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Giovedì, 18 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

«Contro il politicamente corretto»

Cosa significa essere politicamente corretti? «Esiste un vulnus presente nella definizione, oggi largamente impiegata del cosiddetto politicamente corretto, rappresentato dalla mancanza di una verità»

Il politicamente corretto è una definizione di un certo modo di intendere le cose, che asseconda la vulgata dominante su un tema particolare della politica, in un preciso momento della vita civile e sociale individuale o pubblica. Definizione per altro azzeccata se è ormai entrata nel lessico abituale, per significare un modo di concepire un problema che non sia in perfetta sintonia con quello che dice la maggioranza. Dunque il corretto, inteso sempre a livello politico (ma poi vedremo che interessa altri ambiti) si identifica spesso e volentieri con questo criterio di far parte del potere. O quanto meno di una corrente di pensiero che appare ai più giusta e condivisibile. Esaminiamo allora sia il politicamente che il suo attributo qualificativo vale a dire il corretto e facciamo un po’ di filosofia spicciola. E cominciamo col dire che la politica basa la sua ragione d’essere sul modello amico- nemico. In questa logica, spesso non logica, si cerca quindi di ricorrere all’etica per separare il bene dal male. Un tempo, per fare questo, venivano buone le ideologie, i cui principi creavano stati di appartenenza ritenuti dai rispettivi seguaci, giusti e quindi degni di essere seguiti e di far battaglie per la loro affermazione. Sono questi, o meglio erano, i cosiddetti movimenti o partiti politici.

Oggi, poiché le ideologie sono per gran parte scomparse causa l’evoluzione storica che le ha sostituite con l’economia, diventata l’unico valore dominante e quasi assoluto del vivere, l’antico elemento giustificativo, si può dire quasi scomparso.  Quindi politicamente parlando, esiste il potere solo economico, che prescinde dall’etica, disciplina questa che come dicevo dovrebbe discriminare il bene dal male. Da questa premessa il politicamente corretto è diventato un contenitore atto a giustificare un concetto di utilitarismo. Oppure funzionale al rispetto di una convenzione sociale, alla quale può essere ricondotta anche la legge e il diritto.  Così facendo il politicamente corretto, muta la sua impostazione originaria e si trasforma nel suo opposto. Ed il corretto diventa scorretto. Insomma questa premessa, per arrivare a dire che esiste un vulnus presente nella definizione, oggi largamente impiegata del cosiddetto politicamente corretto, rappresentato dalla mancanza di una verità. Questa infatti, non è né corretta né scorretta, in quanto si lega all’unico principio per cui valga la pena vivere: la libertà. Dunque nel politicamente corretto non essendovi libertà (e verità) è come dicevo prima una etichetta che avendo fra l’altro perso, il suo stesso contenuto di condivisione o, per i detrattori, di contestazione, sostituisce di fatto (e non solo per il diminutivo) l’etica.

Stando così le cose, si pone il quesito di quello che bisognerebbe fare. La prima risposta è considerare il politicamente corretto   un mezzo per diventare servi di un potere, sapendo che questo potere ha come giustificazione, quello di garantire un vantaggio temporaneo a qualcuno. Il secondo quesito riguarda invece se sia preferibile al primo, il suo opposto, vale a dire il politicamente scorretto? Forse sì per quei pochi che non vogliono diventare servi di qualcuno (inteso come potere), ma anche qui le contraddizioni non mancano. Infatti andare contro qualcuno o qualcosa, solo per dire no, non sempre è sufficiente. E’ vero che questo modo di fare comporta il coraggio di mettersi dalla parte della componente minoritaria della politica e della società, ma anche in questo caso manca il fine che giustifica il mezzo. E poiché l’unico fine è quello di esercitare la libertà, questa va ancorata ad una verità che esista in sé e per se, ricercandola nel bene.

Capisco che la questione è assai complessa e non facile da realizzarsi.  Sapendo poi che lo stesso concetto di bene si presta a sua volta a delle trasformazioni nel tempo che più ancora dello spazio, può cambiare le carte in tavola modificando concetti e credenze. Anche se una soluzione potrebbe essere rappresentata sia dalla buona fede che dal buon senso, i quali potrebbero entrambi   dare una mano per aggiornare ogni volta questo concetto del bene (perduto) e da riscoprirsi nel silenzio della coscienza individuale,  piuttosto che nel clamore  dei toni altisonanti  cui si legano le manifestazioni  di pubblico consenso.   Insomma ritornando al politicamente corretto, senza dubbio, per le ragioni esposte, è da preferire a quest’ultimo, il politicamente  scorretto, ma mettendo in conto che tale cambiamento di rotta, può generare qualche danno alla persona. Soprattutto quando la libertà urta, specie nei sistemi coercitivi (e con sfumature diverse lo sono quasi tutti), contro la disciplina ed il volere di massa che si alimenta nel consenso spesso di convenienza e non tollera invece la contestazione. Dato che, come si sa, sia la libertà che la verità possono creare anche reazioni violente in menti abituate a seguire modelli comportamentali rigidamente convalidati dalla tradizione o dalla maggioranza.  

E’ la storia infatti che ci insegna come al pur si muove di galileana memoria, normalmente si preferisce per pigrizia e convenienza, l’immobilismo che dà comunque una certa sicurezza e soprattutto non rischia di mettere in discussione  abitudini e principi.  Questo succede in altri ambiti. Non solo quindi nel politicamente corretto che riguarda appunto questo nostro scritto, ma come accennavo prima anche nell’ eticamente e a seguire perfino nell’ esteticamente corretto. Infatti anche in quest’ultimo campo che riguarda il bello (o il brutto) quante cose cambiano nel tempo? Il Caravaggio ad es. è stato dimenticato per quasi 300 anni e poi riscoperto come uno dei massimi esponenti della arte figurativa mondiale. E che ne sarà di lui fra altri 300 anni? Dunque in tutti i campi il corretto sia come parola che come significato, per le persone libere andrebbe rifiutato. Anche perché se non lo si fa, basta aspettare un lasso di tempo minimo che il corretto defluisce nello scorretto e viceversa.  E questo riguarda soprattutto il politicamente, causa gli infiniti condizionamenti di tipo prevalentemente  egoistico e utilitaristico  che  questa disciplina del vivere( parlo della politica) comporta.

Dunque, concludendo, se avversare il politicamente corretto e preferire lo scorretto è un segno di libertà, è buona norma armarsi di una dose di scetticismo perché c’è sempre il pericolo che quest’ultimo si trasformi nel suo opposto rimettendo ancora una volta in gioco, l’eterna alternanza, che caratterizza la vita soprattutto per chi non vuole rinunciare alla  libertà. Si può allora pensare che questo modo di ragionare contro e non per, sia da definirsi un complesso, psicologicamente inteso? Può anche darsi. Ma poiché anche quest’ultimo avverbio, lo psicologicamente, va soggetto agli stessi cambiamenti o mode del politicamente, non si fa altro che ritornare al già detto. A questo punto si chiude e chi intende, intenda.

«Contro il politicamente corretto»

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