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Giovedì, 25 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Firenze sogna ma soprattutto fa sognare

Esco una tantum dai miei soliti articoli che  riguardano in proporzioni,  un po’ confuse, lo ammetto, temi a me più congeniali, quali etica, cultura e storia. Ecco allora che in questo articolo riscopro una città che mi vide giovane e fiero a frequentare il corso allievi ufficiali. Gli anni, lo sappiamo, passano in fretta, fin troppo, ed eccomi allora in quella stessa città. Dunque invitato da cari amici eccomi a Firenze. Il suo spirito, intendo della città, è sempre quello. Di un luogo che è difficile definire. Troppi i suoi monumenti che ricordano epoche antiche e nello stesso tempo innumerevoli fasti che hanno permeato la storia. Qui tutto si tiene. Umanesimo e rinascimento si danno la mano e si intrecciano in un continuum di sensazioni che gli elementi architettonici ricordano, per nulla sbiaditi dagli anni trascorsi ,ma  addirittura  arricchiti dalla nobiltà del tempo. In un concorso di dare ed avere, in cui entrambi queste  due componenti, si esprimono al meglio senza rimarcare differenze, ma solo ed unicamente  per realizzare un connubio di estranianti ed uniche sensazioni. Non illudiamoci. Quanto detto è solo una parte della storia di questa città orgogliosamente consapevole del suo fascino, ma che insieme esprime il senso della contraddizione. Altri secoli infatti vengono improvvisamente evocati ed il trecento, per limitare il ricordo a questo periodo, appare nella magnificenza della Signoria. Dal nome dell’antico palazzo che costituisce il centro vitale del potere, un tempo politico ed economico ed ora  testimone di un perenne fascino artistico. Intendiamoci, non voglio raccontarvi la storia della città, attraversata dal fiume Arno. Ora placido , calmo e povero d’acque, ma che improvvisamente, come è già successo, può assumere le caratteristiche del fiume impetuoso che esonda dalle sue sponde per invadere e sommergere interi quartieri  cittadini. Difesi solo dalla vetustà dei suoi palazzi, ma non dalla forza della natura di un fiume, quando si fa beffe della bellezza che   circonda le sue sponde. L’imprevedibilità dell’Arno riguarda allora la stessa imprevedibilità del carattere della popolazione fiorentina. Normalmente espansiva e apparentemente cortese nei confronti  del turista, nello stesso tempo carico di toni scherzosi, manifesta sottotraccia un fondo dove si può cogliere un misto di arguzia e spirito polemico. Ecco allora il punto. Il carattere del fiorentino è il medesimo  ed il cui archetipo lo si ritrova in  Dante. Il ghibellin fuggiasco secondo il Foscolo, che visse tutto il suo tormento e contraddizione verso la città che gli diede i natali. Amore ed odio in lui si sono uniti in un contesto di orgoglio ferito e scontrosità fin troppo manifesta. Il senso polemico e l’intrattabilità  dell’animo intesa come scarsa accettazione verso proposte e soluzioni non condivisibili, ha costituito quindi la sua caratteristica. Tralasciando Dante, gran parte delle sue caratteristiche caratteriali , come detto, si riscontrano nei fiorentini di oggi. Dietro la scorza accomodante  e sempre un po’ piccante, si intravede lo spirito libero che non si placa se non attraverso l’impuntata polemica e l’arguzia spiritosa della critica contro tutto e tutti. In sostanza contro il mondo che da Firenze ,secondo lo spirito  dei suoi abitanti, deve dipendere e non l’opposto. Altrimenti insoddisfazione e critica diventano contrassegni spontanei  nei comportamenti, al pari di un fiume in piena. Che esonda contro tutto ciò che viene considerato  poco degno di un passato che ha dato gloria alla civiltà. In pratica di quella sua storia in cui si mescolano la grandezza economica e quella artistica che non trovano uguali in altri luoghi. E che si accompagnano da sempre con  contrasti e lotte orgogliose a  dimostrazione che a Firenze uno non vale uno, ma  ognuno diventa il tutto. Eccoci allora a elencare qualche nota della mia avventura,  in termini di frequentazione di alcuni luoghi carichi di storia che sfuggono all’ingiuria del tempo. Infatti a Firenze questo aspetto temporale quasi non esiste, sopraffatto dal senso della bellezza eterna che si propone con la semplicità tipica di ogni vera grandezza. Ecco la sintesi dei i luoghi visitati con una prima delusione che riguarda Santa Croce, inspiegabilmente chiusa ai turisti. Il tempio delle urne dei forti di quel tale  personaggio dai capelli di un  colore rosso acceso, che  per il suo animo tempestoso, se non fosse nato a Zante, potremmo considerare fiorentino. Considerato il carattere indipendente e mai tacciabile di cortigianeria,  alternava infatti perorazioni a scatti di ira contro chi osava contestargli, usi, comportamenti ed opere. Ma che  alla fine in opere come i Sepolcri o nelle Grazie mise anche i critici più accessi nelle condizioni di spegnere ogni  riserva per dare spazio al silenzio. Da sempre unico ed eloquente metro di valutazione di ogni opera d’arte,  perché l’arte quando è tale, rischia di rendere ogni parola vana. Con un salto di   secoli e di valori artistici, passiamo da Foscolo  ad un certo Bernardo Buontalenti. Chi è costui? Ben pochi lo sanno. Per scoprirlo bisogna andare a Palazzo Pitti, dal maestoso e quasi inverosimile bugnato, che colpisce più che l’attenzione la fantasia di chi più che  a vedere  immagina. Dal palazzo che esprime la grandezza e la magnificenza per la poderosità dei suoi elementi architettonici, anch’ essi non catalogabili in base ai riferimenti di quello che noi chiamiamo storia dell’arte. In quanto al di sopra e al di fuori di ogni definizione,  se non riferendoci alla già citata fantasia, proseguendo il nostro tour, entriamo nel giardino di Boboli. Un percorso il nostro ,ed uso il plurale, perché  accompagnato dai famigliari e dai citati amici, fatto di lunghi,  faticosi continui saliscendi, in cui la compagnia, in qualità di sentinelle devote, è costituita da cipressi e piante di alto fusto, oltre  che dalle  delimitanti siepi e dalle statue che rimarcano dall’alto dei loro silenti ma eloquenti volti , carichi di reminiscenza classica, il senso di una bellezza antica e moderna. Che dunque in  un tripudio di  luce, ovvero di un sole sfolgorante, alleviano la fatica della marcia e trasmettono il senso senza senso di comprendere quello che è  invece è solo intuizione. Di gran lunga più veritiera e ancorata alle visioni più profonde dell’animo, rispetto a quella ragione che  appunto  pascalianamente il cuore non  riesce a comprende. Ebbene dopo  aver visto e ammirato  la fontana di Nettuno, eccoci in chiusura di percorso,  all’ultima visita.  Trattasi d una grotta che alla vista rappresenta qualcosa di sorprendente. Un misto di elementi bizzarri e dalle concrezioni spugnose che delimitano l’antro di ingresso. Dove fra elementi classici costituiti da colonne sormontate da architravi, una colata di stalattiti e stalagmiti fanno  della grotta, come dicevo ,un antro misterioso in cui una voluta commistione di  invenzioni architettoniche danno il senso di una rappresentazione teatrale, che stimola fantasia e immaginazione. Da cogliere  in quanto alla vista, ogni particolare appare fuori da ogni apparente definizione, causa una commistione  magica delle tre arti, rappresentate da architettura, pittura e scultura. In sintesi, questa grotta, costruita attorno alla fine del sedicesimo secolo, rimanda  come sensazione, ma in anticipo di tre secoli,  il senso della meraviglia della Sagrata Famiglia di Guadì. Questa almeno la mia sensazione. Ma chi sono i personaggi che sul fondo della grotta si intravedono dopo tanta celebrazione di fantasie surreali?  Trattasi di   due stature, fra loro sessualmente avvinghiate, che si riferiscono  a Paride che rapisce Elena.  Così dicono gli esperti, anche se io, ormai trascinato nel mito, preferisco attribuire i personaggi alla storia di Teseo che rapisce Arianna. Immagine più consona del rapporto amoroso esistente fra i due dopo il famoso filo che consenti al primo di uscire dal labirinto e così salvarsi dalla furia del sanguigno minotauro. Sensazioni. Siamo alla fine. Ma un ultimo pensiero doveva essere rivolto a Chi, come amore, muove dantescamente il sole  e le altre stelle. Arriviamo allora a San Miniato, dove la vista della città   si coglie in tutta la sua avvenente completezza, con la famosa cupola brunelleschiana e le sue torri e campanili. La ricorrenza è la festa di San Benedetto, ben rappresentata dalla messa, celebrata in latino e corredata dal canto gregoriano. Altra forma di coinvolgimento quest’ultima  che riguarda lo spirito , anche se a Firenze, per la verità, lo spirito si ritrova in ogni luogo. Basta saperlo cogliere. Ho detto  e così  finisco, ma  un ultima parola con un riconoscente pensiero devo allora rivolgere agli amici che ci hanno invitato. Discreti e premurosi hanno arricchito la nostra visita con commenti appropriati e sempre improntati al senso di amicizia.  In loro non ho riscontrato traccia dello spirito polemico, per quanto arguto dei fiorentini. Altra provenienza la loro. La differenza si coglie.  Il loro spirito lombardo differisce  infatti da quello fiorentino, ma nello stesso tempo si amalgama bene. Essi lo dimostrano con dovizia di stile.  Se la realtà svanisce, ora rimane il sogno.        

Firenze sogna ma soprattutto fa sognare

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