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Mercoledì, 4 Ottobre 2023
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Commenti alle elezioni con riguardo in particolare a Piacenza

Vediamola pure come vogliamo, ma un dato certo traspare dalle elezioni. Piaccia o non piaccia, la gente è stanca di votare. C’è un bel dire che la cosa pubblica, intesa come democrazia, rappresenti la peggiore forma di governo ad eccezione di tutte le altre come diceva Churchill, ma oggi abbiamo sentore che qualcosa stia cambiando. Intendiamoci nulla che possa darci una risposta diversa di come dobbiamo o dovremmo comportarci. Ciononostante prendere atto di una comune disaffezione verso quello che ho definito la cosa pubblica, conviene ammettere come la condizione di base. Prima di tutto conviene definire le cause. E fra queste citare la debolezza delle istituzioni, come primo requisito, muove da una scarsa stima verso i suoi rappresentanti. Una scarsa preparazione unita alla sensazione che il politico guardi soprattutto al suo interesse e non a quello della comunità da cui è stato eletto, completano allora il nucleo del comune dissenso. Possiamo allora dire che rispetto al passato, una comune deriva si è impossessata dell’animo di chi dovrebbe occuparsi del bene comune. E’ chiaro che interesse privato e corruzione non riguardano tutta la classe politica, ci mancherebbe. Ma l’impressione è comunque questa. I casi del passato lo dimostrano. E per fare un esempio, ricordo come il primo capo dello stato: Enrico De Nicola, prendeva il tram per andare a Palazzo senza neppure pensare ad utilizzare, auto di rappresentanza che allora neppure esistevano. Un comportamento il suo che la diceva lunga su come un tempo ci si dedicava alla cosa pubblica. Senso di servizio verso lo stato e necessità di rispettare le leggi senza pretendere agevolazioni o privilegi, rappresentavano la prima condizione per assolvere al compito di dedicarsi alla cosa pubblica. Per citare un altro esempio fra i tanti, in quel tempo per noi lontanissimo, conviene ricordare il primo ministro Alcide De Gasperi, che in politica evitò sempre due rischi: il potere per il potere ed il successo personale ed anche del suo partito, qualora esistesse il sospetto di ottenerlo sulla pelle del paese. Da allora le cose sono molto cambiate e questo rappresenta la condizione di crisi oggi, in cui versa la democrazia. Le elezioni ne rappresentano la prova. L’assenteismo aumenta di volta in volta in proporzione diretta con la sfiducia della gente verso la politica in genere. Anche in queste elezioni amministrative all’assenteismo, si associano altri due eventi che dimostrano quanto detto: la diminuzione degli elettori da parte dei partiti ed invece l’aumento percentuale delle liste civiche. Affrontiamo per primo, questa carenza di voti da parte dei partiti. Tutti più o meno sono coinvolti ad eccezione di Fratelli d’Italia che invece regge nei numeri ed anzi aumenta. La spiegazione? Il fatto che non fa parte del governo e sta all’opposizione. Condizione questa che fa apparire questo partito agli occhi delle gente, come chi non partecipa alla crapula che, secondo la versione comune, riguarda tutti i partiti che governano. Contro questa tendenza di disaffezione pubblica, un tentativo contro il sistema corrotto era stato fatto da alcune formazioni politiche. Nate proprio con l’intento di moralizzare quello che viene chiamato il sistema di governo o meglio la cupola. Mi riferisco al partito 5 Stelle che si proponeva di cambiare le carte in tavola rivolgendosi ai cittadini auspicando una democrazia diretta attraverso i social. Sappiamo come questo tentativo sia finito e come sempre finisce, quando una volta entrato a Palazzo la cosiddetta contestazione lascia il posto al conformismo dei beneficiati.  In sostanza all’assuefazione in fatto di comodi e di privilegi. Una riprova è che nella elezione di questi giorni, addirittura questo partito sembra quasi scomparso. In mancanza di nuovi eventi di rottamazione (una parola usata per primo da Renzi poi confluito nell’attuale partito Italia Viva ridotto elettoralmente a qualche modesto numero che sta su una sola mano), bisogna accontentarsi di quanto passa il convento. E mi riferisco sempre in termini di disaffezione pubblica della politica. Se tutto questo riguarda il paese, anche Piacenza segue la stessa corrente. Indipendentemente di chi ha vinto fra le due formazioni, staccate da poche percentuali, che vedono a capo due donne, Tarasconi e Barbieri, i rispettivi partiti politici che le hanno sostenute non hanno brillato. Anzi alcuni sembrano in crisi di consensi. E mi riferisco alla Lega ed a Forza Italia che a sostegno della sindaca Barbieri, hanno fatto un flop pauroso con percentuali che vanno rispettivamente dal 7 al 3% con perdite di elettori molto preoccupanti. Resistono invece le liste civiche che da una parte e dall’altra delle due formazioni citate, costituiscono le formazioni in fatto di percentuali più numerose. Come interpretarle? Sempre e solo, se associate ad un assenteismo che raggiunge quasi il 50%, a questa condizione: crisi del sistema democratico per disaffezione delle gente che non crede più nella correttezza o forse anche nella onestà dei propri eletti. Fra le eccezioni bisogna rimarcare quella che riguarda il terzo polo, che aveva come obiettivo per l’elezione del sindaco, l’avvocato Corrado Sforza Fogliani. Non voglio dire che questa lista abbia raggiunto risultati stratosferici, in considerazione del prestigio e del carisma del suo candidato a sindaco. Una personalità questa che di gran lunga supera tutte le altre in lista. Ed aggiungo, qualsiasi altro possibile candidato, anche scelto fra i più celebri anche a livello nazionale, in quanto non in grado di competere con il nostro personaggio.  Causa tutto il bene fatto per la nostra della città, che, se volessimo dare una spiegazione psicologica, sa addirittura di una ossessione manifesta per esagerazione. Perdurante per interi decenni, trattasi di una vita, in merito ad una intensa valorizzazione di tutto quanto sa di piacentinità. Dunque leviamoci il cappello di fronte ad un simile personaggio e meditiamo ancora una volta sulla nostra condizione tipicamente cittadina, che non ama esprimere cose in grande. Tanto che quando ha l’occasione di esprimere il grande e l’eccelso, si ritrae temendo di compromettere il suo modesto spirito, votato ad accontentarsi del poco, per non rischiare di compiere il suo errore esiziale. Quello di fare una confessione o meglio un’autoaccusa che almeno una volta come dice la locuzione latina, semel in anno licet insanire, dovrebbe spingere ad uscire dalle proprie ristrettezze e mediocrità. Ma nulla di tutto questa capita a Piacenza. Ed allora ritorno all’eccezione che riguarda il candidato Corrado Sforza Fogliani. Solo e senza apparentarsi con nessuno, e che pertanto possiamo definire un signore di modi e di comportamento, ancora una volta non si è tirato indietro. Ha accettato la sfida, quando la città ha dato l’impressione di uscire dalle sue modestie, invitandolo a partecipare. Al posto di accontentarsi degli allori ricevuti, è sceso in strada, ripeto solo, attorniato da una sparuta formazione di giovani e di anziani affezionati. Ha parlato con tutti, si è confrontato dall’alto della sua figura con persone più modeste e poichè al cuore non si comanda, ha lasciato che il sentimento che da questo organo, secondo tradizione proviene, giustificasse ed illuminasse ogni sua azione. C’è riuscito nell’intento? Se guardiamo alla percentuale raggiunta ci sta sia un sì che un no, su una questione che riguarda il poco o il tanto. Ma diventa totalmente un sì pieno ed unico, se guardiamo alla stima ed insieme alla riconoscenza che si deve all’uomo in questione. Ancora una volta un grande si è rivelato quel grande che conosciamo e l’8% di percentuale, non coglie se non in minima parte la sua prestigiosa figura, di gran lunga al di sopra della parti in causa. Ma riguarda solo l’immagine di una città e mi rincresce dirlo, che ai grandi riconosce la loro superiore statura sempre in ritardo. Così è Piacenza, definita dal mio avo Francesco nella sua storia della città, la più smemorata d’Italia.    

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