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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

«Come si può preferire il non credere a Dio?»

Una "Lettera di Natale ad un amico", ma anche una lettera che parla di accettazione e poi di comprensione e condivisione nei confronti di chi si rifiuta di cogliere un mistero che riguarda tutti noi

Sul mio ultimo pezzo, di carattere religioso, un caro amico commenta: meno male che io non credo. Detto così il tono sa di un ché di perentorio, ma subito dopo si addolcisce come a segnalare più che una certezza, una riflessione, fatta a metà strada, per dirla in tono scherzoso, fra il lusco e il brusco. Insomma fra luci ed ombre dove il tutto si stempera in un’atmosfera rarefatta come accade all’imbrunire, quando ogni cosa diventa incerta, perché più che vedere si intravvede. In queste condizioni, ogni parere non deve essere troppo nella luce (della conoscenza), per non risultare troppo ostentato. Ma neppure tanto in ombra da risultare poco o punto visibile. Prendo atto  allora del tono fra il serio ed il faceto e  mi metto a scrivere questa lettera di risposta all’amico, cercando  anch’io di mantenermi a metà strada fra il vedere e il non vedere. Come chi  sta seduto davanti al caminetto acceso, un tempo  emblema del Natale, che con il suo sfondo d’ombra, illumina però il volto e rischiara le idee, quel tanto che basta per farmi rispondere con calma. Questa lettera infatti più che una risposta, sa prima di tutto di accettazione e poi di comprensione  e condivisione nei confronti di chi si rifiuta di cogliere un mistero che riguarda, lui pure, come tutti noi. E che va affrontato con il rispetto che si deve verso ciò che non conosciamo e per il quale la ragione ci aiuta, ma anche ci distrae.

Difficile infatti stabilire con la sola capacità razionale, un metodo sicuro che valga per tutti, in mezzo ad un’ampia gamma di valutazioni che solo alla fine approdano ad un si o un no. Ma solo dopo aver attraversato il mare, spesso tempestoso, del dubbio, nelle cui acque è possibile uscire ma anche affogare. Dunque parliamo pure di fede, ma senza usare toni enfatici, troppo smaccatamente apologetici o peggio ancora di chi si impanca di sufficienza o, ancora peggio, di ostentato senso di superiorità. Perché  questo problema, se mai di problema si tratta, che riguarda appunto la fede è un terreno minato, dove c’è un solo modo per non perdere la strada giusta. Quello di sentirsi  ben poca cosa di fronte al mistero, unico criterio questo, ammettendo quel nulla che siamo, per cercare di cogliere almeno un po’ di quello che anche menti molto acute e assistite da lunghi studi, hanno cercato di afferrare fra incertezze e dubbi. Meglio allora, molto meglio, farsi trasportare da quel vento che, sia in condizione di tempesta che di quiete, ci sussurra dentro e, se ci mettiamo in ascolto, lo sentiamo bussare all’uscio della nostra coscienza per avvertirci chequalcosa di incomprensibile esiste. 

Trattasi di un vento strano che porta messaggi lontani nel tempo. Che riguarda  ad es. l’infanzia, detta questa stagion lieta dal poeta di Recanati, ed il futuro che non sappiamo  neppure se ci riguarderà. Per dirci che il presente è solo un passaggio. O meglio un’avventura del pensiero stretto fra quello che non è più e quello che non è ancora. Dunque  un non essere che pure esiste e che riguarda quell’attimo di esistenza che dobbiamo vivere, con la sicumera di contraddittori pensieri che ci danno l’illusione di dominare tempo e spazio. Dici, caro amico, di non credere e io ti credo sulla parola. Se poi però penso all’uomo che  conosco, la fede nel tuo dire, in me vacilla smossa da quel vento cui alludevo. Che sussurra  anche dentro di te ed accende il tuo senso di umanità che avverti quando la banalità ti offende. Quando senti il  bisogno di isolarti dal mondo perché insoddisfatto di quel troppo che è troppo. E qui intendo il clamore mediatico che in te genera il bisogno di cercare un riparo. Un desiderio di quiete, di isolamento, dopo che, nella vita, ti ha colto il desiderio della filosofia o della letteratura che pur ti ha ispirato pensieri e carmina non banali,ma ciononostante insufficienti a soddisfare l’ansia di una certezza non hai ancora trovato e che, anche se non lo ammetti, non sa di cose terrene. Dici di non credere, ma menti senza volerlo ammettere. Troppa fatica disconoscere convinzioni maturate per naturale piega degli eventi, senza nemmeno accorgertene. Meglio lasciare perdere il mistero? Forse perché lo ritieni incapace di esserecompreso? Ebbene proprio per questo il mistero ha un fascino. Ti consente una via di fuga al troppo rumore che ci circonda.

Una fuga verso quello che potrebbe essere solo una illusione, è vero, ma non puoi nemmeno escludere a priori che oltre a questa forma di evasione del pensiero, vi sia anche una verità. Per quanto difficile da cogliere. Come puoi negarla in partenza? E parlo di un Dio che atterra e suscita che  affanna e che consola, secondo la famosa frase del Manzoni che tu conosci bene essendo stata tua materia di insegnamento. Dunque, preferisci il non credere o meglio il credere di non credere (anche questa è una forma di fede), eppure quando  ti guardi intorno, anche tu sei inspirato dal senso della meraviglia. Che, ammettilo, è quanto l’uomo ha costruito di bello e di sublime per avvicinarsi alla gloria di Colui che è. E che invece per te non è. Preferisci il caso ad un Dio che ci guarda, ci sopporta  quando sbagliamo e pur ci lascia liberi? Sei appunto libero di pensare che sia il caos o il suo anagramma,il caso, l’origine di tutto. Ma non senti il limite in questo il tuo desiderio di non volere  nemmeno tentare di avvicinarti all’incomprensibile? Nonostante il vento continui imperterrito il suo richiamo, carico di suggestioni e di inquietudini, oltre a quei riferimenti letterari e simbolici che tu hai saputo senz’altro cogliere? Non per niente ho citato il Manzoni quando, tu lo sai bene, ci porta vicino al focolare, simbolo un tempo del Natale. Allorché Tonio con un ginocchio sullo scalino e col mattarello ricurvo smuove con andamento circolare la polenta. Mentre sul desco una tafferia di larice sta lì ad aspettare che si scodelli. Non ti riempie di poesia la scena e il fuoco che simbolicamente rimanda (se il Natale ti infastidisce) ai miti greci e romani, a Vulcano oppure per restare in tema filosofico ad Eraclito il quale quando alcuni forestieri dopo aver spinto l’uscio per trovarlo, lo videro attorno al fuoco del camino e con pudore si ritirarono indietro.

E lui: venite pure avanti, qui ci sono gli Dei. Gli Dei infatti hanno lasciato che Prometeo rubasse loro il fuoco e questo è diventato sacro in tutte le civiltà, da quella greca alla romana, dove appunto attorno al fuoco di casa si consumavano i riti sacri. Offerti appunto ai sacri Lari. Da cui presero il nome gli alari del caminetto (ad Lares). Dunque dal caminetto, ara di casa si passa poi all’altare e tutto questa storia dell’uomo, misto di superstizione e fede, ti lascia indifferente? Eppure, anche tu sei l’erede di queste tradizioni. Anche tu ti sei formato fra questi Lari, fra luci incerte di case non sempre certe che solo in seguito sono diventate apparentemente piene di luci con il progresso e hanno acquistato maggiore solidità e certezza di spazio. Ma hanno perso quel fuoco oscillante che dava luce di raccoglimento famigliare, rispettando nello stesso tempo le ombre. A dimostrazione che il ritmo del tempo aveva in sé qualcosa di religioso espresso anche dalla  rama di olivo benedetta dall’ultima Pasqua che pendeva ormai silente e avvizzita da un chiodo di parete. Sentimentalismi questi? Può darsi ma anche segni di una vita vissuta ricca di emozioni contrastanti. Perché anche tu sei quel bambino che ti porti dentro, nonostante  le parole siano diventate per te più mature. E più autorevoli. Ma come ti ho detto all’inizio non riesci a convincermi fino in fondo. Insomma ti credo per amicizia, ma per la stessa amicizia non ti credo. Perché so che sotto la brunice conservi ancora un residuo di fiammella. Devi solo aprire la finestra più che della mente, del cuore per far entrare quel vento cui prima alludevo. E poi vedrai che scoppiettio di fiamma. Con questo calore che vince il gelo dell’inverno chiudo, sperando di non averti annoiato. Conservami comunque come amico. Vale.  Ah dimenticavo,  Buon Natale.

«Come si può preferire il non credere a Dio?»

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