Diario di viaggio in Armenia: la questione religiosa e il carattere armeno
Pubblichiamo la terza ed ultima puntata del reportage di viaggio del medico piacentino Carlo Giarelli in Armenia: sotto analisi, in questo artiolco, il problema religioso in relaizone all'identità del popolo
Pubblichiamo la terza ed ultima puntata del reportage di viaggio del medico piacentino Carlo Giarelli in Armenia: sotto analisi, in questo artiolco, il problema religioso in relaizone all'identità del popolo.
Cosa c’entra il problema religioso con il carattere degli armeni è una domanda che tutti potrebbero porsi. Per concludere, da parte di qualcuno, che trattasi di un fatto di poca importanza, rispetto a tutto quello che è stato detto sulle tormentose questioni storiche che hanno, queste sì, ferito lo spirito di tutto un paese con le sue verosimili ripercussioni in campo psicologico. Ma se tutto questo è vero sembra ancora più vero ritenere il ruolo religioso importante nell’aver contribuito a creare una identità di popolo, anche se caratterizzato da un aspetto contradditorio. Da un lato l’orgoglio legato al ricordo della grande Armenia, dall’altro la presenza di sfumature nostalgicamente riduttive forse giustificate dalla consapevolezza di essere rimasti orfani, quindi con poca terra e con pochi abitanti ( la cosiddetta piccola Armenia). Per giunta con poca comprensione da parte del mondo occidentale verso cui gli armeni guardano, nonostante tutto, con interesse. Un mondo questo che per la verità non ha mai saputo e voluto andare oltre i trattati di pace, purché scritti sulla carta e non sui campi di battaglia. Fra queste due posizioni storiche e psicologiche contraddittorie, il ruolo di armonizzazione spetta allora alla Chiesa. Vediamo perché. Prima di tutto va riaffermato quanto già detto, che la religione cristiana in Armenia è la più antica del mondo. Diventando religione di Stato nel 301 con San Gregorio L’Illuminatore che la diffuse in tutto il paese. Da allora gli armeni mai l’hanno abbandonata nonostante le invasioni islamiche e i 70 anni di dominio sovietico che ostacolava in ogni modo ogni manifestazione di culto. Le chiese allora divennero le case e nessuno rinunciò alle tradizioni religiose dei padri ormai inserite nel modo di vivere basato sul fondamento della famiglia, sul rispetto degli anziani e sul mantenimento persino delle vecchie usanze pagane. Le quali rivisitate dal cristianesimo ( ad es. i sacrifici animali in onore dei vari dei) trovavano una nuova sistemazione nello sgozzamento degli animali ma a fini esclusivamente di nutrimento in un modello familiare dove gli anziani ed i bambini venivano (e lo sono tutt’ora) educati secondo il detto: l’acqua al bambino, la parola all’anziano. Ancora prima di San Gregorio, due apostoli poi martirizzati diffusero il messaggio di Cristo in Armenia. Furono Taddeo che di nome faceva anche Giuda e per questo venne erroneamente confuso col Giuda traditore e il secondo, Bartolomeo. Di entrambi se ne vedono le immagini scolpite in altorilievo sulle lunette di ingresso, sopra il portale di numerose chiese. Dunque la religione armena per questa origine apostolica viene chiamata appunto Chiesa Apostolica Armena. Ma che differenza c’è con la cattolica Romana? Vediamo. La prima cosa riguarda la diffusione presso la popolazione, con l’Apostolica al 90% circa e quella cattolica che non supera il 10%. Ma sul piano dogmatico? Be’ qui le cose sono un po’ più complicate. Infatti le differenze nacquero col Concilio di Calcedonia(451) a cui la chiesa armena non partecipò e dove si approvò a maggioranza che il Cristo ha due nature umana e divina in una singola persona.
Questo per i cattolici. Per gli armeni invece la dottrina su questo punto è e rimane lievemente diversa. In sintesi per la loro Chiesa, il Cristo ha due nature perfette di divinità e umanità armoniosamente unite in una, una sola volontà e in un’energia unite in armonia. Questioni teologiche difficili da capire? Ebbene sì ma non tanto da rendere le due religioni troppo inconciliabili( i sacramenti infatti sono gli stessi). Semmai qualche differenza più palpabile, lo sui può notare nell’aspetto rituale della liturgia o anche nelle forme esteriori come l’abolizione prescritta nella chiesa armena dell’idolatria delle immagini dei santi nelle case e con la consacrazione dei dipinti presenti nelle cattedrali( pochi per la vertà) con la mirra per renderli diversi dalle opere profane. E l’organizzazione del clero armeno come si svolge? Insomma i presti si sposano o no? Domanda questa di grande attualità anche per molti dei nostri preti cattolici. Ebbene il capo amministrativo e pastorale della chiesa armena è il Patriarca o Catholicos che viene eletto a vita da cinque vescovi a loro volta precedentemente eletti dall’assemblea dei preti. Per quanto riguarda poi il celibato , questo è a discrezione di ogni singolo prete che prima della sua consacrazione deve dichiarare se è già sposato, se diversamente ha intenzione di sposarsi oppure se vuole rimanere celibe. Entrambe le condizioni sono compatibili con il diritto di amministrare i sacramenti. Ma soli i celibi fanno carriera nella gerarchia del clero armeno tanto che per differenziarsi indossano un berretto conico come simbolo di allontanamento dalla vita mondana. Tutto qui. Ed ora passiamo ai monasteri simbolo di tradizione religiosa perché costruiti , i più antichi attorno al 4-5 secolo, molti altri dopo il mille , mentre i più recenti, risalgono al diciannovesimo secolo. Poiché non c’ è tempo per descriverli tutti , riporto solo le linee costruttive che li accomuna. Sono infatti tutti a forma cruciforme con una parte centrale che si sviluppa verso l’alto in una cupola circolare e con ai quattro lati le cappelle laterali con tetto spiovente rivestito in pietra, come di pietra, normalmente tufo o basalto, èil materiale costruttivo dell’intera costruzione. L’interno preceduto normalmente da un pronao sostenuto da quattro o più colonne consente di vedere sullo sfondo l’immagine dell’altare. Costituito da una semplice e disadorna ara, reminiscenza di quella pagana, su cui sono appoggiati candelieri di metallo dorato o di ferro grezzo che portano candele a volte accese, altre volte spente. Nessun orpello, nessun arricchimento prezioso.
Il sacro è rappresentato da quel semplice tavolo di pietra che viene precluso alla vista dei fedeli nel momento più sacrale della liturgia, da un sipario di velluto rosso che ai nostri occhi appare molto simile a quelli dei teatri di provincia. E che appare in condizioni di una visita turistica, come la nostra,silenziosamente arrotolato per chi guarda, lungo la parete destra del presbiterio, chiamato per il suo carattere riservato ai celebranti quindi sacrale, anche sancta sanctorum. Sullo sfondo del tempio, quindi dietro l’altare, compare l’abside su cui normalmente è posizionata , in forma o di affresco o più spesso di un quadro, una immagine sacra, spesso raffigurante la Madonna con il Bambino. L’atmosfera del luogo è tetra perché la luce entra a fatica dalle piccole finestre poste nei vani delle cappelle laterali o verso l’abside tanto che per le dimensioni appaiono più simili a feritoie che a vere e proprie superfici vetrate. Si avverte insomma, all’interno del tempio, una sensazione in parte di raccoglimento ma in parte anche di desolazione per la mancanza dei normali abitatori di quei luoghi, i monaci. Ora scomparsi nelle tombe in pietra situate all’interno del tempio o nello spiazzo a ridosso del monastero oppure…nelle pieghe della storia. Se allora i monasteri sono luoghi oggi morti, in quanto non più abitati, dovunque il culto dei morti viene ricordato attraverso i vari cimiteri di cui è disseminato il paese. Sotto forma di stele di pietra piantate nel terreno alte un metro e forse più. Sono le famose Khachkar o croci di pietra( è questa la traduzione) una usanza che risale al mondo pagano, ma che col cristianesimo cambiano nelle loro decorazioni simboliche. Allorché al posto dei draghi si scolpiscono immagini sacre.
Ecco allora comparire al centro del cippo, croci lavorate nella pietra con le quattro punte che terminano con la decorazione del trifoglio simbolo della trinità( la cosiddetta croce armena). E poi attorno alla croce centrale una infinità di decorazioni finemente scolpite. Una flora e una fauna intricata e intrigante quali fiori, rosette, stelle, frutta con l’immancabile presenza del melograno e poi cavalli, asini, capre e uccelli in una intreccio talmente fitto di evoluzioni ornamentali che viene spontaneo pensare al ricamo a filigrana delle spille o degli oggetti in argento o d’ oro degli orefici. Dall’insieme di questi elementi religiosi e dall’aridità di un terreno montuoso e brullo ricco solo di pietre si può allora osare di tracciare un profilo della natura e del carattere degli armeni. Morfologicamente non sono né prestanti fisicamente né particolarmente aggraziati. Sembrano tutti fatti perla loro terra sassosa ed incolta. Dunque solidi di forma e di carattere come le pietre delle loro case o chiese che causai terremoti( Il paese nella sua sfortuna, oltre ai cataclismi storici vanta anche quelli di natura sismica ) cadono a terra, rotolano ma non si rompono. E poi rimangono lì in attesa che qualcuno si accorga del loro stato ( parlo delle pietre) e li rimetta di nuovo una sull’altra per ricostruire ex novo la casa o il tempio distrutto. Rovine e rinascite ritmano allora e il paesaggio e il tempo storico di questa terra per la quale, causa il suo ancoraggio religioso non è insensato utilizzare la forte espressione di resurrezione dopo la caduta. I cui effetti si riscontano nel carattere dei suoi abitanti Che passano dall’orgoglio (ferito) ad una condizione di fatalismo dimesso in un continuo interscambio e alternanza di ruoli a seconda delle circostanze. Senza però mai perdere la dignità come pure rinunciare alla speranza. E men che meno metter in dubbio la fede dei padri.