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Giovedì, 25 Aprile 2024
Attualità Ottone

«Vorrei aprire un caseificio a Barchi di Ottone»

L'obiettivo della ventenne Elisa Pisotti, tecnico specializzato nella trasformazione del latte. «Capisco chi emigra da queste zone, ci hanno tolto troppi servizi negli ultimi anni. Ma voglio rimanere a lavorare nel mio paese, il sogno è quello di far nascere un caseificio con mia sorella»

«Faccio il formaggio da quando ho 13 anni, ora mi sono specializzata e non nascondo che il mio sogno è quello di aprire un caseificio al mio paese, Barchi di Ottone, insieme a mia sorella Gloria». Elisa Pisotti ha solo vent’anni ma le idee chiarissime. Alla mattina si 2-14-18alza alle 7 e inizia a mungere le vacche per poi passare a lavorare il suo “oro bianco”. «Ora il formaggio lo faccio per uso familiare, ma un giorno vorrei avere un vero caseificio con un punto vendita, uno spaccio. Ovviamente a Barchi, qua, in Alta Valtrebbia».

La passione è nata ovviamente in famiglia. Elisa ha sempre collaborato con i genitori e con lo zio (che ha un’azienda agricola). Aiuta proprio lo zio Enrico con puledri e vitelli. Ha frequentato la scuola agraria a Genova e si è diplomata nel 2019. «Sarei andata volentieri a Piacenza a studiare agraria, ma non c’era il pullman. O meglio, non combaciavano gli orari. Così la mattina mi facevo portare in auto fino a Rovegno (Genova) per poi prendere la corriera verso la città». La giovane non ha voluto trasferirsi per studiare: «una scelta mia, anche a costo di svegliarsi molto presto e tornare tardi, perché volevo rincasare a Barchi a tutti i costi». Terminate le superiori ha svolto un corso post diploma, per diventare tecnico specializzato nella trasformazione del latte. «Lì mi sono dovuta spostare, stavo cinque giorni alla settimana a Moretta, provincia di Cuneo. C’erano altri 16 ragazzi da tutta Italia che si specializzavano nella lavorazione del formaggio. Era una scuola a tutti gli effetti: otto ore al giorno, tanta teoria quanto pratica. Poi, uno stage a Sappada, in Friuli, poi interrotto purtroppo dalla pandemia».

I caseifici del Piacentino sono quasi tutti concentrati verso la pianura. I più vicini alla montagna sono a Bettola (Valnure) e Castellarquato Elisa-2(Valdarda). In Alta Valtrebbia – e in più generale sull’Appennino piacentino – sono scomparsi. «C’è a Rezzoaglio, nel genovese, ma non qui in Valtrebbia». «Produrre e lavorare il latte è un lavoro che richiede oggi una impostazione mentale innovativa e, soprattutto, tanta passione. I sacrifici si fanno solo se ti piace il mestiere. Anche solo rivoltare le forme è un bell’impegno, un lavoro usurante». Elisa già fa caciotte fresche, ma se la cava anche con yogurt e mozzarelle. «In inverno andrei sugli stagionati».

BARCHI DI OTTONE

Stare in un paese piccolo e lontano dai servizi come Barchi è limitante? «Assolutamente no. Ho girato, ho visto molti posti e devo dire che questo paese rispecchia il mio ideale di vita. Voglio rimanere qui. Siamo pochi, neanche venti abitanti, ma undici sono miei familiari e d’estate si ripopola perché ci sono tante seconde case. Fino a fine ottobre c’è qualcuno, poi chiudono tutto e “via”».

Prendere e andare via. Cosa che non può fare chi intraprende questa professione. «Se devi curare degli animali non puoi scappare. Puoi andare via un pomeriggio, puoi avere degli impegni se ci sono i familiari che ti sostituiscono momentaneamente. Ma non si può staccare e andare a fare una settimana di vacanza. È un tipo di sacrificio a cui non tutti sono disposti». Anche sul caseificio le idee sono chiare: la sorella maggiore Gloria (22 anni) ha già una quarantina di capre. Elisa si occuperebbe delle vacche.

Le ripetute osservazioni che le vengono poste non scalfiscono l’entusiasmo. «Non mi manca nulla della città. Quando è finita la scuola ero la persona più felice del mondo, perché voleva dire non dover fare quattro ore di bus al giorno. Se mi serve una cosa mi muovo, altrimenti rimango a Ottone». Le distanze sono delle sentenze inappellabili: per arrivare a Piacenza occorreva un’ora e un quarto. Ora molto di più, dopo il crollo di ponte Lenzino. Per arrivare alla periferia di Genova un’ora. «Qualcuno cambia vita e torna a vivere qui, ma sono pochi purtroppo. Mia zia lo ha fatto, da Gossolengo è ritornata. Quest’anno 8-14ho visto molte più persone a Ottone, non so se qualcuna deciderà di rimanere a vivere».

Ottone è probabilmente il comune più genovese del Piacentino. «Non mi sento genovese – si limita a dire Elisa - ma non faccio distinzioni tra l’Alta Valtrebbia piacentina e quella oltre confine. Abitiamo a pochi chilometri, le bellezze e i problemi della zona sono gli stessi».

Nel tempo libero la ventenne s’impegna come volontaria nella Croce Rossa di Ottone. «Dedico qualche sabato, quando c’era il lockdown quasi tutti i giorni. Giravamo a portare la spesa, eravamo sempre reperibili. Gli ottonesi chiamavano la Croce Rossa per qualsiasi cosa e andavamo».

Ci sarà un domani per queste zone di montagna? «C’è futuro – è la risposta di Elisa - per chi ha delle idee concrete da sviluppare, per chi ha passione per questa vita di montagna. Ovvio che venga preferita la comodità, d’altronde ci sono stati tolti tanti servizi nel corso degli anni, capisco chi emigra. Ma tanti giovani si arrangerebbero eccome, a patto soltanto di avere abbastanza vicino il lavoro. Se ci fosse quello, sopporterebbero il resto».

L'Appennino piacentino, quantomeno per il turismo, è abbastanza attrattivo? «Dal punto di vista paesaggistico non mancherebbe nulla. Non abbiamo le Dolomiti, ma ci sono posti stupendi anche qua per camminare e vedere quanto è bella la natura. Rispetto ad altre zone manca però la cura, qualcuno che sia disposto a valorizzarli questi paesaggi. Siamo in pochi a praticare la vita rurale in sé, di conseguenza i pascoli rimasti veramente puliti e in ordine sono rari». La giovane indica due bei esempi: il passo della Maddalena (tra Gorreto e Ottone) e Pian della Cavalla (Fontanarossa, già territorio genovese). «Sono distese tenute bene, camminare da quelle parti è un piacere per i turisti. Purtroppo i nostri posti non vengono valorizzati, non c’è marketing, né pubblicità». Si parla forse troppo del fiume Trebbia e poco della parte più alta della vallata. «Le nostre “Maldive” piacciono tanto, a luglio e agosto c’è il mondo. Io sono tra quelli che preferirebbero qualche servizio in più nel fiume, facendo anche pagare. Anche solo per avere più risorse economiche per tenere pulito al meglio. È una ricchezza immensa il Trebbia».

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LA PASSIONE PER LA MUSICA E LE CANZONI POPOLARI 

Elisa ha appena iniziato un’altra attività, quella di cantante. L’orchestra di liscio “Paolo Bertoli” (l’omonimo fondatore, di origine gallese, abita a Piacenza) l’ha appena scelta come voce femminile. «Ho sempre cantato in famiglia - confida - insieme a mio padre, le canzoni popolari. Poi ho iniziato anche con gli amici. Pensavamo di essere soli, poi tramite i video diffusi da Facebook e Youtube abbiamo scoperto che tanti come noi, sparsi nelle zone di montagna del Nord Italia, hanno mantenuto queste tradizioni. Quando sono andata a fare lo stage a Sappada, in Friuli, mi hanno riconosciuta perché ascoltavano le nostre canzoni. Soprattutto alle adunate degli alpini ci ritroviamo».

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La futura casara ci tiene ad esprimere una considerazione. «Il canto non è una forzatura, non è obbligatorio ogni volta che si esce cantare per accontentare qualcuno. Per me è un’azione spontanea, quando sono a mio agio, con le persone giuste, e si raggiunge una determinata armonia che fa bene al cuore. Le cose improvvisate sono le più belle e sentite». Ma ora dovrà cantare anche per un’orchestra di liscio. «Ho già partecipato a due serate private, una era un matrimonio, ed è andata bene. Purtroppo dopo l’emergenza non sono tantissime le serate di liscio, ma ho già un bel repertorio, mi sto dedicando alle canzoni più moderne ora. È un’esperienza che si può provare, anche se per il mio futuro l’ambizione più grande rimane sempre quella di aprire il caseificio nel mio paese».

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