Diario di viaggio in Armenia: a cent’anni dal genocidio
La seconda puntata del reportage di viaggio del medico piacentino Carlo Giarelli in Armenia. Il ricordo del genocidio armeno, ovvero le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1916 che causarono circa 1,5 milioni di morti
Pubblichiamo la seconda puntata del reportage di viaggio del medico piacentino Carlo Giarelli in Armenia. Il ricordo del genocidio armeno, ovvero le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1916 che causarono circa 1,5 milioni di morti.
IL PROBLEMA STORICO (III)
Continuando con l’elemento contraddittorio delle precedenti puntate, è la stessa posizione geografica dell’Armenia che sembra confermare questo dato. Chi infatti guarda un atlante non può fare a meno di notare come la sua posizione sia sempre a metà strada fra la parte europea e quella asiatica. Terra di conquista l’Armenia, viene allora spontaneo dire, situata com’è fra territori e imperi nemici che hanno caratterizzato la sua storia. Infatti questa vasta area che nel secondo millennio a. c. sorgeva su un altipiano incastonato fra valli e monti si stendeva per circa 400 mila Km2 fra il Caucaso a nord , la valle dell’Eufrate a ovest il pre Caspio ad est e la Persia a sud. Troppo vasto questo territorio per non suscitare appetiti. Per giunta le sue valli ricche di straordinaria bellezza e fertilità e dotate di ogni varietà di animali, uccelli e piante( v. Arca di Noè) non per niente dalle antiche mappe venivano associate al Giardino dell’Eden menzionato nella Bibbia. Costituitasi questa nazione con il concorso di numerose tribù che parlavano lingue diverse, dopo circa mille anni, queste plasmarono la nazione armena e la sua lingua che viene definita di stampo indoeuropeo. Dicevamo come questo paradiso terrestre non potesse stare immune da atti di conquista. Non è il caso qui di fare la storia armena, perché essendo troppo complessa è meglio lasciare agli storici e per giunta non interesserebbe ai lettori di queste note. Ci basti allora ricordare quel minimo di notizie onde poter dedurre il carattere del suo popolo. Cominciamo col direche dopo una serie di dinastie locali si interessarono dell’Armenia, gli Assiri, i Medi che venivano dalla Persia, I macedoni di Alessandro ed i romani che con il generale Lucullo nel 65 a.c. dopo aver sconfitto il re del Ponto Mitridate, si portò in questa terra, ne occupò la capitale e la mise a ferro e fuoco.
La cosiddetta grande Armenia cominciava a frantumarsi subendo sotto l’imperatore Giustiniano dopo le continue lotte fra impero bizantino e quello persiano una suddivisione in due parti. Ad occidente i bizantini ad oriente la Persia. Ma non è finita. La successione degli eventi porta nel settimo secolo gli arabi a formare in quel paese un califfato , quindi si fanno avanti i Turchi Selgiuchidi, finché dai territori della Cina e Siberia scendono alla conquista dell’Armenia i mongoli( alias i tartari) con il loro capo Genghis Khan. Poi ancora, causa la sua importanza strategica trovandosi proprio nel mezzo di questi imperi, l’Armenia,( ma mi viene spontaneo a questo punto chiamarla povera Armenia), per un periodo di circa 200 anni passa con ritmo alterato dal dominio persiano a quello turco-ottomano e viceversa. Fin tanto che nel 1639 i continui scontri turco- persiani suddividono definitivamente il territorio armeno in due parti. La parte occidentale ai turchi che diventa pertanto la Turchia orientale, la parte orientale ai persiani incorporata invece nell’Iran settentrionale. Della grande Armenia rimarrà solo il ricordo. La vasta regione di 400 mila Km.2 si ridurrà nei quasi 30 mila km.2 attuali ( viene infatti chiamata oggi con un misto di rimpianto, orgoglio e rassegnazione da parte dei suoi abitanti, piccola Armenia) finché verrà da ultimo conquistata dall’impero Russo. Mi fermo qui perché della questione armena e del genocidio meglio dedicare un capitolo a parte. Quel che mi preme dire dopo questa serie di fatti messi per altro in modo molto approssimativo è il comportamento armeno che poi plasmerà a mio avviso il carattere dei suoi attuali abitanti che tratterò meglio nell’ultimo capitolo. Insomma nel bene nel male emerge un fatto abbastanza costante. L’Armenia non è riuscita a diventare una potenza militare, un impero forte tale da contrastare la furia e la fame di potere delle potenze vicine ,nonostante i suoi abitanti abbiano sempre dimostrato coraggio ed ardimento nelle varie operazioni militari. E’ lecito allora pensare che forse per il fatto di essere nel mezzo di tante potenze aggressive, non siano riusciti ad affrontare di volta in volta il pericolo. Abbiano preferito spesso trattare o mettersi per quanto valorosamente al servizio di uno dei due contendenti. A volte persino dividendosi, come è successo nella prima guerra mondiale( ne parleremo) fra le due frazioni opposte con la speranza, una volta vinta la guerra, di ricevere aiuto e sostegno. Il risultato invece ha portato sempre delusioni causa il tradimento di alleati che subito dopo per convenienza diventavano nemici. Forse, per dare una spiegazione, è la stessa storia che si è accanita in modo così crudo con il popolo armeno. Perché al valore della guerra combattuta con coraggio ha preferito premiarne un’altra. Ancora più pericolosa perché subdola e legata all’opportunismo e agli accordi sottobanco. Il valore delle armi contro la diplomazia intrisa spesso di astuzie e doppiezze ha spiazzato questo paese e la coscienza nell’animo di molti armeni. I quali nonostante tutto non hanno mai perso la determinazione e il coraggio di ricostruire un paese per quanto ridotto alle modeste dimensioni attuali. Tanto che piuttosto che cedere e vivere sotto il dominio di antichi spergiuri che si dichiaravano amici, hanno anteposto la dignità di abbandonare il paese con tutte le loro cose. Come è successo per un altro popolo, ma su basi questa volta molto diverse, mi riferisco a quello ebreo, anche gli armeni hanno conosciuta la diaspora. E si sono sparsi nel mondo in ogni costituendo sempre in ogni paese una comunità. Hanno abbandonato, è vero, la terra ma se la sono portata simbolicamente nel cuore con la dignità di chi povero e vinto si sente invece ricco della propria cultura , delle proprie tradizioni e della propria identità cristiana. Tanto da far dire ad un loro comandante militare che per un armeno la cristianità è nel colore della pelle e non nel vestito che si indossa e si cambia a piacimento Valori questi mai rifiutati così come le sconfitte subite solo per aver troppo creduto nella lealtà dell’uomo.
LA QUESTIONE ARMENA ED IL GENOCIDIO (IV)
La questione storica è sempre stata per L’Armenia una grande tragedia. Lo abbiamo già detto per quanto riguarda l’antico passato, lo riaffermiamo con accenti ancora più drammatici per le questioni del recente passato a cominciare dalla fine del diciannovesimo secolo. Il filo conduttore sembra essere sempre lo stesso. Fra i due litiganti nel caso specifico Turchia e Russia ( mi riferisco ora alla guerra russo-turca del 1877-78) ,l’Armenia si trova nel mezzo del conflitto e ne subisce le conseguenze nonostante con la vittoria russa del conflitto , venisse liberato una buona parte del suo territorio sotto il dominio dell’odiato nemico turco. Ma niente per l’Armenia è definitivo, nemmeno la vittoria. Si susseguono infatti i trattati, prima quello di S. Stefano e subito dopo quello di Berlino(1878) ma nulla cambia nonostante il tentativo di internazionalizzare la questione armena attraverso il coinvolgimento degli stati europei. Sembra che per questa terra non valga la pena vigilare, troppo lontana dagli interessi europei e troppo vicina per le mire turche. Pertanto i trattati diventano ben presto carta straccia. Insomma quel mondo lontano, né europeo né asiatico non sembra degno di interesse per gli occidentali. Per di più, esiste per gli armeni la legge scritta nel loro destino che i presunti amici di oggi, diventano i nemici di domani. Esattamente come in occasione di quella guerra prima menzionata, capitò alla Germania di Guglielmo II. Prima amica e poi delatrice di informazioni sui ribelli armeni in territorio ottomano che iniziavano azioni di guerriglia( si chiamavano Fedayn, con un certo anticipo come denominazione su quello che saranno i terroristi palestinesi) contro il Sultano. Insomma gira e rigira la storia armena è sempre la stessa tanto da far pensare da parte delle potenze europee che questa perenne questione armena debba essere messa in pasto ai paesi confinanti. Pilato insegna. Di questa situazione dei Fedayn, ne approfitta allora la Turchia da sempre ossessionata, sia che vinca sia che perda ,a risolvere una volta per tutte la questione armena.
E così si arriva al 1894- 1896 dove le truppe turche organizzano il primo massacro armeno nella parte occidentale del paese. Il risultato è che centinaia di case e villaggi vengono distrutti e almeno 300 mila armeni uccisi. Intanto in Turchia la condizione economica , si aggrava ed il paese è quasi alla fame. Nasce allora il partito dei Giovani Turchi con il proposito di rimuovere il Sultano e di instaurare uno stato laico con i diritti civili estesi anche alle minoranze etniche. Sembra arrivata per l’Armenia la volta buona per contraddire la sua storia. Vediamo però come va a finire. Dapprima questo partito dei Giovani Turchi( detto anche CUP, acronimo di Comitato di Unione e Progresso) appare vincente ma successivamente , siamo ormai nel 1909, scoppia la controrivoluzione a favore del Sultano. In questa confusione la storia sembra divertirsi a scambiare le carte in tavola, a seconda del vento che tira. Quello che però non cambia è il destino degli armeni sempre fatalisticamente votato alla tragedia. Infatti, cosa succede? Che con il sostegno degli armeni i Giovani Turchi prendono di nuovo forza e sconfiggono il Sultano. Sembra fatta. Ma come dicevo la storia in quella parte del mondo segue il principio della contraddizione. Perché con un improvviso cambiamento di rotta,avviene che il CUP si trasforma in un governo il cui obiettivo diventa la turchizzazzione di tutti i territori dell’impero. Insomma un panturchismo bello e buono. Siamo all’inizio del genocidio con il massacro di 30 mila armeni nella regione di Adana e Cilicia. Niente di nuovo, perché Virgilio con il suo “ quantum mutatus ab illo” ce lo aveva già detto oltre 2000 anni addietro. Vabbè, lasciamo stare l’Eneide e torniamo a noi o meglio alla prima guerra mondiale scoppiata, come sappiamo nell’Agosto del 1914 fra l’impero tedesco, austriaco e ottomano contro la triplice intesa costituita da Inghilterra Francia e Russia. Da che parte stanno gli armeni? Si dividono. Quelli in territorio turco si arruolarono( obbligati) nelle fila dell’esercito ottomano, gli altri, dei territori ,orientali si schierarono invece per l’esercito zarista dimostrando con questo di voler essere o diventare filoeuropei. E’ l’ennesima occasione per la Turchia, quella giusta per dirimere una volta per tutte la famosa e sempre ricorrente questione armena. Solo lo sterminio e l’annientamento della popolazione sul suo territorio infatti, dava al governo turco la possibilità di liberarsi di quell’etnia così ostinatamente legata alle proprie radici di terra e di religione. Durante la notte del 24 Aprile si cominciarono ad arrestare gli intellettuali , gli scienziati , i poeti, gli scrittori, i pittori e oltre 4 mila religiosi che deportati in Anatolia in realtà verranno assassinati lungo la strada. Quindi si procedette ad una deportazione questa volta di massa verso la Mesopotamia in zone desertiche e lontane da ogni insediamento umano. Il risultato fu un massacro per gli stenti, la fame, la sete, gli abusi e le torture cui furono sottoposti questi condannati,comprese donne e bambini. Una carneficina. Si dice che di 2 milioni di Armeni ne sopravvissero meno di 600 mila. Ma non è ancora finita.
Per grandi passi arriviamo alla fine della nostra storia che però non rappresenta la fine della tragedia armena. Siamo infatti nel 1920 e finalmente si arriva al trattato di Sevres fra i vincitori della prima guerra mondiale e l’impero Ottomano. Il trattato impone alla Turchia di riconoscere l’indipendenza dell’Armenia e di restituirle circa 160 mila Km2 di territorio. Mica male. Ma come già detto i trattati in quella zona del mondo non valgono. Subentra alla guida del paese turco un nazionalista di nome Mustafà Kemal Ataturk che non ci sta a dover rinunciare al sempre vagheggiato progetto della Grande Turchia. Le sue truppe entrano allora in Armenia e vinta la debole resistenza, costringono gli armeni che nel frattempo avevano fondato la Prima Repubblica a dover riconoscere, per salvarsi dal pericolo turco, il potere bolscevico che conquistata tutta la Russia con la rivoluzione del 1917 aveva promesso di aiutarli e a liberare il paese dai oppressori. Fu così che il 2 Dicembre del 1920 la Prima Repubblica scomparve sostituita dalla Repubblica sovietica di Armenia. Finito? Non ancora. Vi ricordate la storia che in Armenia gli amici diventano nemici? Ebbene dopo essere entrata nel dominio sovietico, sembrava che almeno l’integrità territoriale fosse garantita. Invece per non scontentare il governo turco di Ataturk, la giovane e rivoluzionaria Russia, avendo altro da fare e per vivere tranquilla nei suoi confini, fra i due litiganti Armenia e Turchia si mette dalla parte del più forte. L’Armenia perde così immensi territori che diventano turchi e in parte dell’ Azerbaigian. E così si riduce ad un piccolo territorio di neanche 30 Km2. Si giunge finalmente con passi da gigante al21 Settembre del 1991 dove in seguito al collasso del comunismo, un referendum indetto dalla popolazione con il 99,8% dei voti dichiara finalmente l’ indipendenza della nazione. Chi ricorda oggi il genocidio In Armenia? Relegato ai libri di storia( non tutti) che trattano la questione in modo incompleto e timoroso secondo lo stile dello storicamente corretto, se ne deduce come questa tragedia con tutte le sue ombre , dia molto fastidio a chi preferisce dimenticare, come molti stati europei , per non dover riconoscere responsabilità legate alle solite questioni di carattere economico o di strategia politica. In Armenia invece le cose sono assai diverse. A 100 anni dal misfatto ogni cosa lo ricorda. Dovunque si vedono scritte e cartelli, all’aeroporto di Yerevan come sulle strade o addirittura , come al nostro gruppo di visitatori è capitato , persino su un monte prossimo al monastero di KhorVirap situato nella regione di Ararat. Dove su un ampio pendio , una grande scultura fatta di sassi colorati riproduce la corolla di un fiore, un “Non ti scordar di me” che nella sua delicatezza di colori, prevalentemente azzurri, evoca anche nel nome il ricordo e insieme l’ammonimento del grande eccidio. Insomma gli armeni non dimenticano e lo gridano in faccia al mondo senza curarsi di possibili ritorsioni sempre in agguato in quella martoriata nazione. Il loro orgoglio si tocca con mano tanto che sul loro carattere dedicherò l’ultimo articolo. Ma oltre al linguaggio dei fiori , ce n’è un altro scritto nella pietra. Su un’ altura erbosa appena sopra Yerevan( trattasi del parco di Tsitsernakaberd che consente una splendida visione della capitale) sono stati eretti due monumenti a ricordo dell’eccidio. Uno è rappresentato dal Museo- Istituto del genocidio inaugurato nel 1995, l’altro molto suggestivo detto Memoriale delle vittime( sempre del genocidio) merita per il simbolismo della costruzione qualche commento. Trattati di una torre conica molto alta che termina a punta aguzza , stranamente percorsa in tutta la sua altezza da una fenditura che di fatto unisce ma nello stesso tempo divide la ardita costruzione in due metà. A simboleggiare la linea tragica della storia del paese spezzato più volte dalle sue tante tragedie specie dall’ ultima, forse la peggiore, il genocidio( la fenditura che divide). Ma che nonostante tutto non ha vinto la volontà degli armeni di essere e voler rimanere un popolo orgoglioso e mai domo( la fenditura che unisce). Vicino a questa torre colpisce l’attenzione il monumento vero e proprio costituito da grandi massi rettangolari in basalto che innalzandosi verso il cielo convergono tutti verso il centro. Come apostoli( in effetti sono 12) o come semplici cittadini inginocchiati di fronte al mistero imperscrutabile del male che però lascia intravvedere una luce di speranza. Rappresentata questa da un braciere posto al centro della costruzione che si apprezza una volta entrati dopo aver percorso gli scalini che circondano circolarmente il monumento, causa una fiamma sempre accesa, Questa getta qualche bagliore di luce sul grigio scuro del massi che incombono in quell’atrio circolare evocativo di morte. A dimostrazione che quel nulla cui ci porta il male, nonostante tutto, non è mai un nulla assoluto.