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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Andare per Terra Santa (4)

Con questo quarto articolo, eccoci nella città simbolo delle tre religioni monoteiste in quanto ognuna di queste fonda il senso della propria appartenenza religiosa, nella sacralità del luogo in cui il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani si è rivelato con manifestazioni soprannaturali. Per gli ebrei infatti Gerusalemme, annunciata dalla Bibbia come augurio di pace (Shalom), è diventata la capitale morale religiosa e simbolica dello Stato. Troppe sono le tracce iscritte nelle pietre delle sue strade e dei suoi templi rimasti, che giustificano per gli ebrei il nome santo da dare alla città. La storia inizia circa mille anni prima di Cristo, quando Davide conquistata la città, vi pose l’arca della alleanza e dopo di lui toccò al figlio Salomone costruire il Tempio per glorificare Dio con sacrifici di animali e con pratiche di devozione. La storia a proposito del Tempio ci ricorda la travagliata odissea degli ebrei che vennero conquistati dai babilonesi, i quali non solo distrussero il Tempio ma tutta la città (siamo nel 586 a, C,) costringendo i suoi abitanti al famoso esilio in terra babilonese. Ritornati dopo circa 40 anni a Gerusalemme, gli ebrei costruirono il secondo Tempio, ma anche questo non ebbe fortuna. Nell’alternanza delle dominazioni, ci pensarono i romani con Tito a combattere la prima rivolta giudaica e a distruggere per la seconda volta (siamo nel 70 d, C.) il Tempio. Poi sopravvenne la seconda rivolta giudaica (132-5 d. C.), ed anche la città nel frattempo ricostruita, subì la stessa sorte da parte di Adriano. Ora poiché il mio non vuole essere un trattato di storia, preferisco passare subito a descrivere la Gerusalemme attuale conquistata dall’esercito di Israele nel 1967, dopo che la stessa città aveva attraversato le fasi della dominazione bizantina, araba, crociata e ottomana. Se quanto detto vale per gli ebrei, anche per i cristiani la città costituisce la ragione stessa della propria fede, la quale sarebbe vana, come disse Paolo ai Corinti, se non ci fosse stata la resurrezione del figlio di Dio dopo la condanna e la crocefissione. I luoghi a Gerusalemme parlano, anzi urlano alle coscienze, con la perentorietà dei messaggi che si sprigionano da quelle che prima ho chiamato pietre. Perché a Gerusalemme tutto è pietra a cominciare dalle imponenti mura, edificate da Solimano il Magnifico attorno al sedicesimo secolo. Anche le strade non sono da meno, tutte lastricate di pietre, così pure ogni costruzione antica e moderna che manifesta nelle sue forme costruttive un’anima che potremmo definire fuori dal tempo per la capacità di unire misteriosamente passato e presente e proiettare poi il tutto nel futuro. Il perché e dovuto al fatto che a Gerusalemme il tempo, quasi non sembra esistere come entità fisica, diventando per i motivi detti, solo una proiezione, come disse S. Agostino, dell’animo umano che sente la fede perché un canto salmodiato che ti giunge all’orecchio. Pietre parlanti dunque che si trovano fra gli esempi più eclatanti, nel Santo Sepolcro, in quella piccola rilevatezza (di pietra) del terreno, che oggi costituisce quel che resta del Calvario ed infine nell’altro luogo ricco di suoni mistici che è il Cenacolo. Dopo ebraismo e cristianesimo non dimentichiamo ora l’Islam. Anche per questa religione le pietre costituiscono esempi durevoli, che non si affievoliscono nel tempo, di testimonianza, di tenacia e di una fede certa nella devozione del misericordioso Allah. Anche per questa religione, una roccia di pietra parla il suo linguaggio carico di eventi (ritenuti)soprannaturali, di simboli, di fatti che anticipano in terra un futuro paradisiaco, dove latte e miele scorrono a fiumi. Ne rappresenta la testimonianza più eloquente la moschea di Omar detta anche Cupola della Roccia o cupola d’oro, alta oltre 30 metri e tutta rivestita del metallo prezioso. Costruita su una pietra rocciosa assisté alla resurrezione del profeta Maometto che era giunto nella città, diventata per questo santa anche per i musulmani, grazie ad una cavalla alata, che lo trasportò in volo dalla Mecca. E visto che nella storia dell’uomo, come nella religione tutto si tiene, questo fatto non può che ricordarci il mito greco di Pegaso e Bellerofonte. Abbandoniamo ora questi riferimenti storici o leggendari per presentare la città come appare al visitatore. Un saliscendi continuo di alture e discese la caratterizza, mentre le strade sono tutte lastricate di pietre quadrate e squadrate sufficientemente ben allineate senza avvallamenti o buche. Si entra in città attraverso una delle diverse porte, che consentono di attraversare la cinta delle mura. Generalmente un arco a tutto sesto imponente, fornito di portale di un legno, ormai consunto, spesso come un palmo di mano, rivestito di lastre di lamiera borchiata. Munito inoltre di antica e voluminosa serratura sormontata da un ciclopico catenaccio a ricordare i tempi tardo medievali, la porta dicevo, è formata da regolari pietre sovrapposte di forma quadrata o rettangolare che danno l’impressione di una robustezza non menomata dallo scorrere del tempo. All’entrata delle porte stazionano quasi sempre un gruppo soldati israeliani, molto giovani sia uomini che donne i quali anche se con un certo disincanto, stazionano in quel posto per osservare attentamente chi passa, suscitando al passante sicurezza ed insieme apprensione. Ce lo ricorda la loro divisa, munita di giubbotto antiproiettile e di una cintura armata, mentre imbracciano fucili mitragliatori, verosimilmente pronti all’uso in caso di atti terroristici. Gli stessi capannelli di soldati si ritrovano anche nei vari crocicchi delle vie a dimostrazione che per quanto la città sia divisa in due parti, fra ebrei e musulmani, di fatto l’amministrazione e la sicurezza della città sono in mano alla parte israeliana. In effetti passeggiando per le vie che in molti casi sono viuzze superaffollate di gente, non si ha l’impressione di essere in un quartiere arabo o ebraico oppure cristiano o armeno. Tutte queste lingue sono rappresentate senza alcuna discontinuità, per cui , per intenderci, ci si arrangia con un vocabolario inventato sul momento con integrazioni di parole ibride, contaminate, che nessuno capisce ma che tutti intendono, soprattutto si ci aiuta con qualche gesto il cui linguaggio corporeo è universale. Dunque anche se nella città santa, si giunge a parlare quindici lingue diverse, fra cui anche un po’ di italiano, e sette alfabeti differenti, ugualmente per ottenere informazioni o per fare acquisti ci si intende. Gli acquisti dicevo. Botteghe di ogni genere si susseguono nelle viuzze del centro storico trasformato in un immenso suk. Per i generi di artigianato locale, la scelta spazia fra diffusori d’incenso di ogni foggia e tipo ed i narghilè per il fumo, mentre nei quartieri israeliani le menorah a sette o nove bracci molto diffuse e ricordano quelle lampade che venivano accese nel Tempio di Gerusalemme tramite la combustione di olio consacrato. I materiali vanno dalla ceramica lavorata e decorata, all’ottone picchiettato, per ascendere attraverso il bronzo dorato, all’argento sbalzato frequente nei negozi più ricchi che normalmente sono tenuti dagli israeliani. Per i generi alimentari invece, i negozi di macelleria espongono polli e capretti spesso con le loro interiora, in bella mostra lavate e pulite, ma mai carne di maiale vietata dalle norme religiose delle due principali confessioni. Tali negozi si alternano a rivendite di dolciumi, tipo amalgami burrosi di frutta e miele oppure torte di pasta bianca dove sono incastonate in bella vista noci o mandorle in posizione non geometrica le quali suscitano l’impressione che prevalga, in questi dolciumi, il criterio quantitativo sulla forma. Vengono poi i negozi del pane. Pani di tutti i tipi si affacciano dalle vetrine, alcuni fatti a duplice striscia a formare una specie di grande U schiacciata al centro, altri circolari a guisa di pizze piatte ricoperte di sesamo, altri ancora a forma di piccole focacce sottili ed azime di forma rotonda. Oltre a questi negozi, dal mattino presto alla sera tardi, altre rivendite di pane avvengono a cielo aperto, quindi sulla strada, invitanti quanto basta per fragranza di odore da forno che si potrebbe sgranocchiare passeggiando, se non ci trattenessero le norme igieniche, qui pressoché inesistenti. Anche per la frutta e verdura è la strada che rappresenta il vero negozio. In particolare le numerose scalinate presenti nel saliscendi delle vie, rappresentano il luogo ideale per l’esposizione della merce, che diventa una sorprendente distesa di prodotti agricoli, dai colori differenti in cui fanno bella mostra arance, mandarini e pompelmi, limoni e banane, mele, pere e canestri di datteri. Questi ultimi grandi e lucidi, quasi mielosi causa la parte zuccherina che traspare in superficie e poi castagne, mazzi di insalata raccolti in nastri occasionali, di ravanelli grossi come mele, melograni delle dimensioni di un pallone da calcio, e di ogni prodotto della terra, che donne abbigliate con lunghe e semplici vesti e con l’immancabile hijab, vendono direttamente sul loro improvvisato banco di vendita. Fatto di pietra ricoperta per l’occasione da un modesto panno di lino gualcito o di lana pesta. Dai sapori, odori e colori che interessano il corpo bisognerà ora passare a descrivere altre sensazioni che riguardano più il sentire di quella componente dell’uomo che non si accontenta di quello che vede ma solo di quello che sente: l’anima. Ed è quello che farò nel prossimo e ultimo articolo.
(continua)

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