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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Corsi e ricorsi storici

Tranquilli, nonostante il titolo lo richiami, non vi voglio regalarvi una pizza indigesta che riguarda il celebre filosofo napoletano Gianbattista Vico, vissuto a cavallo del diciassettesimo-diciottesimo secolo, ma di un fatto che recentemente è capitato nell’aula bunker del carcere di Catania. Quali gli indagati che  si sarebbero macchiati di un crimine così efferato per meritare tale sede, normalmente adibita a reati di mafia? Uno solo Matteo Salvini, ai tempi ministro degli interni, accusato di abuso d’ufficio e sequestro di persona. Due reati che prevedono in caso di colpevolezza addirittura 15 anni di carcere. Il motivo?  Quello di aver illecitamente trattenuto dal 26 al 31 luglio del 2019, 131 immigrati a bordo della nave della Guardia Costiera, Gregoretti. Chiamati a deporre come testimoni altri due ex ministri, quello del Trasporti, Danilo Toninelli e della Difesa, Elisabetta Trenta, che secondo lo stesso Salvini, poichè facevano parte dell’allora governo, non potevano non sapere. Per la stessa ragione anche lo stesso Presidente del Consiglio doveva essere chiamato a deporre. Ma per questioni di  impegni istituzionali, non lui, ma  i magistrati  saranno loro a trasferirsi da Catania a Roma per sentirlo. Entrare nel merito delle accuse, sembra sinceramente un non senso. In quanto un non senso è stato  quello di affidare alla Magistratura una questione che attiene solo alla politica. Salvini infatti non ne aveva fatto mistero durante la sua campagna elettorale, per la quale avrebbe chiuso i porti ai migranti  economici che dovevano essere considerati in modo diverso rispetto ai  profughi politici, i quali  per questo motivo, non dovevano temere alcuna limitazione. Insomma senza entrare nel merito del bene o del male delle idee di Salvini, risulta che gli elettori lo premiarono. A dimostrazione che il volere del popolo dovrebbe avere una sua importanza in democrazia, parola spesso abusata a parole cui poi non seguono i fatti. Ed allora parliamo dei fatti. Per i quali quando per diverse ragioni la democrazia è debole, si evita di prenderne atto e si preferisce affidare ogni soluzione ad un altro potere, quello della Magistratura. I fatti dicevamo e questi se non fossero tragici, si coprirebbero di ridicolo.  Infatti ritornando al processo, limitiamoci alla deposizione di Toninelli, che acquista  in pieno questi già citati  due connotati, con la prevalenza del secondo, vale a dire del ridicolo.  Basta ed avanza valutare le sue risposte di fronte al giudice. Tutte rivolte ad una serie di non ricordo. La memoria di un uomo, oggi di 46 anni, che quando era ministro pontificava di  voler essere in prima fila per assumersi ogni responsabilità in merito alle sue competenze fino a pensare di mandare a processo i Benetton ai tempi del crollo del ponte Morandi, ora dell’antica sicurezza che confinava con la boria, nulla è rimasto. I riflettori sulla sua figura  si  sono  improvvisamente spenti  in quel di Catania, causa una sua precisa  richiesta di non essere inquadrato dalle telecamere. Dimentico del tempo  quando sosteneva a gran voce  che ogni sua comparsa , dovesse  essere ripresa in diretta streaming. Cambiano i tempi e le persone e così oggi l’antico arrogante ministro si è trasformato nella sua trsiste controfigura. Le  sue  risposte diventano balbettanti giustificazioni  al giudice, tutte tese a non sentirsi responsabile del divieto di attracco della nave Gregoretti, causa un difetto di memoria. Secondo lui e qui siamo al massimo della comicità,  la causa il troppo tempo trascorso (poco più di un anno) dai fatti. In questo modo, per  chi conserva un po’ di memoria e non è più giovanissimo, il pensiero va ad un’altra scena ridicola se non fosse  penosa. Quella di uno dei massimi esponente della Dc ed che ex Presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, che ai tempi di “mani pulite” chiamato a deporre dall’aggressivo Di Pietro, con la bava agli angoli della bocca si trincerava dietro ai non ricordo. Diventando per questa perdita di dignità nel rispondere alle velenose domande del pubblico ministero, addirittura oggetto di dileggio da parte dei giudici e di chi lo stava vedendo ed ascoltando in tv. Tralasciamo ora il caso Toninelli  con tutti i suoi non sapevo ed i ripetuti non ricordo, per i quali onde giustificarsi ,chiedeva addirittura  di avere pazienza per questo suo improvviso vuoto di memoria,  completamente offuscata alla vista del giudice. Insistere quando il caso diventa  pietoso, diventa impresa scorretta ed ogni  parola inutile, quindi meglio, molto meglio ricorrere al silenzio. Quel che mi preme invece è parlare della nostra democrazia, anch’essa affetta da mancanza di memoria  storica. Una condizione questa che riguarda il nostro modo di essere ed il nostro stesso comportamento. Sembra quasi di vivere  sotto una grande campana di vetro dove l’aria è appestata. Non tanto  dalla componente chimica del monossido di carbonio, che si verifica nell’inquinamento causa la combustione incompleta degli idrocarburi presenti in carburanti e combustibili (il traffico dei mezzi di trasporto), quanto per un altro pesticida, ancora più pericoloso. Che è quello che   rimanda al nostro modo di pensare ed  a come affrontiamo la realtà. Il suo nome? La paura o meglio le paure che attanagliano la gente. Elenchiamole. Paura del covid per cui si accettano le disposizione che vengono dal Presidente del Consiglio sotto forma di continui e contraddittori Dpcm. Paura di dissentire contro il politicamente corretto. Paura di non condividere certe idee religiose a proposito della famiglia e dei comportamenti sessuali, aborto incluso. E continuando. Paura di fare figli da parte delle donne per cui il nostro paese si è guadagnato il record della minore natività in Europa .E poi ancora.  Paura  economica e in senso più ampio, paura per il nostro futuro, considerato il mostruoso debito pubblico. Ed in aggiunta. Paura di non aver completa memoria del passato che cerchiamo di esorcizzare con l’utilizzo del termine fascista, da attribuire a chi ed in ogni circostanza   non si uniforma al volere della maggioranza. E che oggi ha trovato una nuova rinascita lessicale, tanto che fino a qualche decennio fa, nessuno o ben pochi lo utilizzavano, ritenendolo ormai sepolto nelle pieghe spesso dolorose della storia. E per finire la paura delle paure, le malattie viste come anticamera della morte.  Piaccia o non  piaccia, questa è la nostra società, che io chiamo della paura, che come risultato porta in sè il rischio di una democrazia fragile. Dove la politica è subalterna alla magistratura e quest’ultima, causa  un potere che sembra illimitato, genera un ultima, estrema, paura. Quella di non dover cadere sotto il suo controllo non riponendo fiducia nelle sue decisioni.  Un esempio? Quello capitato ultimamente  all’ex ministro dell’agricoltura, Nunzia De Girolamo, la quale dopo 7 anni di sofferenze con una prima sentenza  che la  vedeva condannata a 8 anni e 6 mesi di reclusione per abuso d’ufficio, per aver condizionato  nomine ed appalti all’Asl di Benevento al fine di raccogliere consenso, in questi giorni è stata completamente assolta dal giudice di Benevento perché il fatto non sussiste. Ecco allora che ritornando  al  titolo, il filosofo Gianbattista Vico  ci viene in aiuto proposito della democrazia della paura in base al suo modo di intendere la storia in fatto di corsi e ricorsi. Che intendiamoci bene, una filosofia la sua che  contrariamente a quanto normalmente si intende, non significa attribuire alla storia, la capacità di ripetere sempre i fatti. Ma, rimanda ad una condizione  che si verifica ogni volta  perdiamo di vista le memoria del passato attraverso la paura del presente Ecco allora che si realizza la tragedia  storica di una vera pandemia democratica non  di tipo virale, ma di arretratezza. Cui va aggiunto una condizione di pericolo. Perché è  questa  la condizione  che mette in  crisi la democrazia e che suscita la tentazione dell’uomo solo al comando. Che Dio ce ne scampi.

Corsi e ricorsi storici

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