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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Fra la vita e la morte

Un recente episodio capitato in Olanda, mi spinge a fare alcune considerazioni sui due cardini dell’esistenza, che sono l’inizio e la fine della vita. Due elementi questi fra loro apparentemente inconciliabili ed antitetici. Ma solo apparentemente. In realtà sono legati da quello che un tempo veniva chiamato destino, oggi sostituito dal Dna, il nostro patrimonio genetico. Il quale agisce in associazione con le tante cause che durante la vita possono influenzare il nostro corredo di geni e che in una parola si definisce epigenetica. Per fare alcuni esempi, elenco brevemente queste cause: la vita sedentaria, l’iperalimentazione, le infezioni ed i vari vizi che affliggono gli uomini, fra cui lasciando da parte le micidiali droghe, sono da sempre presenti in tutte le latitudini, quali l’alcol ed il fumo. Ebbene se questi due momenti esistenziali, vita e morte, sono indissolubilmente legati da un rapporto di tempo, con tutte le varianti individuali di cui abbiamo fatto cenno, ultimamente si è creata un nuovo fattore che mette in dubbio quelle stesse cause naturali che condizionano le due età della vita. Della nascita e delle sue modalità, sarà il caso di riparlarne in un altro articolo, invece della morte, sulla base dell’episodio che ci riguarda, urge dare una spiegazione immediata. Insomma cosa è successo nella civilissima Olanda? Che un donna di 74 anni affetta da decadimento cognitivo, in sostanza una specie di anticamera della demenza, è stata uccisa o per coloro che si scandalizzano di una parola così cruda, modifichiamola eufemisticamente con il termine più soft di eliminazione. L’autore del misfatto che in base ai fatti, bisognerebbe chiamare omicida è il medico curante. Tutto potrebbe essere chiaro e semplice, se non saltasse fuori la pratica dell’eutanasia a sgombrare il campo da reati e colpe condannabili secondo la giustizia. Per chiarire i fatti e principi, facciamo una rapida sintesi. Per eutanasia si intende etimologicamente dal greco, morte buona, condotta a questo fine attraverso due soluzioni, quella attiva e quella passiva. Con la prima si intende l’atto medico diretto ad interrompere la vita, con la seconda  lo stesso risultato si ottiene in modo indiretto. Attraverso la sospensione delle terapie ( chiamato  accanimento terapeutico) o anche utilizzando farmaci sedativi in eccesso, per evitare al paziente il dramma della consapevolezza della propria condizione .  Pratica quest’ultima che si fa spesso nei reparti di cura ospedalieri e di cui anch’io sono stato fautore, ai fini di anticipare la fine del paziente con il merito di non farlo soffrire. Esiste poi anche il  suicidio assistito che assieme alla eutanasia attiva, definiscono entrambi la  cosiddetta morte assistita. Fatte queste premesse, c’è un altro particolare importante da  dover aggiungere: la volontarietà del soggetto. Vale dire che ogni forma di eutanasia si definisce volontaria o involontaria a seconda della determinazione espressa dello stesso soggetto. In pratica, nel primo caso, se il paziente è in grado di decidere al momento. Oppure anche se  la sua volontà sia stata espressa in precedenza ( il cosiddetto testamento biologico) non essendo più in grado di decidere al tempo in cui si richiede la decisione fatale. Al contrario invece nella forma involontaria Ed ora ritorniamo al caso olandese in cui abbiamo parlato di eliminazione di una persona. In questo caso infatti la buona morte ( in senso etimologico) è scattata senza chiedere il consenso della paziente. In realtà un testamento biologico esisteva e per il quale la stessa firmataria sarebbe ricorsa all’eutanasia qualora fosse stata costretta a finire i suoi giorni in una casa di riposo. Ma lo stesso testamento, letto per intero,  riportava come la decisione doveva essere legata all’ultima volontà , quando cioè la stessa paziente avrebbe ritenuto fosse giunto il momento giusto per togliere  la spina. Invece cosa è successo? Che in mancanza di quest’ultima volontà , la  decisione del fine vita è stata presa dai parenti, i quali hanno ritenuto  a loro arbitrio, fosse giunto il momento della eliminazione della donna. Il giorno prestabilito viene quindi definito e  una volta scelto il medico, viene iniziata la procedura. Prima la sedazione   con un farmaco ipnotico versato nel caffè, quindi le tre iniezioni mortali. Ma cosa succede? Che la paziente dopo la prima iniezione ha un sussulto di consapevolezza. Si dibatte e reagisce cercando di divincolarsi,  ma invano. Deve allora forzatamente essere immobilizzata dallo stesso medico aiutato dai parenti, finchè con le ultime due iniezioni si pone termine a quello che possiamo anche definire martirio.  Conosciuti i fatti, parte un fascicolo per la procura che anche nella civilissima e permissiva Olanda, favorevole alle varie forme di eutanasia, ipotizza una responsabilità del medico per essere andato oltre i limiti consentiti. Si arriva a sentenza e la ragione è dalla parte dell’uccisore nonostante non abbia tenuto conto del diritto della paziente di decidere sulla propria vita,  su quando e come interromperla. Un’inezia.  La sintesi è che lo stato decide, sul destino dei singoli,  come presto succederà  anche da noi quando  oltre alla eutanasia passiva, già riconosciuta, anche quella attiva (è il caso di Eluana Englaro)  ed i suicidio assistito,  diventeranno completamente leciti, anche sotto il profilo giuridico, perché nella pratica lo sono già . Ed è questo il caso di Fabiano Antoniani,  accompagnato in Svizzera da Marco Cappato per porre fine alla sua vita. Ecco allora quanto va detto, come commento. E’ legittimo che lo stato decida quando e come uccidere chi, a causa   della gravita della sua condizione, voglia farla finita , in una società laica, come la nostra? Ebbene detto, obtorto collo,  la risposta è sì, anche se  devo confessare di avere sempre avuto orrore di uno stato che entra nel merito delle cose private diventando pertanto uno stato etico.  Infatti poiché il problema si pone e la libertà  affidata ad ogni singola persona prevede anche la laicità di disporre del proprio corpo, conviene prenderne atto e accettare il principio di realtà. Preferisco però difendere un altro tipo di libertà, quella di non fare male a nessuno e nemmeno a se stessi.  Così facendo per rimandare  la questione ad ogni singolo individuo, diventa necessario scomodare un elemento oggi poco di moda: la convinzione religiosa.  Che nel nostro paese a maggioranza, vuol dire  essere o no cristiani. Ecco allora il punto.. Per i primi,  i cristiani, la libertà è legata alla verità e questa  a sua volta alla giustizia ed il vero artefice di tutto questo  è Dio,  tramite  la creazione. L’uomo  allora non può gestire un dono che gli è stato dato, al punto che fare violenza contro se stesso,  diventa un atto di insubordinazione contro il Creatore. Per tutti gli altri, i non cristiani, per i quali il dono dell’esistenza non viene dall’alto ,il campo della decisione deve essere libero, poichè non esistono altri condizionamenti che quelli legati alle cose terrene. L’uccisione di stato  che si chiama eutanasia nelle sue varie coniugazioni per volontà  libera del paziente, se  diventa compatibile con il principio laico del vivere,  non può avvenire per chi ha fede. Questa infatti è sia personale sia collettiva, ma sempre frutto di una convinzione spontanea che non deve mai essere imposta. Che poi questa stessa fede possa diffondersi è auspicabile anche grazie alle testimonianze dei fedeli. Per i quali la sofferenza, e la stessa morte, diventa  un mezzo di elevazione spirituale. Ma questa è tutta un’altra  storia che pone il fatto accaduto in Olanda, in una logica  diversa e non sempre  completamente logica che riguarda  appunto la  fede.  

Fra la vita e la morte

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