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Attualità

Non era una tempesta nel bicchiere

Un racconto del 1989 firmato da Umberto Fava ritorna d'attualità

“...pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazione de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali...”. Così Boccaccio inizia il suo Decameron con la descrizione della peste, della “tanta afflizione e miseria della nostra città”.

Di ogni pestilenza – di quella del 1348 a Firenze e di questa del 2020 in pratica su tutta la terra - di ogni spaventoso contagio c’è l’aspetto più oscuro e inquietante: la ricerca di una ragione – punizione, fatalità, o cos’altro. E la scoperta che non c’è nessun perché, dato che c’è solo un percome, genera l’effetto di una misteriosa mortale minaccia che viene da molto lontano, la consapevolezza del nulla, il senso della vulnerabilità umana, dell’uomo nudo davanti al Male e al Dolore, armato solo della speranza nel miracolo finale.

Nel 1989 le Edizioni Lodigraf di Lodi pubblicarono un mio libro di racconti: proprio quello d’apertura affronta questo tema, la paura di questi nostri giorni, il terrore di qualcosa che non si capisce e non si vede, che passa per l’aria e colpisce alle spalle e fugge, lasciando dietro di sé una lunga fila di bare.

Ripropongo l’ultima delle tre parti della storia: che parte da un’osteria, un castello di carte costruito da un vecchio ubriaco e i quattro re di briscola. Ed un bambino col cavallo a dondolo e una paggetta con la piuma sul cappello.

Il racconto di fantasia e leggerezza s’intitolava (come il libro) “La tempesta nel bicchiere”. Ora lo cambio in “Non era una tempesta nel bicchiere”. Era la storia di Gelsomino e Viola in fuga dal castello, lui suonando uno zufolo, lei un filo d’erba. Poi…

Non era una tempesta, il racconto

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