I simboli del presepio
Detto il perché bisogna fare il presepio, legato alla nascita di un bambino che sconvolgerà il mondo, affrontiamo ora come a cominciare dal 1223, anno in cui San Francesco pensò di dedicare al Dio- uomo, una rappresentazione della sua venuta in terra, affrontiamo -dicevamo- come nel corso degli anni il presepio ha modificato il suo messaggio rappresentativo, andando incontro alle più varie fantasie ed alle più cogenti esigenze religiose degli uomini. Non solo quindi della gente di fede, ma anche di tutti coloro che si riconoscono in una identità storica e culturale che il cristianesimo ha portato nel mondo. Oltre a questo, val la pena individuare i contenuti simbolici del presepio, che parlano il linguaggio della creatività dell’uomo nel tentativo di celebrare l’essere creativo per eccellenza, nato da donna vergine nel posto più umile e lurido del mondo, come una stalla. A questo proposito secondo la tradizione, si tratta di una stalla vera, dove digrumano le bestie, maleodorante, buia e sporca, dal lastricato lurido di fango compicciato alla meno peggio e insozzato dagli escrementi dei loro occupanti, le bestie. Prigioniere queste ultime e nello stesso tempo padrone di quella prigione in cui si compie il miracolo di una nascita che prima di tutto vuole celebrare la natura. Quella che dai campi odoranti di erbe virenti e di fiori dai mille colori nei mesi estivi, si sono ridotti al grigio fieno nell’evolversi della stagione invernale. Trasformato poi, dopo l’ingestione da parte degli animali, nell’alchimia miracolosa di un prodotto dal colore bianco e dal sapere spesso, intenso e gradevole, diventato il migliore e più completo alimento del lattante ed in senso più ampio dell’uomo, che si chiama appunto latte. Dunque la stalla. Quattro mura sozze e un tetto di travi sconnesse che sostengono una copertura fatta di lastre di grezza pietra mista a frasche. Nel mezzo il luogo simbolo della stessa stalla, la mangiatoia , elemento di povertà animalesca, dove un po’ di paglia appesantita dall’umido dei fiati ed intrisa di un variegato colore giallo-grigiastro, perché sporcato dal contatto con mani ed arnesi, quindi dalla miseria e dal sudiciume , sta a dimostrare il luogo simbolo della nascita di un Re, ma non di questa terra. Ben diversa la rappresentazione nel presepe. La stalla diventa ornata dalla fantasia creativa onde nobilitare evento, di eleganti colonne con relativi capitelli. Le pareti sono linde e regolarmente squadrate ed intonacate, in cui si aprono finestre ampie che non tolgono la luce, ma danno visibilità ai campi circostanti e alle case vicine che sembrano, al confronto, più misere e povere. Mentre la mangiatoia è linda e ben curata come se la paglia fosse un soffice cuscino su cui le gracili e teneri carne del futuro Salvatore, potesse adagiarsi in modo confortevole e gioioso. Quasi che la paglia rappresentasse, per questa ragione, un elemento pittoresco e di pregio che la differenza dalle comuni e più banali culle. Il presepio quindi nelle sue molteplici rappresentazioni, diventa qualcosa di gentile e di grazioso, dove la povertà scompare diventando elemento di distinzione. Come pure di una placida e serena nobiltà, appaiono i due animali che immobili stanno in adorazione al Re dei re. I primi quindi che si accorgono del miracolo della nascita di un essere che si fa uomo per magnificare per prima cosa il miracolo della natura, rappresentata da quelle stesse bestie, che di questa sono il simbolo. L’asinello in atteggiamento estatico e il bue dalla intensa espressione di forza e di fedele laboriosità al servizio dell’uomo, simbolo del lavoro nei campi. I cui attributi ci ricordiamo i versi del Carducci:” t’amo pio bove e mite un sentimento di vigore e di pace al cor mi infondi”. Il bue quindi nella sua calma serenità che accetta perfino, senza infastidirsi, l’assillante roteare dalle mosche che lo prendendolo come preda per i loro ronzanti movimenti e le rispettive irritanti soste, viene definito, dal poeta, addirittura pio. A dimostrazione di un modo legato prima di tutto alle bestie, di celebrare con il loro lavoro, intenso e silenzioso, la divinità del creato, al servizio dell’uomo. Questa insomma la simbologia del bue che veglia il bambino non ancora poppante, dando l’impressione di proteggerlo con la sua forza. E nello stesso tempo scaldandolo col fiat, delle sue narici nerastre ed umide, causa la potenza del suo mantice. Va detto comunque che nel bue il simbolismo si allarga e ci ricorda quello d’oro costruito per adorazione da Aronne, quando fu lasciato solo nel deserto dal fratello Mosè, impegnato a salire sul monte Sinai per colloquiare con l’Eterno. Ma non è ancora tutto. Il culto del bue-toro in età ancora più antica, era praticato dagli egizi che lo ritenevano una divinità causa un processo di assimilazione fra potenza fisica e quella religiosa. Tuttavia nulla di tutto questo appare nel Presepio, che attraverso questa figura, celebra l’accoglimento, la protezione ed il senso della devozione adorante da parte della natura nei confronti del creatore, presentato sotto le vesti di un neonato bisognoso, prima ancora degli uomini, del calore vero e metaforico di due animali, fra i più simbolicamente significativi nella storia umana e religiosa. E passiamo allora all’asino, anch’esso estaticamente comprensivo della parte importante che svolge in quel momento. E che non dimentica quel suo omologo, dalle lunghe orecchie, che verrà cavalcato da quel bambino diventato adulto, che nell’ultima Pasqua si reca a Gerusalemme a compiere quel sacrificio finale , da cui poi beneficeranno tutti gli uomini. Per la verità, l’asino era consacrato in Grecia, tanto che per i suoi possenti appetiti sessuali era caro a Dioniso. Il dio degli eccessi e di ogni misterioso esoterismo che riconosceva alla concupiscenza il diritto, con il concorso delle menadi, di trasformare ogni pulsione istintuale, come direbbe Freud, in un fatto benefico fino a farlo diventare un evento addirittura salvifico. Ma l’asino ci ricorda nel suo corrispondente femminile, dunque l’asina, l’animale che utilizzò l’indovino e profeta Balaan, per recarsi dal re Balak per riferire in merito alla possibilità di maledire e sconfiggere il popolo di Israele, che dopo quarant’anni di peregrinazione nel deserto aveva attraversato il Giordano. Ebbene, detto profeta - indovino, dovette sottomettersi al volere di Dio che mandò in terra un messaggero. Trattasi di un angelo che scelse l’asina come sua interlocutrice, destinandole un messaggio preciso, alle cui parole la stessa asina diventata intelligente e parlante , convinse il suo padrone di riferire al re di astenersi da ogni azione contro il popolo israeliano. L ’asino allora che nel presepio si presenta in atteggiamento orante di lato al pargolo divino, sta a dimostrare quanto l’ispirazione dell’Eterno si sia servita di questa umile bestia, per magnificarne il suo primo attributo: l’umiltà. Prima come destinataria e ispiratrice di un messaggio e poi addirittura come animale prescelto per condurre il figlio Gesù nella città della morte, per compiere il suo ultimo atto. Quando, dopo la tragica fine, tutto sarà compiuto.