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Martedì, 19 Marzo 2024
Il recupero / Facsal / Via Pietro Giordani

Un ristorante nell’ex falegnameria di Sant’Agostino: «Condividere spazi di cultura chiave per fare impresa»

Da Milano al recupero di un'area del sito cinquecentesco, divenuto sede di "Io Luigi Taglienti": «A Piacenza meno stress e natura vicina, oggi la provincia ha tanto da raccontare»

L'esterno è il cortile della chiesa sconsacrata di Sant’Agostino, l’interno l'ex falegnameria adiacente al monastero; luoghi storici della città che nei secoli ne hanno viste tante - il passaggio alla funzione di ospedale militare del primo e di caserma del secondo, per citarne alcune - l’ultima, in ordine di tempo, risale a pochi mesi fa. Dal giugno scorso, questi spazi del sito cinquecentesco che occupa l’incrocio tra stradone Farnese e via Pietro Giordani, sono difatti occupati da tavoli e mise en place, frutto di un recupero a cui è seguita l’apertura del ristorante “IO Luigi Taglienti”.

Classe 1979, originario di Savona, chef Taglienti ai fornelli è «attivo da una vita» racconta, passione coltivata fin da giovanissimo: «Mia nonna ha sempre cucinato super bene, ogni giorno variava, con il nonno andavo nell’orto dove ero attirato dall’odore del pomodoro verde non maturo, sfumature particolari che credo mi abbiano dato “il là” a entrare in questa professione: l’acidità è tuttora un segno che contraddistingue la mia proposta». Gavetta in Italia e all’estero - «in Francia ho capito che la cucina si evolveva anche in maniera diversa» - nel 2008 arriva la prima stella Michelin, portata a Cuneo e poi a Milano, dove tutt’ora vive, nei ristoranti Trussardi alla Scala e Lume. Dal capoluogo lombardo Taglienti ha “trasferito” la propria cucina in Sant’Agostino, premessa il sodalizio con Enrica De Micheli e Volumnia, galleria dedicata al design storico italiano (nelle foto in gallery) e progetto espositivo attivi nell’ex chiesa. Ragione dell’intervista, cogliere lo sguardo di chi, da fuori, sceglie di investire in questo territorio.              

Perché qui? «Non conoscevo per nulla Piacenza, poi ho incontrato Enrica (De Micheli, ndr) mi ha mostrato la galleria – per chiunque entri l’effetto è “wow” - ma al di là di questo, lo spazio mi ha fatto pensare alla sua possibile evoluzione. In una grande città, come Milano, è difficile trovare un luogo così bello. La visione l’abbiamo sposata e portata avanti un po’ insieme, una sorta di prolungamento vicendevole tra galleria e ristorante. Possiamo definirci anche dei precursori, perché non siamo il classico ristorante nel museo o nel teatro, ma un ristorante autonomo in dialogo con una galleria, Volumnia, che parla di storia, di design e soprattutto di italianità; condividere spazi di bellezza e cultura oggi è la chiave per fare impresa».

La città di provincia esercita un’attrattiva maggiore rispetto alla grande città? «In questo momento storico la provincia ha tanto da raccontare. Io faccio avanti e indietro tutti i giorni da Milano e ho molti clienti che si stanno spostando nel Piacentino, non solo per il weekend; qui hanno la possibilità di vivere con meno stress, in una situazione molto più tranquilla e meno caotica. Siamo a soli quaranta minuti da Milano e con una gita fuori porta puoi vivere un’esperienza; hai la pausa relax con il cibo, cultura e bellezza nella galleria qui a fianco e nel centro storico di Piacenza, una città meravigliosa. Abbiamo clientela che arriva anche da Cremona, Parma o più lontano, come dalla Toscana, apposta per noi».

Cosa l’ha colpita di più di Piacenza? «La vivibilità e l’accesso alla natura. Poter vivere in città ma in quindici o venti minuti raggiungere il verde e le colline è un grande valore aggiunto; non l’unico, perché è anche geograficamente e logisticamente molto competitiva. Tante sinergie mi hanno dato la spinta».

Come si cala in un’altra realtà la propria visione? «La capacità di un cuoco moderno è quella di saperla adattare al luogo in cui sta lavorando. La proposta è quella di una cucina di super ricerca basata sull’italianità; schietta, diretta e con un rapporto qualità-prezzo molto alto, così da rendere un’esperienza gastronomica di alto profilo accessibile un po' a tutti».

«Un mix proiettato su Piacenza» aggiunge lo chef. «Il territorio lo sto scoprendo piano piano, scelgo ristoranti che mi danno la possibilità di apprendere realmente la cucina del territorio, piuttosto che un’interpretazione della stessa. Ad esempio, Il tortello con la coda lo facciamo in modo classico tradizionale, poi lo impreziosiamo con la nostra visione. Ci piace giocare con gli ingredienti, dalla preparazione dei pisarei e fasò possiamo creare una salsa da abbinare al manzo o al pesce; l’importante è rispettare sempre il sapore della tradizione e di un prodotto, così che resti riconoscibile».

«A cinque mesi dall’apertura siamo ancora una start-up, che però sta lavorando - conclude Taglienti - devo dire che la risposta su Piacenza e fuori ce l’abbiamo e la scelta è stata anche concepita per far vivere questo luogo a tutti».

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