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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Festival della Cultura della Libertà ( secondo giorno )

Nonostante sia domenica, il Festival procede in modo quasi festoso: lo dimostra il concorso di gente che affluisce, dimostrando di appassionarsi sempre più a tutti gli  aspetti che riguardano la libertà.  Consapevole che nell’attuale condizione di globalizzazione e di pensiero unico, diventa sempre più difficile per il singolo, esprimere le proprie idee, senza rischiare di essere emarginato dalla cultura multimediale che concepisce un solo credo e una sola fede: quella nel politicamente corretto. Entriamo  allora nel merito. Si comincia a sessione unica, con la rassegna stampa. Lettori e commentatori: Massimo Bordin, giornalista che per la sua pronuncia strascicata, non ci fa mancare la sensazione, per la verità non sempre piacevole, della sua l’inflessione romanesca  e il duo comico Luca bizzarri e Paolo Kessisoglu che in questa occasione sono serissimi: presi nel oro ruolo di professionisti dell’informazione. E strano ma vero, senza alcuna deviazione nell’ambito dell’intrattenimento leggero. Si leggono i vari quotidiani. Notizie su notizie. Quelle più curiose, riguardano Trump che suscita sempre timori, causa il suo modo di affrontare le cose al di fuori del politicamente corretto secondo la stampa mondiale, e di Berlusconi su cui pende ancora un (ennesimo) processo per i fatti che riguardano: Ruby e le ”olgettine”. Il quale, Belusconi, secondo un editoriale di Sallusti, chiaramente ironico, dovrebbe essere condannato all’ergastolo per aver pagato più donnine di tutte quelle presenti nell’elenco telefonico. Ma le notizie si sprecano sui vari quotidiani. Si parla di D’Alema che  non vuole alcuna scissione all’interno del Pd, ma solo un divorzio. Di Salvini e Meloni che vogliono andare al voto subito e poi uscire dall’euro. E ancora di Grillo che secondo un quotidiano (non ricordo quale) avrebbe detto, che se governasse il suo partito nell’arco di cinque anni, il nostro paese diverrebbe simile all’Ecuador. E nessuno a questo punto capisce se trattasi di battuta da parte del comico, o di cosa seria. E poi ancora si parla del sistema elettorale. Un pasticcio questo all’italiana che ha ripudiato il maggioritario, vigente all’estero, per privilegiare il proporzionale. Basta così con la stampa che rischia di farci venire il mal di testa, causa notizie quasi tutte uguali. 

E salutata la sessione unica, si passa  alla sessioni parallele. Due le sale quella blu e quella rossa. Scelgo la prima (la blu) perché per me più interessante. Questo il titolo: Sovranità statale, islamismo politico e pluralismo culturale. Ce n’è di grasso che cola.  In aggiunta i due relatori sono preparatissimi: Carlo Lottieri,  filosofo del diritto e professore all’Università di Siena e Luca Diotallevi, sociologo e filosofo professore all’Università di Roma tre. Modera, con garbo, il giovane giornalista de "IlPiacenza.it" Filippo Mulazzi. Le relazioni sono dotte e spaziano in diversi campi. Coinvolgendo quello politico, religioso, statuale, economico, filosofico, e del diritto. Difficile quindi riferire  il succo del discorso in poche parole. Mi ci provo. Comincia Lottieri con una critica pungente verso il sovranismo e in second’ordine verso  lo Stato invasivo. Per lui lo Stato nasce dalla guerra e si afferma con la guerra. La crisi attuale dello Stato vuol dire crisi anche della globalizzazione del mercato. Lo Stato dunque deve ritornare, per lui, ad un sistema più primitivo, quello delle libertà naturali, rinunciando ad una  un’organizzazione ossessiva,  che tutto comprende e tutto giustifica. A favore della riscoperta di un mercato locale e di governi locali, più rispettosi del senso di libertà degli individui e delle singole comunità. In sostanza è preferibile un po’ di disordine, rispetto al troppo ordine e al troppo disordine. In medio stat virtus? Viene naturale credere.  Risponde Diotallevi rincarando la dose. Per lui la sovranità, carta d’identità dello Stato è un bluff. Ha cominciato Lutero nel 1517 a pensare ad uno Stato assoluto che includesse in sé, anche aspetti teologici e sacramentali, quali il matrimonio. Ma oggi questo Stato è fuori dal tempo. Nel 1960 la crisi dello Stato sociale,  con la scomparsa del colonialismo e l’emancipazione femminile, ha  fatto conoscere   la  fine dello Stato che , si badi bene, non è un fatto di natura, ma un costrutto sociale. Oggi si deve convenire che la sovranità è ipocrisia e che la libertà religiosa, non è più un’eresia come ai tempi di Pio X, ma un indice di progresso. Attenti poi - sostiene - a dichiararsi volterriani. Bisogna invece valorizzare la pluralità dei cristianesimi e più in generale il confronto con le altri fedi. Come ad esempio succede oggi  in Indonesia, paese islamico, dove le varie fedi religiose vivono in tranquillità rispettandosi vicendevolmente. Infine, egli si chiede- qual è la ricetta contro la sovranità ed  un  governo mondiale? I due relatori  si trovano d’accordo su questi temi che elenco:  valorizzazione della specificità dei problemi, rispetto dei diritti fondamentali e di alcuni elementi di moralità pubbica, esercizio di  una rappresentatività trasparente ed infine sostegno al diritto della proprietà privata, intesa come confine fra ciò che è nostro e ciò che non lo è. Il pericolo? Non il multiculturalismo , ma l’a-culturalismo. Ve l’ho detto che era difficile sintetizzare queste tematiche, specie quando si parla inchiave filosofica. Comunque se qualcuno siè stancato, passi al prossimo argomento, sicuramente più semplice( ma fino ad un certo punto)che riguarda: Oltre lo Stato nazionale. Relatori Roberto Brazzale, avvocato e imprenditore, Alessio Morosin avvocato, saggista  e Andrea Favaro filosofo del diritto e professore dello Studiun Marcianum di Venezia. Moderatore sempre Filippo Mulazzi che in questo contesto di veneti desiderosi di ottenere la propria indipendenza, fa fatica a reggere come piacentino la loro tesi di indipendentisti, sapendo e ricordando, in tono colloquiale, la nostra richiesta di annessione al Piemonte nel 1848, allorché ci guadagnammo il titolo di Primogenita. A differenza del primo argomento in cui forse mi sono dilungato troppo, qui non farò la cronaca dei singoli interventi, privilegiano invece la tesi comune. Che per tutti e tre i relatori è quella di sostenere un Veneto autonomo, anche in punta di diritto in quanto ogni diritto che è la legge non può non riconoscere sia la libertà individuale alla scelta  sia quella collettiva ad organizzare un referendum. In quanto il diritto pubblico - essi sostengono - è ben diverso da quello privato. Ma , c’è una seconda ragione, che si basa sul  concetto di Stato e di sovranità ( sembra qui di ritornare al precedente argomento) che devono consentire l’autodeterminazione delle singole comunità. Scatta a questo punto la domanda di Mulazzi. "Ma voi credete che  il piccolo sia bello?" Certo che lo è, dicono in coro. Piccolo è bello - concludono - perché risponde meglio alle esigenze delle persone. E poi - ammoniscono -  lo Stato ha un tempo e un luogo, perché non è immortale come Dio. Quando morirà, verrà sostituito. Fine della trasmissione e della mattinata. Pausa pranzo, breve, anzi brevissima. 

Alle tre pomeridiane si è già all’opera. L’argomento: Libri e libertà. I relatori: Gianluca Barbera, editore e romanziere e Florindo Rubettino, editore. Moderatore l’avv. piacentino Antonino Coppolino, che procede con grazia.  Ognuno dei due relatori, parla di analisi dei vocaboli. Barbera che si definisce  un libertario, anti dogmatico, inizia,  tanto per alleggerire il discorso, a parlare di verità. Cos’è? Dio? Ciò che è verificabile, come dice Severino?, oppure ciò che si scopre e si costituisce strada facendo.? Nessuno sa e quindi la risposta è il dubbio. La parola passa ora a Rubettino e per lui l’ analisi della parola vuol dire, parlare di  concentrazione editoriale che sembra, un attentato alla libertà, ma non lo è (in Italia ci sono 5000 case editrici). E’ solo una battaglia ideologica con i libri di destra sempre penalizzati, rispetto a quelli di sinistra. E poi la seconda analisi: il mercato che ovviamente è importante per l’editore il quale deve scegliere in base agli elementi cultuali dei libro, ma sempre con un occhio al mercato. Ovvio. L’editore non è un filantropo.  Terza e ultima sessione: Le libertà individuali e la crisi dell’Ocidente, Relatori Luigi Marco Bassani, Storico delle dottrine politiche e professore all’Università di Milano, Sergio Belardinelli, sociologo, professore all’Università di Bologna e un giovane, Daniele Velo Dalbrenta, filosofo del diritto, professore all’Università di Verona. Moderatore sempre l’avv. Antonino Coppolino. In sintesi, queste le tesi.  Per Bassani il tema della libertà è scomparso dalla discussione politica. La politica infatti vuole potere e denaro, senza giustificarsi con  il tema della libertà. Il potere pubblico è allora in contrasto con il diritto naturale alla libertà, che significa  desiderio di incolumità e  possibilità di possesso dei propri beni. E allora dove si trova oggi la libertà? Semplice. Nel silenzio della legge, come diceva Hobbes. Infine e conclude; una nuova libertà verrà da una secessione a catena contro lo Stato coercitivo. Replica Belardinelli che da sociologo manifesta speranze nei confronti dell’uomo nuovo (quale?) che deve costituirsi in un’Europa, non ancora in disfacimento, attraverso una nuova pedagogia che dia spazio ad un nuovo credo da inserirsi nel mezzo fra negativismo e costruttivismo. (Chi ci capisce è bravo ed io non sono fra questi. Deduco che i sociologi  sono sempre complicati e spesso evanescenti). Se la nostra società è in crisi - conclude - è perché la nostra è una società dei rischi che antepone il valore della sicurezza a quello della libertà. Quest’ultimo punto, è da me compreso e condiviso. Conclude e chiude Dalbrenta che parla di una crisi della giustizia, causa tempi biblici, lentezze di ogni genere e problemi emergenti come ecologia, gender e bioetica, dove spesso sono compromesse le libertà individuali. Auspica infine una riforma del processo penale che troppo spesso ricorre alla custodia cautelare. 

Siamo alla  conclusione che  spetta di diritto all’avv. e presidente Corrado Sforza Fogliani il vero ideatore del Festival della cultura della libertà. Il suo è un discorso breve ma, come sempre, incisivo nel ribadire i temi che sono stati dibattuti in questi due giorni: Il politicamente corretto che  porta alla servitù indotta o costretta o peggio ancora,  volontaria,  e poi la fiscalità ormai diventata bestia onnivora e sempre affamata, infine la gogna mediatica da parte di chi si sente in diritto di esercitare il diritto (non è un gioco di parole) di pensare con la propria testa. E per ultimo, il senso del pensiero liberale che è contro i dogmi e le falsità. Anzi per essere più preciso che è sostenitore della  verità che   è vera o è falsa. Tertium non datur. E a proposito di verità e libertà, cita Sant’Agostino. Passa quindi ai ringraziamenti, ma senza enfasi. Il tomo è sentito e a proposito di verità, molto sincero. Carlo Lottieri e Cerasa sono primi nomi. E poi tutti coloro che si sono adoperati per la riuscita del festival. Da Confedilizia, all’Associazione liberale  piacentina Luigi Einaudi e al numeroso pubblico presente. La sua chiusura  ha parole commoventi. Questo festival liberale che ci ha tenuti occupati per due giorni- egli dice- suona come attività di rigenerazione del nostro morale e stimolo per un più concreto impegno per il futuro: e poi l’ultima chicca: questo non è un addio ma un arrivederci al prossimo anno negli stessi  giorni dell’ultimo periodo di gennaio. Applausi sentiti da parte di tutti. Strette di mano e abbracci. Fine. Ultimo commento da parte di chi scrive. Questo successo che va al di là di ogni aspettativa, mi fa pensare che il liberalismo di cui si parla tanto, ma che per le ragioni ampiamente esposte non riesce mai ad incidere sulla realtà dei fatti, trova in questo festival una nuova opportunità. Non quella di cambiare il mondo, ma di modificare qualcosa dentro di noi. Con un atto di fede che tutto non è ancora perduto nella globalizzazione dei mercati e delle idee. E che ancora c’è speranza di poter fare qualcosa contro il nostro attuale nemico; il pensiero unico. Se c’era bisogno di una cura per convincerci, questo festival ha funzionato da terapia di tonificazione di quello che alberga nella nostra mente. E perché, no, ha funzionato come processo anti-nvecchiamento anche del corpo. Un processo questo che, miracoli a parte, capita sempre quando la forza delle idee e i propositi del fare, si trasformano nella convinzione di una fede che supera i precedenti limiti. E come le belve ai tempi dei primi cristiani, vincevano nel breve ma  perduto alla distanza, anche la nostra nuova belva che si affama di tasse e burocrazia, non è detto che debba per forza sbranarci. Potrebbe anche succedere in contrario. Potrebbe…

Festival della Cultura della Libertà ( secondo giorno )

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