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Tragedia della Pertite, la commemorazione nel 78° anniversario

Ha avuto luogo in piazzetta Pescheria la cerimonia di commemorazione delle vittime dell’esplosione che, nell’estate del 1940, devastò la fabbrica di caricamento proiettili di via Emilia Pavese

Mercoledì 8 agosto, nel 78° anniversario della tragedia della Pertite, ha avuto luogo in piazzetta Pescheria la cerimonia di commemorazione delle vittime dell’esplosione che, nell’estate del 1940, devastò la fabbrica di caricamento proiettili di via Emilia Pavese. Nell’occasione è stato tributato l’omaggio anche agli operai che persero la vita, all’interno dello stabilimento, a seguito dello scoppio verificatosi nel settembre 1928.A rappresentare l’Amministrazione comunale è intervenuto l’assessore Paolo Garetti, affiancato dai rappresentanti di Anmil che, come di consueto, hanno deposto una corona d’alloro in omaggio alle vittime del lavoro. La benedizione è stata impartita dal cappellano militare don Daniele Benecchi.

Il discorso dell’assessore Paolo Garetti per la commemorazione del 78° anniversario della tragedia della Pertite

Sono trascorsi 78 anni, da quel pomeriggio d’estate in cui Piacenza fu scossa e ferita, in modo indelebile, dalla drammatica esplosione che sventrò la fabbrica di caricamento proiettili della Pertite. Un luogo di lavoro che, nell’agosto del 1940, apriva le porte a un migliaio di concittadini: donne e uomini che condividevano la fatica della catena di montaggio, la dignità dell’impiego con cui mantenevano i propri figli, le speranze e le aspettative per il futuro, ma anche la paura per l’incedere di una guerra che si faceva, per il nostro Paese, sempre più vicina.

La storia ci ha consegnato testimonianze toccanti nelle parole dei familiari, cui oggi Piacenza rinnova il proprio abbraccio sincero e la profondità di un ricordo che non si affievolisce, sebbene i pochi documenti dell’epoca non abbiano mai permesso di chiarire le cause di quanto avvenne quel giorno. A distanza di tanti anni non possiamo affermare, con certezza, se fu un tragico incidente a provocare la morte di 47 persone e il ferimento di altre centinaia o un vile, strisciante attentato mirato a colpire l’ingranaggio nodale di un’industria bellica fiorente.

Quel che resta, e che il tempo non potrà mai cancellare, è il dolore per le vite spezzate, il senso profondo di ingiustizia e di sgomento che ancora oggi ci coglie nel rievocare i boati dei due scoppi intensi e ravvicinati che riecheggiarono, alle 14.42 di quell’8 agosto, nei quartieri dell’Infrangibile e di Sant’Antonio, prima che il suono inequivocabile delle sirene raggiungesse le altre zone della città. E mentre i muri delle case circostanti tremavano, coperti dal fumo e dai detriti polverizzati che si depositavano a terra, i vetri che andavano in frantumi alle finestre erano il simbolo della quotidianità che decine di famiglie, la sera stessa, non avrebbero più ritrovato. 

E’ così che, in questa cerimonia solenne e sentita, la nostra presenza assume il significato importante di un gesto d’amore, di conforto, di rispetto nei confronti delle vittime e di tutti coloro che riportarono – sul corpo e per sempre nell’animo – i segni della deflagrazione. Tornano allora alla mente le parole, semplici e vere, di chi in questi anni ha raccontato, attraverso la stampa locale, l’esperienza vissuta quel giorno: una bambina di dieci anni attonita al cancello della fabbrica, mentre aspetta invano che la mamma le corra incontro alla fine del turno; due fratellini cui il giovane papà, improvvisamente solo, deve annunciare la verità più dura; una bimba che della mamma, vista per l’ultima volta in un letto d’ospedale, custodisce dentro di sé l’immagine con l’abito più bello. Sono le persone che anno dopo anno, con una compostezza silenziosa che parla al cuore di ciascuno di noi, abbiamo ritrovato in questa piazza, al cospetto del sacrario cui oggi ci accostiamo per rendere il tributo della comunità piacentina a chi è caduto, come in trincea, indossando la tuta da lavoro. Nella giornata in cui si celebra, in onore dei 136 minatori nostri connazionali morti a Marcinelle nel 1956, la Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, rendere onore alle vittime della Pertite vuol dire ribadire con forza la responsabilità morale e civile di proteggere la sicurezza nelle fabbriche, nei cantieri, nei luoghi in cui si produce uno sviluppo economico che non può né deve mai prescindere dalla tutela della vita e dei suoi diritti inalienabili.

Con questa consapevolezza, oggi, il nostro ricordo partecipe e commosso va all’altro, drammatico incidente in cui, nel settembre del 1928, restarono uccisi nello stabilimento di via Emilia Pavese 13 operai e tre persone vennero ferite. Una vicenda riportata alla luce pochi anni fa, ma inscindibilmente legata alla storia e all’identità di quel complesso industriale che prendeva il nome dall’esplosivo usato per il caricamento di granate, detonatori e proiettili. Un materiale dirompente, sensibile all’urto, pericoloso. Le tragedie di cui fu teatro ne fanno, per noi, un luogo di memoria. Nel nome delle vittime del lavoro e delle vittime civili di guerra. Nel nome di chi, come recitano le lapidi poste alle mie spalle, “fabbricava, per pane, strumenti di morte” e di coloro la cui morte restò, purtroppo, “un presidio inascoltato”.

E’ scritto anche in quelle parole, il senso autentico della cerimonia odierna. Nell’impegno a far sì che non vi sia nulla di vano, di disatteso, di indifferente in quelle dolenti pagine del nostro passato, così come nello stillicidio di stragi del nostro tempo. Ricordare vuol dire comprendere e riaffermare le ragioni per cui non deve accadere mai più: questo è il tributo più importante che possiamo rendere alle vittime della Pertite.

Grazie.

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