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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Il viaggio

Premessa per i lettori. Non vi parlerò, uscendo una volta tanto dai miei abituali argomenti, di un viaggio per illustravi particolari storici e paesaggistici. Di questi vi riferirò qual tanto che basta per capire lo spirito del viaggio. Che non riguarda una semplice esperienza di evasione ludica, ma qualcosa di diverso.  Dunque di cosa si tratta? Semplicemente di  una occasione di crescita dal punto di vista emozionale. E poiché l’emozione rimanda al senso della bellezza e questa ad uno stato mentale per certi versi incomprensibile, ecco che affiora il mistero. Inteso come qualcosa di intrinseco all’uomo  che non sempre si manifesta in quanto difficile da comprendere. Se non si è in grado di liberarci della componente razionale e lasciarci poi guidare da una  condizione diversa. Dove l’emozione rappresenta, come dicevo, la parte fondamentale per scoprire quello che abbiamo dentro. So bene che ogni manifestazione emozionale non è mai disgiunta dall’aspetto della ragione. Ma in questa interazione delle due componenti, voglio dare la precedenza alla prima. Dunque, ripetendomi, mi riferisco alla bellezza e al  conseguente mistero che la accompagna. Se poi questi due stati d’animo, suscitano la fede o la risvegliano, non meravigliamoci più di tanto. Infatti, poichè ognuno intende quello che vuole intendere, l’importante è che sia in pace con se stesso. Entro allora nel merito e scopro le carte tutte legate all’ aspetto emozionale. La prima è rappresentata dalla Sacra di San Michele. Una abbazia benedettina costruita attorno al mille, su un basamento di roccia al vertice del monte Pirchiriano, a circa 960 metri di altitudine Torino.  Vi bastino questi riferimenti. Viceversa non vi bastino le emozioni che l’abbazia suscita, causa la sua mole costruttiva che non trova uguali al mondo. Trattasi di  un monastero costruito dai  monaci benedettini attorno all’anno mille. Imponente e massiccio, è costruito in blocchi di pietra e si erge solitario fra le varie alture del luogo. L’impressione è piena di interrogativi e di non risposte. Una di queste riguarda come quei monaci abbiano fatto ad issare pietra su pietra, una costruzione che nelle intenzioni quasi esasperate, causa la volontà di misurarsi col cielo, non ha tenuto conto dei limiti che l’uomo si pone, quando non è sorretto  da una fede che appunto non conosce ostacoli . Meraviglia e fede insieme, concorrono  allora ad alimentare quel mistero delle cose incomprensibili. Ad esse aggiungiamo il senso della bellezza costruttiva che spinge ognuno all’incapacità di comprendere. La fede dunque. Non quella dei nostri giorni, modesta e secolarizzata, che si dibatte fra virus ed  antivirus. Fra miserie umane con il loro carico di insoddisfazioni, che si svolgono tutte  a livello del suolo. Senza la tensione, sia pure esasperata, di alzare non solo lo sguardo, ma  la costruzione di un monumento di fede, che si spinge verso il cielo. Con l’intenzione di diminuire la distanza che separa l’uomo dal mistero che lo trascende. E che si cerca di interpretare  con atti che arrivano a toccare la meraviglia del quasi non essere. Del non comprendere con mezzi razionali. Se invece di essere mossi dall’emozione che non si cura di capire, ci si soddisfa fino a perdersi nei condizionamenti del vivere. Ecco allora il senso che trasmette la sacra di San Michele. L’arcangelo che con la spada lotta e vince il demonio e lo fa precipitare negli inferi. Il suo regno fatto di cattiveria e di mancanza di misericordia.  Dove chi vi precipita viene punito col fuoco eterno o secondo altre interpretazioni col gelo  pure eterno, espressione  questo della perdita di ogni calore umano. Altra forma di fede, dicevo, quella di quei monaci benedettini rispetto all’attuale. Alla prima si unisce la meraviglia ed il mistero della quasi irrealtà, alla seconda le tiepidezza di un vivere senza grandi tensioni. Presi come siamo dalla vocazione a condurre l’esistenza, secondo la  sola dimensione terrena.  Ma andiamo oltre, perchè  fin qui il viaggio è alla sua prima fase. La seconda si sviluppa nel pomeriggio, dopo la pausa pranzo, che al mistero emozionale sostituisce la meno misteriosa salute del corpo. Indispensabile  a compiersi, ma solo  per la componente nutritiva e digestiva.  Pausa breve  quindi, poi subito l’altra scoperta. Questa in chiave apparentemente non religiosa. Mi riferisco alla Reggia di Venaria Reale. Una residenza sabauda, situata in una landa collinare torinese che, come dice il nome, era una residenza estiva del regno non ancora di Sardegna, per le battute di caccia. Anch’essa imponente. Attira l’attenzione ammirativa, causa le dimensioni che a differenza dell’abbazia si sviluppano più sul piano che non in modo verticale verso il cielo.   Tuttavia, manifesta ugualmente un senso di eloquente grandezza ed eleganza che evoca una sorta di magia  creativa che appare oggi, nella miseria in cui ci dibattiamo, quasi un corpo estraneo . La bellezza dunque. Lo dimostrano, durante la visita guidata,  le varie stanze affrescate e arredate da dipinti di straordinaria qualità. Basta citare Il Guercino, Rubens, Reni e persino un arazzo su disegno di Raffaello. Anche in questo caso emozione allo stato puro. Stabilire allora una analogia fra questa opera, tutta centrata sul piacere estetico e la Sacra di San Michele  il cui contrassegno come detto è tutto sul piano spirituale, sembrerebbe un azzardo. Forse  anche un assurdo. Ma non è così. Infatti esiste un minimo comune denominatore: la bellezza. E questa ancora una volta rimanda all’incomprensibile. Al mistero delle cose umane che non si comprendono, se non si scorge nell’animo del suo creatore, quella insoddisfazione verso le cose del mondo che nella loro modestia non possono soddisfare il desiderio di chi si affida all’arte per creare un nuovo limite. Animato da quella scintilla di saper cogliere l’eccezionale, causa la sua insoddisfazione verso il vivere comune. Questa scintilla accende allora un fuoco , dove fra insoddisfazione e desiderio di trascendere questa dimensione, si sviluppa la creatività che si trasforma nel sublime sul piano estetico. Estetica ed etica a confronto. Scegliere non ci è dato, perché entrambe hanno in sè la componente emozionale che sfugge alle regole. Come pure non ci è concesso stabilire una graduatoria fra le due emozioni. Per entrambe infatti il cielo è più vicino. Lo dimostra nel caso della Reggia il giardino alla  francese che si estende per due chilometri nel retro della costruzione. Dove  fra lunghissimi viali alberati, fontane e giochi d’acqua, roseti a terra e pensili, si ergono cinque manufatti quadrati appena emergenti dal terreno, su cui sta scritto: se sali su uno di questi di una spanna ti avvicini al cielo.  Ecco allora dimostrato il nesso esistente  , come dicevo, fra  estetica ed etica. Due dimensioni dell’uomo che trovano conferma per chi crede nella fede. E per chi non crede nell’incomprensibile che non trova altre spiegazioni. Ma ora mi accorgo di non avervi detto nulla della modalità del viaggio. Per la verità l’ho fatto appositamente per non dare l’impressione di fare una pubblicità che non mi compete. Completo allora la lacuna con poche parole. Viaggio in pullman con compagni di viaggio discreti, educati e molto motivati nelle intenzioni di comprendere le motivazioni che si concentrano nelle manifestazioni di fede. Quali la messa  officiata alla Sacra di San Michele e la recita del rosario durante il tragitto di ritorno. Tutti loro si considerano infatti dei pellegrini  e cosi dice la scritta esposta sul pullman: pellegrinaggio della diocesi di Piacenza Bobbio. Comunque due nomi vanno citati. L’organizzatrice e guida del gruppo, Valeria Perini. Una giovane e piacevole donna dalla voce franca e aggraziata che informa, spiega, precisa. Ma con discrezione e senso della misura. Condivisione e familiarità per l’innata abitudine a stemperare i toni, mai troppi seriosi,   la sua cifra. L’altro nome riguarda un sacerdote, Don Josue Brito da Silva. Ancora giovane racconta la sua storia che dal Brasile l’hanno portato in Italia.  Voce quasi baritonale esprime pensieri e vicissitudini personali con semplicità e senso di familiarità. Tanto che spesso conclude  le sue esternazioni con sorrisi o meglio con chiare risate che sono un misto di soddisfazione e condivisione. Alle ore 20 tutto si conclude e Piacenza si presenta sotto le prime ombre della sera. Queste caleranno fra poco ma la luce del ricordo dell’esperienza condivisa, è possibile che rimanga nell’animo di molti. Forse. Infatti la lotta fra luce e ombre, che avviene anche nell’animo dell’uomo, è sempre un mistero difficile da comprendere.  Conclusione finale. Incrementare la luce con l’emozione, come questa del viaggio, può  servire ad uscire dai tanti condizionamenti del vivere. E allora chi può lo faccia, fede o non fede.     

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