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Giovedì, 25 Aprile 2024
Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

«Giovanna D’Arco alla Scala? Meglio la leggenda»

Chi era veramente Giovanna secondo la storia? E quale voleva essere il messaggio dell'opera alla prima della Scala di Milano?

Chi l’ha detto che la storia è una filosofia in movimento? Che dunque la storia deve essere interpretata dai filosofi? E ancora che la valutazione dei fatti storici è l’arte di scegliere, fra i tanti errori ,quelli che più assomigliano alla verità? Se non lo sapete niente di male, ma se scomodiamo un grandissimo del pensiero liberale, un certo B. Croce come autore di queste frasi, qualcuno, non  addetto ai lavori, non si meravigli. Né  diventi incredulo, ora che vengono ripubblicati i volumi storici  su Mussolini, da parte di R. De Felice che viceversa sostiene come il  vero storico è colui che non partecipa agli eventi, che se ne distacca, importando a lui  solo  occuparsi di  documenti scritti. Che vi sia  allora una  contrapposizione fra questi due modi di intendere la storia? Forse sì, tanto che vienespontaneo chiedersi:  esistono i fatti in sé, oppure la loro interpretazione? Insomma pensatela come volete, ma un fatto è che l’uomo è un essere alla ricerca della verità. Ma, col piccolo particolare, di tendere alla  propria verità, quella corrispondente alle proprie  esigenze o  convinzioni.  

Da questo punto di vista la storia allora è molto  simile alla scienza. Altro campo del pensiero questo, che nonostante fatti e dati, spesso confermati addirittura dai numeri, ha lo stesso contenuto di verità di uno specchio. Che rimanda   tutto ciò che noi gli mettiamo davanti. Tutto questo argomentare perché? Per l’opera  Giovanna  D’Arco che ha inaugurato la stagione lirica della Scala. Mi limito a interpretare quello che ho letto, dunque le carte delle varie gazzette, non tanto a proposito di musica e canto, quanto per ciò che riguarda la regia. In particolare la scenografia che rende in modo visivo il pensiero del regista. Anzi dei registi, perché si tratta di due cosiddetti fuoriclasse (attenzione che il fuori può anche essere  letto in modo riduttivo) rispettivamente Moshe Leiser e Patrice Caurier. E qui apro un inciso. Si sa infatti che i registi devono sempre trovare soluzioni nuove, rispetto a quelle che nel teatro lirico sono chiamate tradizionali. Ambientate quindi nell’epoca dell’opera in questione,  con tanto di costumi e ricostruzione di ambienti che con un po’ di legname per i sostegni dei fondali e quanto basta di  cartapesta  per il resto, tendevano a rappresentare al meglio quelle atmosfere fatte di  dame, cavalieri, armi ed amori, tipiche delle datate vicende narrate nel melodramma. Nel caso della nostra eroina francese,  per la verità di tradizione scenica autoctona, ce n’era ben poco ,visto che da circa 150 anni non era più stata  rappresentata sul palcoscenico scaligero. 

Nonostante la tradizione storica e letteraria  grondasse ugualmente di tutti gli usi e gli abusi del caso.  La Pulzella d’Orleans così chiamata dall’omologo lavoro di F. Schiller, riadattata nel libretto, anno 1845 ,da Temistocle Solera, librettista geniale ma impetuoso e collerico con qualche elemento di pazzia,  musicata da G. Verdi, raccoglieva  infatti tutto il sentire romantico a proposito di un’eroina che da sempre suscitava e suscita frementi sentimenti di diversa natura. Causa   la sua vita ed i suoi gesti, difficilmente decifrabili secondo il metro delle cose normali.  Che rischiando di diventare per il motivo della loro eccezionalità poco credibili, spingono i contrasti interpretativi in un terreno ambiguo fra storia e leggenda. Nel campo cioè dei contrasti più inverosimili, fra l’eroina coraggiosa  e la giovane ossessionata da una missione da compiere. Oppure fra la religiosa devota e pia, votata alla santità e la  giovane in preda alle allucinazioni che sotto la lente dello psicologo  può tranquillamente trasformarsi in paziente affetta da sindrome isterica. Contrasti dicevo in cui tutti hanno attinto il secchio per  portare acqua al proprio mulino. Evocatrice di diavoli secondo alcuni, profetessa e sacerdotessa di miti pagani secondo altri, venerabile , beata e poi santa per la Chiesa cattolica. Ma solo  a partire dal 1920, dopo oltre sei secoli. Ma chi era veramente Giovanna secondo la storia?

Una giovane nata in una famiglia di contadini, nata nel 1412 a Domremy in terra di Lorena che fin da bambina aveva delle visioni mistiche, rappresentate queste  prevalentemente dall’arcangelo  Michele e da S.Caterina, accompagnate da bagliori e musiche celestiali. Già fervente devota fin dalla più tenera età, e di animo caritatevole, si dice che preferisse (storia o leggenda?) fin dalla prima infanzia, dormire per terra per offrire il suo giaciglio ai senzatetto. Sta di fatto che dopo queste visioni, decise di consacrarsi a Dio, offrendogli per tutto il tempo che a Lui sarebbe piaciuto, il voto di Castità. Quindi sentendosi ispirata e investita  da una missione divina, durante la sanguinosa guerra dei cento anni fra Francia ed Inghilterra, esce dal suo isolamento e con lo charme della sua  visione profetica, si propone come vergine guerriera al servizio del suo re Carlo VII, per salvare la Francia. Tanto che contando sulla forza della fede, lei completamente digiuna di ogni esperienza militare, non solo riesce a convincere il re, maa farsi seguire nelle sue visioni profetiche, finendo col mettersi addirittura alla testa dell’esercito francese.  Sconfitti gli invasori inglesi e liberata Orleans, con l’esercito francese in tripudio,  fa consacrare Il suo re a Reims, segnando con  questo fatto, l’inizio della rinascita politica della Francia. Poi però le cose cambiano. Fatta prigioniera a Compiegne dai borgognoni e consegnata agli alleati inglesi, viene poi condannata al rogo per eresia e stregoneria nel 1431. Fin qui la storia che come si sa, quando si tratta di personaggi così fuori dal comune, si mescola sempre  con la leggenda, onde giustificare i più inusuali passaggi  di una vita che definirla avventurosa  è niente. Che infatti l’ha  trasformata  da povera contadina, in una nobile  dama (il suo nome da Darc fu infatti cambiato in D’Arc), da strega a santa, da umile nullatenente  a comandante capo di un potente  esercito. Con l’ultimo passaggio il più drammatico, che  dal potere la fa precipitare al rogo. Col martirio, più nessun ostacolo si frappone al mito cui è destinata. Diventa infatti patrona di Francia ed è considerata nel suo paese il simbolo di ogni lotta in difesa della giustizia e  della fede. Se questo riguardava e riguarda la Francia, per ritornare a noi, anche per  Verdi, la figura della eroina diventava  il pretesto per elevarla a simbolo dello spirito risorgimentale  contro l’oppressione austriaca che di li a poco condurrà alle guerre d’indipendenza. Insomma  fra storia e leggenda difficile trovare il punto di separazione, per una figura così importante, talmente i fatti si intrecciano per poi  mescolarsi con le varie ideologie. Per restare in terra d’oltralpe infatti l’eroina, accusata di fanatismo dall’illuminista Voltaire, viene utilizzata di volta in volta per i più vari scopi politici. Diventando, con ammirevole contrasto, simbolo di liberazione nelle seconda guerra mondiale ed oggi icona del nazionalismo di destra e dell’integralismo religioso, causa i recenti fatti terroristici di matrice islamica. 

A dimostrazione come per tali personaggi, il confine è molto fumato  fra storia  e leggenda. Creduta la quale (intendo la leggenda) il tutto si trasforma in  storia. Così come il mito del cavaliere senza macchia, senza paura e, mettiamoci pure, senza peccato, che  prima ancora  di mettersi in arcione, per essere  pronto alla pugna, è già dentro di noi. I miti servono a questo. A riconsegnarci una realtà più vera rispetto a quella reale, mossa dai nostri desideri, dalle nostre aspettative e dalle nostre speranze.  In quanto disposti a vedere non quello che c’è (troppo scontato) ma quello che non c’è.  Da questa semplice constatazione, se ne deduce che siamo tutti un po’malati, tanto da giustificare il paradosso che il più sano è spesso il  più bisognoso di cure. Il discrimine infatti  fra salute e patologia è sottile, impalpabile, non sempre visibile.  Una questione solo quantitativa e non sempre  prevedibile.

Ebbene ritornando all’opera e alla regia qual’é il messaggio? Minimalista in sintonia con la realtà di oggi dove non ci possono essere spazi per convinzioni certe. Che anzi vengono contestate in funzione di quel nihil che in latino vuol dire niente . Da cui deriva appunto  il nichilismo. Allora la regia, per uniformarsi al niente di vero, deve ricostruire un ambiente adeguato. La scena si apre allora con un grande letto (oggi arredo molto di moda)  che occupa tutto il palcoscenico, elemento ideale per visioni erotiche o mistiche a seconda dei casi. Ma, intercambiabili, essendo  il confine fra le due visioni  incerto, differenti negli spetti formali,  ma  simili nei  contenuti. Entrambi espressioni di una stessa mente votata a scegliere indifferentemente o l’una o l’altra cosa . Altro elemento,una piccola statua della Madonna di Lourdes,che appare sullo sfondo, con la funzione di rappresentare un possibile filo conduttore della vicenda, ma nello stesso tempo, causa  le sue dimensioni minimali, una  intrinseca negazione di tale funzione. Il senso?  La contraddizione di non dare  nell’occhio affinché il messaggio non sia  troppo esplicito. Infine la ricostruzione scenica, alta circa 8 metri, della cattedrale di Reims, dove come ricordato si è svolta la consacrazione del re Carlo VII.  Diamo a Dio quel che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare sembra essere il significato massimo, espresso dalla regia. E se con questo ha rischiato di sbilanciarsi troppo, la colpa comunque è di quella matta di Giovanna D’arco. Ognuno intenda. 

«Giovanna D’Arco alla Scala? Meglio la leggenda»

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