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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Il passo o i passi nella nostra città

In questi tempi il linguaggio è tutto dominato dalla parola passo. Passo avanti, passo indietro e passo di lato, sono i termini che ricorrono più spesso a proposito della situazione politica, che in fatto di passi è ferma. Eppure si assiste ad una strage lessicale in fatto di passo e passi. Come a significare che tutto è o dovrebbe essere in marcia. La marcia in effetti rimanda ad un altro passo, oggi fortunatamente passato di moda: quello dell’oca. Un passo militare che strano a dirsi per dare solennità e rigore alla marcia, evocava il palmipede che in fatto di intelligenza non ha mai fatto parlare di sé. Ma andiamo avanti, anzi per non tradire la moda attuale del linguaggio, diciamo pure, passiamo avanti e dal governo che di passi non ne fa se non quelli in dietro, passiamo alla situazione di casa nostra dove sempre a proposito di passi, in senso politico e di gestione della città, pochi se ne vedono. Anzi ammesso che nella passata giunta qualche passo avanti fosse stato fatto, ma non si vede in quale direzione, oggi è costume dire che nessuno si accorge di alcun cambiamento di passo da parte di questa amministrazione. La città è sempre la solita, immersa in quell’atmosfera di nebbiosità mentale che ha sostituito, in fatto di nebbia, quella ambientale, oggi quasi scomparsa, con l’aggravante di stare ferma. Sto parlando, l’avrete capito, dell’amministrazione comunale, delle iniziative pubbliche, ma fortunatamente non di quelle private che invece esistono e che passi avanti ne stanno facendo e come nella direzione di farci uscire dagli stretti confini delle nostre mura . Due le iniziative meritevoli che hanno contribuito a vincere il nostro immobilismo. La prima, la scoperta del Guercino, al secolo Giovanni Francesco Barbieri, con la visita alla cupola del Duomo affrescata dal pittore di Cento fra i più insigni della pittura barocca, che ha scosso la tranquilla passività di una città dimentica dei suoi patrimoni artistici e di conseguenza della sua identità. La seconda, tuttora in corso, che riguarda la visita alla basilica di Santa Maria di Campagna, affrescata da Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone perché nato in quella località nel 1483, le cui immagini pittoriche sia della cupola che delle cappelle laterali sono degne del giudizio di Sgarbi. Il quale come al solito ha dato di questo grande artista, la definizione più sintetica e nello stesso tempo più apprezzabile, dicendo di lui: ha portato Michelangelo a Piacenza. Passi questi indubbiamente in avanti per la città dormiente, ma a livello comunale, pochi i movimenti in avanti che riguardano la vita dei cittadini. Anzi per essere ancora più precisi, nulla o quasi per il momento, stanno avvenendo. La città alla vista sembra quasi abbandonata. L’ordine pubblico al massimo si può dire che è al passo coi tempi. Ma i tempi lo sappiamo sono quelli che sono, quindi poco felici. Lo stesso si può dire della pulizia di strade e piazze. Contenitori agli angoli delle vie, strapieni di rifiuti, emergono dalla loro feritoia e poi per la legge di gravita cadono al suolo. Sempre a proposito di passi, si pensava potesse esserci con questa amministrazione un passo in avanti, rispetto alla precedente, o quanto meno un cambiamento di passo, ma per ora non si avverte alcuna modifica. Forse manca la organizzazione del lavoro che presuppone accordi fra assessori e consiglieri. Forse. Di certo mancano i grandi ideali che sono quelle idee, che abbinate alla fantasia non si vergognano di essere esagerate o di essere accusate di utopia. Ecco allora il punto, l’utopia nella nostra città manca. Una sorta di esagerazione nella costruzione dei progetti, che se rischia di smuovere celermente il passo in una direzione a volte incerta e pericolosa, bisogna ammetterlo, è comunque pur preferibile all’immobilità stagnante che fa morire di noia. Dunque per non essere tacciato di velleitarismo, provo a tradurre le mie visioni, per alcuni oniriche, in progetti che saranno anche utopici e irrealizzabili secondo una mentalità convenzionale e burocratica, ma appunto per questo in grado di stimolare e fantasia e quel pizzico di follia che manca fra le caratteristiche della nostra mentalità piacentina. Ecco allora le proposte. Piazza Cittadella. Così non va. Bisogna renderla spazio fruibile per i cittadini e nello stesso tempo il biglietto da visita per i lombardi, che attraversato il Po si ritrovano in una piazza in cui trionfa l’anonimato per non dire la banalità che è sempre volgare. La immagino allora, parlo della piazza, ricoperta da un tappeto erboso con piante di alto fusto e banchine per il riposo e la conversazione. Vedo anche una fontana nel mezzo, ampia e rotonda con getti d’acqua alti e ricascanti fra mille spruzzi, gioia dei bimbi, e rinfrescanti nel periodo estivo. Gli spazi della piazza, oggi angusti e irregolari, dovrebbero allargarsi verso la chiesa di San Sisto, rimuovendo l’attuale impedimento della caserma Nicolai che potrebbe essere trasferita verso il fiume Po. Luogo adattissimo per un corpo di genieri, che in fatto di ponti mobili insegnano al mondo. Il risultato sarebbe la scoperta con conseguente fruizione del chiostro dell’antico convento di san Sisto, che di nuovo incorporato alla chiesa potrebbe rappresentare nel prossimo futuro la terza occasione per la città, (dopo il Duomo e Santa Maria di Campagna) di una nuova campagna pubblicitaria, alla scoperta di un monumento unico per bellezza e storicità, luogo prescelto da regine e papi e già sede della Madonna Sistina di Raffaello poi venduta ed emigrata a Dresda. Ebbene per l’occasione occorrerebbe realizzare un accordo con la Gemaldegalerie della città tedesca, fatto in questi termini. A noi Il prestito del famoso dipinto per un periodo di qualche mese, in cambio una nostra disponibilità a dare alla città una veste teutonica dove iniziative e prodotti tedeschi specie enogastronomici possano tranquillamente invadere strade, negozi e bancarelle e garantire un giusto ritorno commerciale ai prestatori del dipinto. Insomma arte e soldi in comunione artistico-commerciale, se non è una novità in quanto così da sempre è stato, per Piacenza sarebbe un impulso fondamentale a livello culturale e turistico. Da Piazza Cittadella l’immagine si trasferisce quindi nell’anonima via che foderata di un tappeto rosso porta il visitatore al centro cittadino, uno dei più belli d’Italia. Prima però ci si imbatte, all’angolo con Via San Marco, in un edificio oggi fatiscente. Trattasi del vecchio albergo che prendeva il nome dalla via omonima dedicata all’apostolo e che fu luogo di soggiorno di Giuseppe Verdi, nei suoi frequenti arrivi in ferrovia a Piacenza, tramite Fiorenzuola. Oggi fa tristezza vedere l’immagine di un monumento così importante, ridotto per incuria a fantasma di se stesso e la cui proprietà dovrebbe appartenere all’Asl. Con lo sguardo proiettato nel prossimo futuro, immagino la sistemazione dell’edificio per l’ insediamento di un centro permanente di studi verdiani, affidati alla competenza dei più eminenti esperti musicali del paese . Conferenze, dibattiti, pubblicazioni, premi letterari oltre all’allestimento di un museo verdiano, costituito da cimeli piacentini, costituirebbero finalmente un naturale contraltare alle iniziative parmensi che ci hanno scippato l’insigne musicista, nonostante fosse di madre piacentina. E per quanto nato a Roncole di Busseto, non fu mai soddisfatto di stare da quelle parti. Anzi tanto desideroso di emigrare e passare l’Ongina, da sistemarsi stabilmente in terra piacentina scegliendo per dimora la villa di Sant’Agata. Giustizia personale oltre che storica, imporrebbero tale l’iniziativa. Ma proseguiamo con i nostri passi. Nulla da dire e da modificare nella nostra Piazza dei Cavalli. Ma a proposito dei Farnesi che vengono eternati dalla splendide sculture del Mochi, qualcosa va detto che riguarda la strada a loro intestata, diventata per noi il famoso stradone. Ebbene due le proposte. Quella più costosa realizzata con l’abbellimento di statue poste ai lati che ricordino i fasti storici del nostro passato. La seconda più fattibile, quella di fiancheggiare la via con alberi di alto fusto per dare bellezza e solennità all’unica strada che taglia la città in linea retta. In entrami i casi si potrebbe attuare la proposta di ripristinare una antica usanza almeno una volta l’anno. Fare passeggio sull’intera arteria di carrozze d’epoca, di cui abbiamo una bella collezione nel palazzo omologo, con tiro a due o quattro cavalli. Postiglioni e palafrenieri in vestiti d’epoca, e cavalli bardati e piumati fra folla festante in un tripudio di antichi fascini storici, vedrebbero i bambini con occhi sgranati, accolti nei vani di velluto delle vetture onde provare, meravigliati, le emozioni dei secoli passati. Molte altre cose potrei proporre, ma correre troppo si rischia di fare anche passi falsi. In altri termini fare il passo più lungo della gamba. E chi mi chiede come sarebbe il traffico delle macchine, rispondo ad autisti e motori un bel : vade retro. Questi non si conciliano col passo dei pedoni. Perché solo a loro è concesso di camminare come vogliono: in avanti, di lato e persino all’indietro. Per mettere questi pedoni in condizione di scegliere, la nostra amministrazione dovrebbe fare qualcosa in più di quanto sta facendo. L’attuale sosta stagnante infatti non serve a sviluppare gli organi di moto. E neppure quelli di mente. Infatti piuttosto che stare fermi meglio esagerare. Passo dopo passo si va avanti, sogno e utopia servono a questo. E con questo, passo e chiudo. 

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