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Nel Medioevo Piacenza terra ospitale per i pellegrini della via Francigena

Un tetto, un letto di paglia e un piatto di cibo lo trovavano tutti

La tappa francigena piacentina in quel florido medioevo a cavallo tra XII e XIII secolo offriva principalmente alloggio: Piacenza era una conosciuta città di ospitali e rinomata nell'accogliere pellegrini di ogni “lingua e nazione”.

In “ospitium” presso la chiesa di Santa Brigida potevano alloggiare comodamente gli irlandesi, in San Sepolcro “militi vari” e "crucisegnati" (crociati) in andata o ritorno dalla Terra Santa. E così via, lungo tutto l’asse romeo al ridosso dell’asta fluviale del Po e fin alle sue altre diramazioni stradali verso le valli.

Un tetto, un letto di paglia e un piatto di cibo però lo trovavano tutti, anzi anche di più, perché appunto per i malati c’era una solerte e gratuita offerta d’assistenza nelle decine d’ospitali, e tutti d’indole religiosa, gestiti magari da laici ma sempre sotto l’egida d’un convento o di puro spirito cristiano.

Ma il pellegrino cercava anche - e soprattutto - corpi santi da venerare, protezione non solo per il “viaggio” ma “una cappa protettiva” per sé, per i familiari lasciati a casa, per i dolori fisici e dello spirito.

Piacenza offriva protezione spirituale, con le sue tante chiese, anche di grandi dimensioni, dove la faceva da padrone Cristo stesso ed ovviamente la Santa Vergine. Basti pensare alla Cattedrale e nei suoi dintorni a San Savino, dove un ligneo antico crocifisso era tra l’oscurità dell’abside ad accogliere la preghiera devota.

Certamente il patrono cittadino, Sant’Antonino martire, con la sua solenne basilica, era una tappa obbligata: pregare accanto alle sue reliquie era un voto da assolvere per ogni pellegrino.

L’usanza era di accostare ai resti dei santi conservati nelle loro tombe o nelle urne, dei pezzi di stoffa chiamati “brandea” che divenivano oggetti da memento (ricordo), ed ancora oggi quest’usanza è in voga tra i fedeli cattolici, che accostano piccoli fazzoletti intonsi alle urne dei santi o sante cui si rivolgono. Basti pensare a chi fa questo presso la tomba del veneratissimo San Pio da Pietrelcina, oppure sulle lisce rocce della grotta di Lourdes. Gli esempi sono tanti e sotto agli occhi di chiunque.

Il pellegrino era avido di questi ricordi: sappiamo bene da antichi diari e dalle direttive ecclesiastiche di quei secoli, che tra le “collezioni di reliquie da contatto” erano i frammenti di tombe, qualche goccia di olio della lampada votiva, addirittura la polvere stessa che ricopriva la cassa contenete le ossa di un santo martire.

Effettivamente a Piacenza possiamo immaginare essere diffuso un culto devoto dei romei verso la Vergine e appunto il patrono S. Antonino, poi Sant’Eufemia nell’omonima medievale chiesa, la compatrona Santa Giustina martire e pochi altri.

In piazza era la grande chiesa francescana, costruita proprio in quei tempi e con la durissima opposizione dei canonici della cattedrale, per motivi d’economia più che di fede, come studi storici hanno bene messo in evidenza.

Città d’ospitalità in quei secoli, con un forte carattere religioso cristiano, ma puntato principalmente sul fulcro del viaggio. Per il pellegrino medievale entrare in un ospizio lungo la strada era simbolo della “incarnazione nel grembo della Vergine Santissima”, i pericoli del cammino uguali “alla Passione di Cristo”, la paura d’esser assaliti o traditi da chi camminava con te era simbolo del “tradimento di Giuda”.

Se le masse peregrinanti sulla “strata romea” non potevano godere in questo lembo di territorio dell’incontro con troppi “corpi santi taumaturgici”, rimaneva la chiarissima fama di città accogliente, così come lo era anche l’agro piacentino, dove erano disseminati piccoli ospitali.

La “polvere” depositata sulle casse contenti corpi santi esposte nelle chiese piacentine era uno dei pochi “brandea” a disposizione del pellegrino, e sebbene questo non abbia contribuito a “dar lustro fuori confine” ai nostri santi locali, di Piacenza si parlava eccome, di pellegrino in pellegrino, per due motivi basilari e indispensabili per il Viaggio Santo: la sicura ospitalità e l’indispensabile traghettamento sul Po, insomma la concretezza.

Umberto Battini

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