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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Il pessimismo di un ottimista

Il titolo sembra un ossimoro e forse lo è. Infatti le vie dell'ottimismo e del pessimismo seguono percorsi diversi, ma uguali. La visione rosea della vita è connaturata alla natura della persona. Insomma si nasce così e ci si rafforza in questa convinzione, chiamiamola innata

Il titolo sembra un ossimoro e forse lo è. Infatti le vie dell’ottimismo e del pessimismo seguono percorsi diversi, ma uguali. La visione rosea della vita è connaturata alla natura della persona. Insomma si nasce così e ci si rafforza in questa convinzione, chiamiamola innata, causa anche l’educazione che si riceve e le varie esperienze che capitano. In sostanza l’ottimismo verso la vita contrassegnata da immagini oltre che rosee anche multicolori ,hanno il loro primo incipit nella costituzione  istintuale o anche emozionale dell’individuo, che fin che può si rifiuta di dipingere le cose in toni monocromatici. Generalmente di intonazione scura fino a privilegiare, nei casi estremi, il nero come espressione coloristica del funereo. Se questo è l’ottimismo, il pessimismo ha il suo contrassegno opposto, super giù in base agli stessi motivi. Che ci rimandano anch’essi  alla natura individuale, all’educazione ricevuta e alle esperienze di vita non proprio improntate a privilegiare le immagini felici. Insomma, nonostante questa premessa, non si capisce perché una persona debba scegliere, fra le tante visioni dell’esistenza, una al posto dell’ altra. Detto questo, la vita riserva un’altra possibilità. E’ il caso  dell’ottimista che pur rimanendo tale, causa la stigmate di partenza, vada incontro strada facendo, ad una  specie di dissociazione del suo essere, che per non addentrarmi in un discorso psicologico per addetti ai lavori, in pratica vuole significare essere entrambe le cose. Ottimista del cuore e pessimista della ragione.

Questa premessa è fatta  per segnalare quanto sta capitando a me di questi tempi, in base a quello che si verifica nella realtà che ci sta attorno in tutte le sue manifestazioni di natura civile, politica,  culturale ed etica. Cominciamo  allora con la parte civile che poi sconfina in quella politica. Il rispetto delle regole è alquanto aleatorio.  Ognuno vive il proprio particolare. La dimensione pubblica è lasciata alle parole e non ai comportamenti. L’ordine pubblico e la sicurezza sono ormai un ricordo, come quando  da ragazzi si usciva di casa senza  necessariamente chiudere l’uscio. Le case si blindano come l’animo delle persone che nell’atteggiamento del si salvi chi può, pensano in tal modo di trovare l’antidoto al disagio di non essere sufficientemente garantiti   dalle pubbliche istituzioni. In questa situazione le più colpite sono le due categorie  che sono agli estremi dell’avventura umana: i giovani e gli anziani. Inizio coi primi che in sostanza non sanno cosa fare. Lo studio, è vero, è quello che è, ma una volta raggiunto il diploma o la laurea, i giovani rimangono, come si usa dire in un inglesismo oggi di moda, in stand by. Insomma di lavoro, nisba.

L’unica possibilità è quella di andare all’estero, dove sembra che il valore della meritocrazia, tanto sbandierato da noi a parole e mai nei fatti,  non sembra ancora giunto nella fase agonica, come appunto è capitato nel nostro paese. Senonché se all’estero il merito vince, il lavoro lo segue. Risultato per l’Italia: i peggiori restano, i migliori se ne vanno. Passiamo  ora alla seconda categoria, gli anziani. Questi sono doppiamente sfortunati. Da una parte devono provvedere al mantenimento di figli e nipoti in perenne cerca di lavoro, dall’altra resistere alla pressione sempre più invadente dello Stato che impone, attraverso le tasse, il suo diritto a considerare i cittadini sudditi, soprattutto, i più deboli. E vengo allora al fatto politico, lo Stato appunto. Gigante dai piedi di argilla, si è ingrandito a dismisura a beneficio di se stesso. In sostanza basandosi su una organizzazione elefantiaca che trova nella burocrazia e negli enti inutili la propria ragione di essere. Il ché significa, dispensare a destra e a manca favori di stato sotto forma di stipendi a chiunque sia riuscito ad entrare nelle sue infinite diramazioni  di beneficienza remunerata, dove il demerito è visto come merito e la vocazione al campare  un surrogato dell’efficienza. Lo so, che ci sono delle eccezioni  a questa regola e quindi non si lamentino coloro che  leggendo queste note, si sentono offesi.

Ma ammesso che abbiano ragione, la gente la pensa in modo sintonico con quanto da me espresso. Quindi se ne facciano una ragione. Ma ritorniamo agli anziani. Uno stato cosi pletorico non può sopravvivere anche perché da noi il detto Franza o Spagna purché se magna,  ha trovato la sua massima applicazione con l’aggiunta di una seconda espressione, vivi e lascia vivere. Dunque distribuire pane più o meno gratuitamente  ad una moltitudine di persone, se non sopravvengono miracoli( la religione  in questo caso non  c’entra), invece di togliere appetito, lo crea. Cosicché del companatico, non ci si accontenta mai ,sia in fatto di quantità che di qualità. L’appetito quando è regolato dallo Stato, non ha limiti . Come fare allora ? Diminuire spese e privilegi? Attuare quella politica, chiamata, con la solita terminologia di moda, spending review? Non sia mai. Da noi il  dimagramento toglie prestigio, mentre l’uomo de panza e per questo anche di sostanza, suscita  da sempre rispetto. Al massimo si giunge a contenere qualche privilegio, ma questo è  un vezzo per pochi virtuosi, salutisti inclusi. Non rimane altro che aumentare le tasse, anche se queste hanno ormai raggiunto e superato il livello di guardia in riferimento al pericolo di una carestia di massa. Fra i più recettivi al morbo della vessazione, sono sempre loro, i pensionati.

Che hanno già dato e appunto per questo non possono fare altro che continuare a dare. E questo il loro destino cui non devono ribellarsi. Lo dice infatti lo Stato che tollera questa categoria di ex lavoratori, ma non li ama. Dal problema economico passiamo ora a quello etico. In pratica, un non problema, che può essere dimenticato di fronte all’unico vero valore oggi esistente, quello economico. Inutile credere il contrario, altrimenti si rischia di essere  considerati dei sorpassati o dei sopravvissuti di un passato che è appunto passato. Per i dubbiosi rimasti, la migliore dimostrazione la offrono senza riguardo i gestori della cosa pubblica, i politici di ogni estrazione e colore. Non c’è giorno infatti che qualcuno di questi non faccia parlare di sé le cronache per fatti riguardanti l’aspetto economico, cui concentrano l’unico interesse del vivere. I capi d’imputazione vanno dalla appropriazione indebita, alla concussione, corruzione  e chi più ne ha, più ne metta. Cose scandalose queste? Per ora sì, perché non è ancora arrivato il momento di considerare tali comportamenti normali. Ma l’abitudine è un  brutto vizio che sta dilagando, per la quale il bene  e il male non sono divisi da un taglio netto (reminiscenza manzoniana), ma si interfacciano fra loro. Insomma per ognuno e per ogni azione c’è sempre un po’ di bene e un po’ di male che mette in crisi la coscienza dell’uomo. Tutto allora viene affidato al giudizio della aule dei  tribunali, sulla cui efficienza è lecito dubitare.

E qui si aprirebbe il problema della Magistratura che appunto per quanto riguarda, valutazioni e giudizi sul bene e sul  male non è sempre convincente. Lo dimostrano le recenti sentenze che riguardano le bande criminali che violentano case e persone e per le quali (sentenze) l’eccesso di legittima difesa rappresenta  la premessa di ogni giudizio: premiare l’aggressore  e condannare  chi si difende, anche  per il  solo  fatto di sparare un colpo di fucile in alto a scopo intimidatorio. Invertendo in tal modo il giudizio della pubblica opinione, non ancora avvezza a  cogliere e condividere tali sottigliezze  giuridiche. Vabbè passiamo oltre e affrontiamo da ultimo il tema culturale. Qui proprio assistiamo al capovolgimento di quanto finora detto, perché la separazione fra bene e male, è  un dato certo. Da anni infatti esiste, nella vulgata corrente, un coinvolgimento delle menti che da una parte accredita e dall’altra toglie. Fra beneficiati e puniti vi sono i comportamenti e le idee  a seconda da quale parte provengano, perché uno statalismo di comportamenti si è fatto strada nelle coscienze. Per cui chiunque si esprima in favore della gestione comunista (intesa come cosa comune) del pubblico interesse, è nel giusto a prescindere. Fra Stato e individuo è diventato un  ricordo persino la tradizionale contrapposizione perché l’individuo  è stato espulso dal confronto come elemento poco desiderabile. Le idee liberali basate sulla libertà dell’ individuo e sul libero mercato, suscitano ovunque sospetto e una reazione  a metà strada fra il senso compassionevole  e la pericolosità sociale a seconda dei casi.

Ormai il vaso di Pandora riempito dai nuovi valori della unanimità a tutti i costi, hanno scacciato la speranza, legata all’idea che tutto possa, un domani, cambiare. Ma ciò non può succedere perché l’uomo libero non è più  un modello di intendere le cose. Un esempio, fra i tanti, è lo scrittore Pansa, uomo di sinistra ma anche rompiscatole (è il titolo questo del suo ultimo  libro), il quale non può permettersi di giocare col fuoco. Denigrare episodi storici che sono entrati nelle coscienze come valori assoluti con tutto il loro gravame di significato morale. Ed i fatti accaduti, reinterpretati secondo un vero che non corrisponde a quello che la tradizione ha ormai consegnato alla storia, sono solo misfatti. Chi non ci sta è fuori dal coro e così facendo si consegna alla sua arretratezza. La malattia  se è dunque il liberalismo, meglio neutralizzarla con i metodi (subdoli) del dar ragione a parole. Ovvero dichiararsi liberali, il ché  dà sempre un certo tono di intellettualismo, ma  poi smentirsi nei fatti. Vale a dire, abbracciare uno statalismo, culturale e politico  nonostante faccia acqua da tutte le parti. E dove nonostante le tasse ormai prossime al dissanguamento delle persone, il debito pubblico continua ad aumentare. Non c’è allora più spazio e tempo per la fiducia.  Cassandra?  No, perché nonostante tutto rimango, come detto, un ottimista. Ma non chiedetemi il perché, non lo so neanch’io.

Il pessimismo di un ottimista

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