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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Il giorno dei morti al cimitero di Piacenza

Che ressa al nostro cimitero il giorno dei morti. Anch’io ero fra i tanti, tantissimi visitatori. Ognuno col suo mazzo di fiori, impegnato a raggiungere il loculo o la cappella dove dimorano i propri cari. Osservo questo fiume di persone

Che ressa al nostro cimitero il giorno dei morti. Anch’io ero fra i tanti, tantissimi visitatori. Ognuno col suo mazzo di fiori, impegnato a raggiungere il loculo o la cappella dove dimorano i propri cari. Osservo questo fiume di persone. Ne riconosco molte che sembrano uscite da un ricordo ormai sbiadito perché assenti dalla mia vita da troppo tempo. A riprova che solo il cimitero rende possibile due cose. L’incontro con i morti e anche quello con quei vivi, che proprio perché non vedevi da tempo, pensavi avessero preso altre strade. O altri mondi compreso quello che tutti noi dovremo prima o poi raggiungere. Saluto cercando di non tradire la sorpresa. Ma è difficile mentire. Qualcosa di noi ci tradisce, perché lo sguardo è più rapido del pensiero. Coglie l’attimo della sorpresa e trasmette il suo messaggio, sicuro, inequivocabile. Seguono poi le parole, spesso di circostanza, che non fanno che confermare quanto prima detto con il silenzio del linguaggio corporeo.

Alla ricerca dei miei morti (a proposito non ho mai capito e forse mai capirò il criterio per la numerazione dei reparti nel nostro cimitero), mi aggiro fra le tombe. Mi accorgo del tempo già trascorso alla vista di un nome scritto su una lapide o di una fotografia che mi ricorda un vecchio conoscente, un amico o semplicemente una persona un tempo famosa in città. Il tempo dicevo. Strana cosa di cui ti accorgi solo al cimitero. Quando ormai è troppo tardi per realizzare con le persone che ormai non ci sono più, quelle cose che non hai fatto e che ora vorresti fare. Ma è tardi.  Medito e stranamente alla sensazione triste di fronte al defunto, se ne aggiunge un’altra. Quella consolante  che ti fa dire come in fin dei conti tu sei ancora da questa parte, dalla parte cioè dei cosiddetti vivi. L’uomo non si smentisce mai. È infatti una contraddizione unica e la molla dell’egoismo è sempre quella che ti fa accettare le disgrazie della vita e poi ti spinge  a superarle. Guardo allora anche gli altri frequentatori di quel luogo di lutti e di rinascite. Gli atteggiamenti sono apparentemente mesti specie durante la sistemazione dei fiori  o il riassetto delle tombe o delle cappelle. Ma momentaneamente.

Quando poi dopo il lavorio di abbellimento, si riassetta a propria volta anche la mente, in misura proporzionale al numero dei conoscenti che ti accompagnano,  la mestizia si trasforma nella consolante constatazione dello scapato pericolo che non è altro che il piacere di  sentirti ancora  fra quelli che come te conservano il potere  di scambiarsi emozioni. Infatti si continua a parlare, è vero, dell’estinto ma con toni  che diventano colloquiali, quasi a segnalare un certo , protettivo, distacco dal luogo funereo e dai suoi non più loquaci abitatori. In fondo la tua buona azione l’hai compiuta, il ricordo si è già materializzato in quel mazzo o in quel vaso di fiori che poi appassirà nel giro di poco tempo. Ma intanto sono lì belli e  freschi, odorosi e rugiadosi e te li rimiri con un senso di intima, egoistica soddisfazione. Solo poco persone ,appunto perché sole, non riescono ad uscire dalla loro tristezza.

Manca loro qualcuno cui comunicare e condividere le ansie e i dolori della vita. Per tutte le altre (persone) una volta abbandonati i loculi, si verifica anche l’abbandono dei mesti pensieri. Si parla del presente lungo i viali fra i cipressi ad ombrello, mentre del passato a proposito del nostro defunto, si ricordano le vecchie storie che l’ hanno visto protagonista  e si finisce per ricordare di lui  solo le cose piacevoli  al fine di rendere  anche piacevole la nostra visita. Vedo allora un campionario umano sempre uguale, ma nello stesso tempo sempre diverso. Uguale perché  è  di tutti l’istinto vitale alla sopravvivenza che alberga in ognuno di noi. Diverso perché rispetto ai miei tempi qualcosa è cambiato. La secolarizzazione sembra sia entrata di prepotenza anche nei cimiteri. In altri termini la laicità sembra abbia preso il sopravvento sugli aspetti religiosi della vita e della morte.

La visita al cimitero insomma, mi appare diversa da quella della mia infanzia. Allora  si andava a far visita ai nostri morti  in silenzio, accompagnati dal prete e su ogni tomba si lasciava, più che un fiore, una preghiera e ci si congedava con l’immancabile segno di croce. Oggi quel mondo protettivo, strutturato in tutte le manifestazioni del vivere e del morire non esiste più. E’ prevalso un  atteggiamento laico, legato soprattutto agli aspetti del conformismo  esteriore, mentre la scoperta del sacro è lasciato all’anticonformismo della singola persona. Alla fine   comunque, anch’io ho raggiunto i miei morti e mi sono consolato  al pensiero di non aver fatto una vacanza o un “ponte” intelligente 

Il giorno dei morti al cimitero di Piacenza

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