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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Il segno della croce di Putin

L’abbiamo vista tutti in tv. L’immagine di Putin che in occasione della Pasqua ortodossa si fa il segno della croce, in modo diverso da quella cattolica. Toccando prima la spalla destra e poi quella sinistra. La sensazione è quella di una esibizione in fatto di fede da parte di chi ambisce ad un ruolo di riscatto della Russia, attraverso il ripristino dell’antico impero sovietico. Dunque non solo un uomo di guerra locale e limitata. E l’aggressione alla Ucraina, ne è l’esempio. Infatti non riuscendo a sottometterla, in pochi giorni come era nei suoi piani, causa la reazione patriottica del popolo aggredito, non si trattiene da ogni forma di violenza militare, pur di raggiungere i suoi scopi. Devastazioni di immensi territori con distruzione di intere città e ponti si accompagnano ai più efferati crimini contro la popolazione. Al punto di non distinguere fra queste vittime i militari che combattono, dai civili rappresentati soprattutto da donne e bambini. Dunque trattasi di una guerra con tutti i suoi orrori, che nella mente di Putin non si fermerà all’Ucraina. Ma dovrà estendersi alle nazioni vicine per ristabilire l’impero. Dunque allora come intendere quell’immagine grondante fede, apparsa pubblicamente attraverso i social?  L’impressione è che trattasi non di vera fede, ma di una ostentazione della stessa. Putin infatti come colonnello ed ex responsabile del KGB, la polizia segreta sovietica, mai aveva manifestato una propensione alla fede religiosa. E’ pur vero che l’animo umano può cambiare sentimenti ed intenzioni nel corso della vita, ma il cambiamento se e quando si verifica, abbisogna di un periodo di preparazione attraverso l’esempio delle parole e soprattutto dei comportamenti. Quando tale cambiamento si verifica in occasione di un atto di sopruso nei confronti di un popolo, il cui unico crimine è quello di considerarsi libero, autonomo e democratico, le cose non quadrano. Subentra allora una seconda spiegazione, giustificata da almeno due condizioni. Da un lato il desiderio di presentare l’aggressione come un tentativo di respingere un male.  Di cui quella considerata come prima condizione, la necessità di sconfiggere il pericolo filo nazista da parte del battaglione Azov di stanza nel Donbass. La seconda istanza invece è rappresentata dal desiderio di ottenere una giustificazione quasi sacrale alle azioni militari. Sia uno che l’altro motivo, sembra non abbiano vere giustificazioni. Tralasciando il primo che non compete con la nostra premessa in fatto di religiosità, la seconda spiegazione ce la offre su di un piano di tutta evidenza, il Patriarca della chiesa ortodossa, Kirill. Il quale sentito in merito alle sue convinzioni politico-religiose, ha rivelato tutta la sua ambizione di ambire ad una chiesa russa di tipo imperiale.  Intendendo la gran madre Russia e la fede una cosa sola. Una visione questa tesa ad uniformare tutto il popolo slavo ad un unico intento. Quello di creare una grande Russia che da sempre, pur nelle non sempre realizzate vicissitudini storiche, non ha mai perso la vocazione all’impero. E nello stesso tempo vederlo unito da un’unica fede, come se i destini terreni dovessero essere voluti, prima ancora di compiersi, dai desideri celesti. Da queste premesse sembra allora giustificato il segno della croce di Putin, più ostentato che veritiero. Una manifestazione di fede la sua di tipo misterico o forse anche mistico, nella sua accezione più arbitraria e generica possibile. Quasi fosse un elemento magico che si forma nella mente di chi per giustificare ogni sopruso abbisogni di una investitura sacrale. Quindi non un cristiano autentico, ma al massimo un finto cristiano. O meglio un cristiano d’apparenza che della pace cristiana interpreta il suo opposto. Mosso comunque da una presunta giustificazione divina, che altera i principi e la realtà. Dove la pace diventa un disvalore e la guerra la condizione legittimata per edificare un impero geopolitico e religioso. Ce lo dice a chiare lettere il Patriarca Kirill a sostegno della guerra in Ucraina come premessa indispensabile per costruire, come già detto, l’impero della santa Russia legato al potere militare civile e religioso in tutta la vasta galassia dei popoli slavi. Secondo questi principi diventa infatti impensabile pensare che un popolo slavo come l’Ucraina, possa diventare filo europeo e tradire la sua stessa natura storica e genetica. Ma così facendo, non tutto quadra come è successo. Perchè in fatto di guerra e di fede nulla sembra reggere di fronte alla reazione del popolo ucraino. Infatti oltre alla reazione militare, anche la posizione della Chiesa ortodossa ucraina reagisce all’idea di essere conquistata. Per questa ragione, come la vocazione all’impero uniforma la Russia alla sua religione, anche dalla parte dell’aggredito, la politica militare e la religione si fondono in una dimensione opposta. Col risultato che anche la fede ortodossa si è ormai divisa in due. Fra queste due concezioni religiose ortodosse, si inserisce quella cattolica che propone la pace tout court, ma sembra non interessarsi sia della questione della responsabilità in fatto di conflitto militare che di una separazione di fatto della Chiesa ortodossa. Insomma c’è da chiedersi se e come la pace debba nascere da se stessa indipendentemente dai fatti, oppure se questi stessi fatti debbano essere sottoposti a critica, anche  a cominciare  dall’uso delle parole. Chiamando la guerra, guerra e invasione, invasione al posto della generica ed ipocrita, operazione speciale. E di conseguenza prendere posizione anche in fatto di religione fra le due, ormai conclamate divisioni, sostenendo l’una e stigmatizzando l’altra. Discutere sui principi e persino sulla fede, oggi sembra guastare i rapporti e soprattutto ledere quel diritto alla pace che tutti quanti vogliono, ma frapponendo tanti distinguo, attraverso i quali si crea, anche non volendo, le condizioni per continuare o generare la guerra.  Così facendo le parole diventano fumo e si dissolvono nell’aria. Mentre altri fumi legati all’esplosine degli ordigni, appesantiscono sia l’aria che le coscienze titubanti, per non voler assumere una precisa posizione.  Nel caso specifico, quello di una condanna nei confronti dell’aggressore. Anche la fede ha conosciuto storicamente molte guerre e non sempre giuste. Ebbene che il rifiuto di ogni guerra diventi la giustificazione di una prepotenza, non salva la stessa fede, se questa si mantiene in un campo neutro. La pace infatti come vocazione dell’uomo, è soprattutto un dovere che abbisogna di principi, nella scelta fra bene e male. Perché la pace non è solo un’assenza di guerra, ma una virtù, uno stato d’animo che si genera in base al senso del dovere sua volta mosso dalla giustizia. Altrimenti si parla si parla, ma si pronunciano solo parole al vento.              

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