Elogio della follia
Voglio elevare un elogio alla follia che per non cadere nel generico, entra nel merito della contestazione su quell’intoccabile aspetto che è l’uguaglianza sociale. Considerato ormai un punto cardine di una società, come la nostra, che da una parte secolarizza il sacro e dall’altra sacralizza il principio che tutti devono essere uguali
Alcuni giorni fa una persona che stimo, mi si avvicina. Ho letto il suo ultimo articolo, mi dice, ma mi sembra almeno per noi (leggi noi piacentini e per estensione, italiani) alquanto irrealistico. E per educazione e carità cristiana (l’uomo la possiede) non ha aggiunto altro. Del tipo che le soluzioni proposte, dall’articolo in questione, sembrano per lui una cosa da matti. O quasi. Poiché tutti i torti, questo mio conoscente, non deve avere, ed i matti o presunti tali, suscitano spesso la mia comprensione e a volte la mia stima, voglio alzare la posta in gioco, con questa mia risposta. Elevando un elogio alla follia che per non cadere nel generico, entra nel merito della contestazione su quell’intoccabile aspetto che è l’uguaglianza sociale. Considerato ormai un punto cardine di una società, come la nostra, che da una parte secolarizza il sacro e dall’altra sacralizza il principio che tutti devono essere uguali. Con questa premessa chi sostiene il contrario, rischia di essere considerato un matto, di quelli da ricovero coatto. O peggio ancora un razzista, nel significato peggiore che si dà a questa parola. Di una persona cioè spregevole, che fa del proprio egoismo una filosofia di vita. Bene, ma sarà proprio così?
Vediamo e prima di tutto esaminiamo il concetto di uguaglianza. Se questo riguarda il fatto che tutti devono avere uguali diritti, non ci piove. Come pure se si sostiene che tutti devono essere liberi e uguali, dal punto di vista della dignità umana. In sintesi, tutti uguali di fronte alla legge civile (e morale) e che non ci sia bisogno di aggiungere altro. Chi infatti osa avere dubbi è un reietto sociale, pericoloso per sé e gli altri. Detto questo, la cosa però cambia se per uguaglianza , come è uso, intendiamo collettivizzazione pubblica che elimina ogni disuguaglianza individuale, comprese anche le stravaganze o le cosiddette pazzie, che rendono ogni persona un caso a sé. Un unicum non ripetibile e (per ora) non clonabile. Da considerarsi , per questo motivo, un miracolo esistenziale, che giustifica ovunque e sempre la difesa della vita, per ognuno, in tutte le sue fasi. Quindi dalla culla alla bara.
Premesso questo, esaminiamo la questione, sotto il profilo economico, oggi unico valore ad essere preso in considerazione da una società che da una parte con il discorso dell’uguaglianza, come detto, lo sacralizza , dall’altro lo banalizza e lo rende demagogicamente falso. Parole forti queste, che sembrano tali anche perché contrastano con il buonismo che ci circonda. Il quale, dietro il paravento della cosiddetta uguaglianza sociale, legittima in realtà ogni sopruso da parte proprio di chi, nei fatti, mette in atto la condizione opposta. Se qualcuno ha dei dubbi, si guardi attorno. La corruzione e il malaffare nella cosa pubblica, sono più che sufficienti a dimostrare il contrario. Ma veniamo al dunque, sempre a proposito di economia. Perché qui si contrappongono due credi. Quello oggi dominante, sostenuto da tutto quanto viene definito corretto, che abbraccia il politicamente, il socialmente e perfino il moralmente eche pone al centro dello sviluppo economico la società, dove tutti (a parole) sono uguali, indipendentemente dalle differenze individuali. Quelle che, come dicevo, rendono ogni individuo un caso a sé, per non dire un miracolo biologico e storico. Reddito comune e ridistribuzione di questo reddito in parti uguali, rappresenta la chiave vincente di questa teoria che si è fatta strada fin dall’ottocento, col capitale da abbattere attraverso il collettivismo di stampo marxista.
Ed oggi ancora presente sotto mentite spoglie, anche se con vesti apparentemente democratiche. Immaginare una società che crea benessere indipendentemente dalle forze individuali, ha sempre creato miseria, ma nello stesso tempo attirato le menti dei pensatori utopici. Normalmente benestanti e benpensanti, elitari di censo e di modi, cui per necessità psicologica, è sembrato consolatorio,vagheggiare la cosiddetta società perfetta, qui in terra. Senza bisogno di credere in un secondo paradiso, visto che quello di quaggiù è già disponibile, basta esserne convinti. Se poi, questo paradiso si è trasformato in inferno, dovunque si è cercato di realizzarlo, la linea di difesa si fonda sempre sulla solita giustificazione: un conto è la realizzazione pratica, altra cosa quella teorica. Insomma al massimo si trattadi una esagerazione nell’ applicazione di principi sacrosanti, validi tuttora e tuttora condivisibili. Infatti cadono i regimi dell’uguaglianza, mala forza della teoria, si mantiene, quasi intatta. Troppo bella la metafora del paradiso a portata di mano, soprattutto da parte di coloro che questo paradiso l’hanno identificato col detto: tutti uguali.E se anche tutti più poveri, pace. Come è capitato a quei milioni di morti, che non avendo credutopossibile la felicità (di classe) in terra, hanno finito per trovare in questa, anzi sottoterra, la pace, eterna. Ammazzati e sepolti per miscredenza. Comunque sempre di pace si tratta. La presa di questa teoria, per quanto già sconfitta dalla storia, è tuttora dura da vincere. Il concetto di uguaglianza muove anche significati morali, anche se questi sono fraintesi, perché ovunque si dimentica l’individuo a vantaggio del collettivo.
E la parabola dei talenti, secondo la quale ognuno è spinto ad agire secondo la propria capacità, non è stata sufficiente a smuovere, anche in campo religioso, questo macigno dell’uguaglianza a tutti i costi. Per la verità,neppure sono corse in aiuto le esperienze passate, gravide di insegnamenti. La società degli uguali basata sulla condizione di costrizione, quindi sull’assenza di libertà, causa il bisogno insito in ogni individuo di sentirsi unico, ha sempre creato di fatto una società di diseguali. Dove quello che è vietato a livello legale, viene riproposto a livello illegale, maggiorato di ogni immoralità. Per il semplice fatto che la società perfetta non esiste, e aggiungo, non può neppure esistere. A questa schema di società utopica si contrappone l’altra teoria, della società imperfetta basata sul liberalismo. Che non mira ad una collettività ideale, ma a quella possibile, attraverso la libera iniziativa e concorrenza. E che non pensa al tempo eterno collettivo (il paradiso quaggiù) ma a quello temporaneo dell’individuo che ritiene la storia non un punto d’arrivo, ma di partenza. Perché se il Paradiso (stavolta con la maiuscola) esiste, riguarda tutta un’altra dimensione. Con il liberalismo allora , il tutto uguale diventa un tutto diverso, perché in effetti ognuno vanta un suo credito personale davanti alla irrepetibile avventura storica, che da sempre si sviluppa nel continuo dissidio fra pubblico e privato. Sviluppare il proprio ingegno, diventa quindi la premessa di questa teoria della disuguaglianza a prescindere. Presentata come immorale dalla visione buonista e (falsamente) moralista, ma viceversa la più morale, proprio perché basata sulla libertà da parte di ognuno di esercitare le proprie capacità. E’ infatti da questi talenti che nasce il progresso e dal progresso la libertà, che prima di tutto è affrancamento dal disagio economico. Il medioevo, età considerata a torto una fase di mezzo nella storia, con tutte le sue contraddizioni, si è rivelato invece l’iniziatore di una rinascenza che attraverso la rivoluzione agraria ha sfamato ricchi e soprattutto i poveri che mai si erano sfamati prima.
I quali dopo aver rimesso in sesto il corpo, dapoveri di spirito, come fino a quel momento considerati, si sono lanciati nello spirito di iniziativa, facendo della fame un ricordo. E lo Stato allora, cosa deve fare? Semplicemente il suo dovere, quello di tutelare le vere uguaglianze di diritti e doveri da parte dei cittadini. Ma nulla di più. Garantendo semmai il suo intervento umanitario nei confronti di coloro che pur nell’uguaglianza vera dei diritti e nella libertà, sono stati perseguitati dalla sfortuna( esiste anche questa). Ma non per togliere, per dare. Come, per continuare col discorso morale e nello specifico religioso, si è comportato il padre nella parabola del figlio prodigo, lieto di accogliere ed aiutare il figlio una volta ritrovato e pentito. Almeno (ritornando allo Stato) fin tanto che, la sfortuna cambi destinatario e l’individuo possa riprendersi i suoi diritti di dignità che sembravano perduti. Ecco allora spiegato questo elogio della follia, o almeno di quella che dalla vulgata comune, viene considerata tale. Specie oggi dove appunto il sembrare e l’essere, i diritti ed i desideri, la volontà e la neghittosità, vengono accumunati tutti nella melassa della cosiddetta eguaglianza sociale. Questa sì, da considerarsi la vera follia.