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L'intervento

«Sentenza Levante, Piacenza non si senta offesa: no ad attacchi personali al giudice»

L'Associazione Nazionale dei Magistrati interviene dopo le polemiche seguite alla pubblicazione delle motivazioni del giudice: «Rimarginare e non infierire sulla ferita che alla città è stata inflitta da anni di attività criminali»

«La città non può, e non deve, sentirsi offesa da una sentenza, pronunciata all’esito di indagini e di un processo condotti in modo esemplare anche per i tempi contenuti di definizione, in cui traspare il vero senso del servizio del Giudice alla propria comunità di appartenenza». Così, in una nota ufficiale, la Giunta distrettuale Emilia Romagna dell'Associazione Nazionale dei Magistrati interviene dopo le recenti polemiche scaturite dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza del processo per i fatti della caserma Levante dei carabinieri.

«Il Giudice che ha celebrato il processo ed ha redatto la sentenza - spiega la nota - sta subendo da giorni ripetuti e violenti attacchi sul piano personale, e che diversamente dalle critiche ci paiono irricevibili: si legge addirittura di richieste di azioni disciplinari per avere scritto nelle motivazioni della sentenza alcuni dati del contesto (anche storico, documentato da sentenze passate in giudicato o comunque da provvedimenti giudiziari) in cui si è sviluppata la vicenda».

«Le critiche al “conformismo ideologico e a una visione manichea della realtà” - sottolinea l'associazione dei magistrati - sono il cuore stesso del lavoro del Giudice e parlano in primo luogo alla coscienza di chi ha il dovere di tutelare i diritti. La poderosa sentenza ripercorre oltre dieci anni di fatti criminali di inusitata gravità. Lo fa con durezza rispetto ai fatti e alle responsabilità, ma con altrettanta sensibilità istituzionale. Lo fa a nome di tutti, “in nome del popolo italiano”, volendo rimarginare e non infierire sulla ferita che alla città e ai cittadini è stata inflitta da anni di attività criminali compiute da uomini delle istituzioni. Riteniamo che questa sentenza sia stata pronunciata anche in nome nostro».

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