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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Cugini per modo di dire

Chi l’ha detto che noi italiani abbiamo un rapporto di parentela con i francesi. Che saremmo appunto cugini secondo quanto la vulgata sostiene. Forse perché le nostre sono entrambe lingue romanze. Vale a dire derivate dall’unico capostipite, il latino? Può darsi sia questo il motivo, perché non vedo cosa altro possiamo trovare in comune, per definirci appunto parenti, per giunta anche abbastanza stretti

Chi l’ha detto che noi italiani abbiamo un rapporto di parentela con i francesi. Che saremmo appunto cugini secondo quanto la vulgata sostiene. Forse perché le nostre sono entrambe lingue romanze. Vale a dire derivate dall’unico capostipite, il latino? Può darsi sia questo il motivo, perché non vedo cosa altro possiamo trovare in comune, per definirci appunto parenti, per giunta anche abbastanza stretti. 

Cominciamo allora a disquisire sui reciproci caratteri. Accomodante il nostro e individualista. Votato alla mediazione sempre, anche quando si tratta di cose illecite,  (non voglio qui parlare di mafia che merita un discorso a parte) che dovrebbero suscitare reazioni offese e voglia di giustizia per portare alla gogna il colpevole. Invece questo, diciamocelo, non sempre succede. Da qui la nostra fama, sempre secondo i francesi, di essere poco affidabili, tanto che quando la situazione sembra non rispettosa del nostro tornaconto, siamo anche disposti a tradire prìncipi e princìpi,  amicizie incluse. Mal italico questo, è vero, ma anche mal comune. Poco consolante. 

Ovviamente questa disamina dei cosiddetti cugini d’oltralpe nel suo schematismo per altro molto approssimativo, considera solo le cose negative e le accentua condendole spesso e volentieri con alcuni stereotipi, quali chitarra e mandolino. Cui si aggiunge a piacere anche la pistola, in un comune equilibrio di preferenze con il nostro classico piatto di spaghetti. Mentre, di proposito, essi dimenticano invece quelle positive, fra cui la nostra umanità, il nostro buonismo, ed il senso della solidarietà che si manifesta proprio nei momenti più difficili, creando di fatto una contraddizione difficilmente comprensibile con quanto detto prima.  

Insomma sempre continuando con schemi e luoghi comuni, i vicini Galli, come venivano chiamati dagli antichi romani, possono avere qualche ragione, perché da noi è l’individuo il perno della vita pubblica. Sempre disposto ad arrabattarsi come può, in quanto per lui lo Stato è sostanzialmente un nemico anche quando ambisce ad accreditarsi come sodale. La dimostrazione di questo andazzo di cose è la politica nazionale ed i vari governi che, nonostante la loro nefasta presenza o forse proprio per questo, non riescono a capire come mai le cose da noi vadano sempre avanti,  nonostante arresti e cadute spesso rovinose. Persino un santone o un satanasso della politica, come era Andreotti, quando non riusciva a comprendere certi miracoli del bel Paese, sempre in procinto di affondare e altrettanto pronto a risollevarsi, non si preoccupava più di tanto di accertare le cause. Forse perché inutile. Gli era sufficiente, dopo aver esaurito l’appello ai santi protettori, affidarsi a quello che chiamava lo stellone Italia e deduco pensasse ad una vaga miscela di volontà creativa che si respira nel nostro Paese. E che meglio di altri popoli avvantaggiava il nostro per una maggiore capacità di adattarsi alle varie circostanze, onde prendere le necessarie contromisure per far fronte alle difficoltà. Tutto questo grazie alla capacità del singolo, senza intervento dello Stato, secondo il detto: aiutati che il ciel ti aiuta. 

Diversi da noi i francesi. Anch’essi sono individualisti, ma rispetto a noi hanno il senso della nazione. L’illuminismo ereditato dalla loro Rivoluzione ha lasciato infatti effetti durevoli. L’utopia di poter realizzare una società perfetta contando sulla dea ragione, aveva bisogno di appoggiarsi su uno Stato centrale, forte e autorevole, per perseguire l’obiettivo di rendere tutti uguali di fronte alla legge. E se possibile anche fratelli. Garantendo inoltre la libertà, non come espressione di anarchia, ma come rispetto di norme e regole, alias della legge. Così lo Stato quanto più è grande, tanto più il cittadino avverte sulla pelle il senso di questa grandezza.  

La storia francese, limitandoci agli ultimi tre secoli, la dice lunga. Per di più, persino nella pronunciare la parola Francia si avverte da parte dei suoi cittadini questo loro orgoglio di appartenere ad una nazione potente o che deve sembrare tale. Una sola vocale infatti non è sufficiente, bisogna aggiungercene almeno altre due o tre. Sicché la parola Francia si allunga e si ingrassa diventando Fraaance, fenomeno linguistico-fonetico questo ancora più evidente in bocca ai vari rappresentanti istituzionali. E questo indipendentemente dalla forma dello Stato. Che sia monarchico, vedi: l’Etat c’est moi, di Luigi XIV o dittatoriale con Napoleone oppure in tempi più recenti Presidenziale, dal Generale De Gaulle all’attuale Hollande, è sempre la stessa cosa: orgoglio nazionale e patriottismo in evidenza. L’ultimo esempio l’abbiamo avuto sotto gli occhi. L’attacco terroristico dei fanatici terroristi islamici dell’Isis che ha colpito il cuore del Paese, ovvero la capitale Parigi, generando 129 morti oltre a 350 feriti, ha messo nei francesi la paura, di dover mettere in discussione il senso della grandezza, cui accennavo, della loro nazione. Per scongiurare il pericolo, la reazione è stata immediata. Il canto delle Marsigliese, risuonante in ogni manifestazione pubblica, è stato il collante della reazione ed ognuno si è sentito mobilitato. 

Non sia mai che dobbiamo rinunciare alle nostre origini illuministe, alla nostra libertà e al senso della comune fratellanza di popolo. Questo il messaggio che ,col canto, si è alzato da ogni cuore francese. Anche a livello politico, i vari partiti sono diventati una cosa sola. Il presidente ha parlato di guerra e senza nemmeno alzare il telefono per avvisare non dico noi italiani considerati inaffidabili, ma nessun altro paese, compresa la Germania, ha inviato subito i suoi caccia Raphael per sganciare bombe sulle teste degli jihadisti in Siria. In sintesi, l’applicazione più rigorosa del detto: “a la guerre come a la guerre”. 

In Italia invece è tutt’altra cosa. La guerra fa paura anche solo a menzionarla. Da sempre pur partecipando a missioni internazionali, con armi leggere e pesanti, facciamo finta di niente, tanto  che abbiamo cambiato il significato della parola guerra che a noi dà così fastidio. Preferiamo sostituirla con la parola pace, seguiti in questa gara dell’ipocrisia dagli altri partner che hanno inventato, pensando soprattutto a noi,  l’espressione “peace keeping”. Vale a dire cercare la pace con le armi. Se possibile senza usarle. Sta di fatto che quando i francesi si sono finalmente decisi ad alzare il telefono, chiedendo a noi un appoggio per la guerra all’Isis, noi nei panni del presidente del Consiglio Renzi o dello stesso Presidente della Repubblica Mattarella, abbiamo preso le distanze, tergiversando con i vari dobbiamo riflettere, non essere precipitosi, valutare la questione in un ambito più generale e cose del genere. 

Così fra un sì e un no, abbiamo preferito, come sempre il nì. Anche per questo i francesi non ci comprendono o fanno finta di non capirci. Ah les italiens è la loro frase preferita contro di noi per esprimere poca stima e molta spocchia. Atteggiamento questo che a noi dà fastidio, ma non più di tanto. Ho detto prima che in parte potrebbero avere ragione, ma solo in parte. In realtà, pur con le loro ostentate sicurezze, danno l’idea di essere soprattutto dei complessati nei nostri confronti. Non  ci tollerano soprattutto perché non capiscono come con tutti i nostri difetti, in fondo stiamo sempre a galla. E poi, perché ci permettiamo di frustare la loro presunta superiorità superandoli in tanti campi. E qui conviene non citare il nostro patrimonio artistico, che non ha pari al mondo, per non umiliarli.  

Ci basta riferirci a più prosaici ambiti, dove la loro espressione del made in France, subisce contraccolpi umilianti, da parte nostra. E per rimanere nel settore alimentare, meritano un cenno i loro decantati formaggi e vini, superati dai nostri in quantità e spesso in qualità. E allora, detto il loro, qual è il nostro comportamento con i cosiddetti cugini? Siamo infastiditi dalla loro presupponenza, ma tolleranti anche se ci pestano un po’ i piedi. Perché comunque, causa il nostro carattere, non metteremmo mai in atto propositi di vendetta, di cui non ne siamo capaci, con l’unica eccezione per le partite di calcio. 

Insomma preferiamo ambire ad un quieto vivere da vicini anche subendo qualche umiliazione, perché da noi lo Stato non ambisce ad affrontare questioni di principio, preferendo dedicarsi ad altro, alle tasse in particolare. In fondo per noi l’individualità è una cosa seria e questo spesso è più che sufficiente per sostenere nel mondo il made in Italy. Cugini permettendo o meno. Cugini?

Cugini per modo di dire

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