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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Festa della donna. Ma quale donna?

Nulla da dire sulla festa della donna che come ogni anno, fin dal 1917, in cui le donne festeggiavano la fine della rivoluzione sovietica, si festeggia l’8 marzo. Per la verità il movimento femminile, che oggi è meglio chiamare femminista, risale a molti anni addietro. Al tempo cioè delle suffragette che addirittura nel diciannovesimo secolo non ci stavano ad essere relegate in  una condizione subalterna nei confronti dell’uomo. Sia per quanto riguarda la loro condizione sociale ed economica che quella politica,  legata alla preclusione del diritto di voto, che venne concesso  per la prima volta, nel Regno Unito a tutte le donne solo con la legge del 2  luglio  del 1928. Ma ancora non basta. Se quanto detto rappresenta una lunga marcia rivendicativa delle donne, in Italia le cose andarono  molto più lentamente. Infatti se fin dal tempo dell’unità d’Italia (1861) iniziarono i primi movimenti di emancipazione femminile, solo nelle elezioni amministrative del marzo- aprile del 1946, le donne vantarono il diritto di votare per la prima volta. Detto questo, ancora una precisazione riguarda la data dell’8 marzo del 1917. Perché prima di questa e definitiva data, la festa delle donne si teneva in un altro giorno. Nasce  infatti negli Stati Uniti nel 1909, ma con un mese diverso: febbraio. Fate queste precisazioni di carattere storico , quello che oggi interessa, riguarda sia la opportunità della festa sia, ed è quello che mi preme, la condizione attuale della donna. Iniziamo allora dalla festa che è giustificata dalle discriminazioni cui sono sottoposte le donne in fatto di violenza fisica. Risulta infatti che su dieci omicidi  di donne, chiamati con termine ambiguo femminicidi , ben  8 sono provocati dall’uomo maschio. Mariti, ex mariti, compagni e familiari. Insomma uomini che girano a vari livelli interno al pianeta donna e che per una ragione o per l’altra non ci stanno ad essere messi in una condizione di subordine. Soprattutto quando la donna decide, dopo tante traversie e umiliazioni, di diventare indipendente dal potere maschile. Se tutto questo non accadesse, la festa avrebbe meno senso. Festeggiare infatti la parte debole del genere, infatti, vuole significare richiamare l’attenzione sulle cause e sulle discriminazioni tuttora  presenti nella nostra società. Il fine: quello  di rimuovere certe differenze che tuttora nel campo sociale ed economico lavorativo ancora persistono. Tuttavia  e fortunatamente, tutto questo stato di cose, si sta modificando  e le stesse violenze maschili lo dimostrano. Letti infatti in chiave psicologica, rivelano tutta la difficoltà da parte del maschio di accettare la fine dell’era della propria supremazia, ma  di riconoscere la nuova condizione di parità dei sessi.  In sostanza ciò vuol dire una perdita di identità del maschio, legata alle conquiste femminili, che condiziona l’atteggiamento  spesso violento nei confronti della donna. Ho detto prima che le cose stanno cambiando e la dice lunga un titolo di un film che al posto del solito augurio in modo che il futuro neonato sia maschio, poneva una diversa augurante previsione: speriamo che sia femmina.  Questa previsione, dimostra l’evoluzione delle società  moderne, che tralasciano la Cina, ancora legata al passato dove si uccidono ancora le neonate femmine,  tale evoluzione, come dicevo, è tutta concepita in chiave femminile. Le donne infatti studiano di più e meglio degli uomini, accedono agli studi superiori   e di conseguenza  si laureano in numero maggiore, senza che esistano differenze di partecipazione agli studi. Parlo per conoscenza diretta per quanto riguarda la  professione medica. Non più una professione che limitava donne, come succedeva fino a qualche anno fa,  ad accedere alle sole specialità in pediatria o ginecologia. No, ora tutte le specialità sono aperte al genere femminile tanto che un settore un tempo quasi esclusivamente maschilista o machista come la Chirurgia, oggi vede la presenta femminile in numero uguale se non maggiore rispetto ai colleghi uomini. E se esiste ancora una differenza riguardo alla posizione apicale nelle varie professioni, causa l’antica prevalenza maschile,  attualmente le cose stanno cambiando. Tanto che diventa prevedibile  pensare come  nel prossimo futuro, causa il maggiore contributo agli studi da parte delle donne,  la disparità dei sessi ancora presente a favore del maschio, si invertirà a tutto vantaggio della donna. Ipotizzare quindi che un nuovo matriarcato debba subentrare nella società, non è solo logico  in base ai dati di fatto, ma corrisponderebbe ai corsi e ricorsi storici, facendoci ritornare all’inizio dell’avventura umana. A quel punto la donna non avrà più bisogno di festeggiare se stessa  in un solo giorno all’anno, essendo ormai nella condizione di sentirsi gratificata e vincente in tutto l’arco annuale. Ecco che allora   ribaltando le cose, non è escluso possa subentrare una nuova festa, quella dell’uomo maschio. Detto questo, un’altra condizione espressa nel titolo che paradossalmente costituisce una flebile speranza per l’uomo, riguarda la domanda: quale donna si festeggia l’8 marzo?  Nella condizione attuale della cosiddetta disforia di genere, diventa sempre più difficile individuare l’elemento maschile da  quello femminile e viceversa. La moda sembra prendere il sopravvento sull’ antica condizione anatomica e genetica e in questo clima  emerge la contraddizione del vivere inteso nell’unico senso edonistico, dove il desiderio  diventa un  diritto. Al punto che ognuno vuole diventare quello che non gli è dato essere dalla natura, considerata leopardianamente matrigna. E questo solo per  un  insensato gioco col destino in cui provocazione e desiderio di ergersi padrone assoluto di ogni legge naturale, giustificano ogni eccesso.  Sintetizziamo allora. Se l’uomo maschio in questo stato di anarchia sessuale e comportamentale, sembra avere la peggio in base alla caduta vertiginosa del suo stato di autostima, la donna invece reagisce costituendo un movimento femminista, il Me Too, contro tutte le violenze maschili. Nulla da dire contro questa violenza, che va condannata. Ma poiché la violenza rimanda ad una seconda violenza che è quella  di reazione, l’impressione è che la donna si stia mascolinizzando, perdendo una delle sue prerogative, che la pongono in una oggettiva superiorità nei confronti del maschio. Legata alla capacità di generare una nuova vita, che la pongono in una dimensione al di fuori del tempo e dello spazio, attraverso la trasmissione dei suoi carattere genetici. .Questo discorso sarebbe lungo da affrontare, ma per dimostrare quanto ho detto, mi limito a riferire due episodi.  Prima quello più scabroso e criticabile che riguarda l’attrice americana, Michelle William che rivendica il diritto di aborto libero, oggi in discussione negli States. Un diritto sostenuto con  un atteggiamento improntato alla gioia con tanto di canto e ballo, per mettere in ridicolo i patemi d’animo che una  tale eventualità possa ancora generare  nelle donne.  Quelle che non sono ancora consapevoli di questa opportunità , da affrontare come elemento di liberazione e addirittura allegro della vita. Aborto allora senza limiti e senza giustificazioni. L’unico motivo, la semplice voglia di farlo, sia per non alterare la linea oppure  per non compromettere una occasione favorevole di lavoro o di successo professionale.  E’ bene ricordare che  qui non si parla di condizioni estreme, tipo stupri o incesti, che potrebbero influire ed in certi casi giustificare la decisione della donna. La conclusione allora è una sola.  La gravidanza senza morale, pone la donna in una condizione di libertà  di autogestirsi assoluta, che la pone al difuori e al di sopra di ogni regola, compresa la sua visione nei confronti del maschio, scaduto a livello di fuco nei confronti dell’ape regina. L’altro episodio, stavolta di casa nostra, perché riguarda  il Comune di Bolzano,  riguarda l’immagine scelta della donna per la festa dell’8 marzo. L’illustrazione presenta l’immagine di una donna gravida col seno scoperto, nel cui utero si intravede il bambino. Coraggiosa ed evocativa l’iniziativa, ma ha un limite, oggi inaccettabile in quanto troppo tradizionale. Il motivo? Semplice, la figura della  donna- madre oggi non tiene più.  Infatti le proteste dilagano nel Comune. La gravidanza non unisce, ma divide, nei confronti di  quelle donne che non possono o non vogliono essere madri. Il risultato è quello di eliminare l’infelice e offensiva illustrazione. La donna è donna, sembra voglia dire l’evento. Non madre e neppure padre che d’altra parte non esiste.  Ma  tutte e due insieme. La  festa allora  dell’8 marzo, con tanto di mimosa che fiorisce in quel mese e che oggettivamente rimanda all’eterno fascino femminino, chi e cosa  oggi  festeggia?  Mah.          

Festa della donna. Ma quale donna?

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