i cui lo sbagliatissimo significato attribuito arbitrariamente da qualche decennio al “piuttosto che” rispetto al suo esatto “naturale” significato linguistico sempre avuto assai ben diverso e contrapposto. La lingua si trasforma, certo; ma ciò non vuol dire “sconvolgerne” con “arbitrio” sintassi, grammatica, struttura. Parimenti, giusta e “naturale” è l’introduzione di “neologismi”: i quali però diventano tali solo se “interiorizzati e accettati” dal “consenso generale sociale”, e non da singoli a piacimento; nonché l’uso di termini stranieri, purché utili, sintetici, e di comune “accettazione”, e non invece propri soltanto per “addetti ai lavori”, costume che sa di poca ragionevolezza linguistica.

PROSSIMI APPUNTAMENTI

- GIOVEDI 14 OTTOBRE 2021 ore 16,30, Palazzo Galli - Banca di Piacenza: conferenza del prof. Fausto Fiorentini in ricordo del centenario della nascita di S.S. Giovanni Paolo II (1920-2020), Karol Wojtyla: l’uomo, il pontefice e il suo ruolo nella storia.

- SABATO 23 OTTOBRE 2021- ore 16, Sala Colonne Palazzo vescovile, Compagnia Scenico-Teatrale di Giovanna, “La Maschera Di Cristallo”, rappresenta “Dante In Città”, la passione civile del Sommo Poeta rivive sulla scena”. Drammatizzazione di “sequenze” dantesche. Al pianoforte Manuel Pietra.

- GIOVEDI 28 OTTOBRE - ORE 16,30 Salone Famiglia Piasinteina nella nuova sede di via X Giugno, 3: Conferenza del Prof.  Maurizio Dossena “I DUE SÓLI: medievalità, universalità e perennità della visione politica di Dante.

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