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Sabato, 20 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

L’emancipazione della donna e la regressione dell’uomo

Traggo lo spunto per quel che voglio dire, dall’ultimo libro dell’ex direttrice del Senato Emilia Sarogni, presentato nei giorni scorsi a Palazzo Galli, riguardo alla lunga lotta per l’emancipazione della donna. Il libro dal titolo: il lungo cammino della donna italiana dal 1861 ai giorni nostri, descritto nei diversi punti dall’autrice con voce fluente, chiara e precisa e commentato attraverso la lettura di alcuni brani dall’amico Salvino Dattilo, in qualità di autentico maestro della recitazione, il libro- dicevo-  in sostanza, cosa ha voluto dire? Che in Italia l’emancipazione della donna è stato un lungo processo di eventi, in cui il cosiddetto zeitgeist, vale a dire il condizionamento e lo spirito del tempo, ha portato al faticoso e controverso risultato, per quanto riguarda il suffragio universale nel nostro paese, in tempi molto recenti.  Vale a dire nel 1945, allorché finalmente il lento e tribolato cammino dell’emancipazione è diventato stabile e definitivo. Mi limito a questa premessa molto sintetica, non per commentare il libro, perché non è questo l’intento dell’articolo, ma per fare alcune considerazioni sulla donna attuale. La quale, va detto, non solo ha ottenuto la parità di genere, ma pur con qualche differenza ancora esistente nel trattamento economico nei confronti dell’uomo, ha dimostrato come i tempi siano radicalmente cambiati nell’arco di pochi anni. Mi spiego.  E per farlo mi riferisco al mondo dell’istruzione e del lavoro. Parliamo allora della Scuola, dove il cambiamento è più evidente, con riferimento agli insegnanti. Un tempo, ma senza andare troppi anni addietro, questi insegnanti erano prevalentemente maschi. Ora non più, ed è l’insegnante donna a occupare quasi per intero la lista dei docenti a cominciare dalla scuola elementare fino alle superiori. Il risultato di tale processo, riguarda soprattutto lo studente maschio, che si misura fin dall’inizio con la componente educativa femminile, dove casa e scuola si integrano vicendevolmente. C’entra qualcosa questo? Sì che c’entra, soprattutto sotto il profilo psicologico.  Poiché il maschio tende all’azione, contrariamente alla sua omologa femminile, che impronta invece il suo percorso educazionale alla narrazione. In questo contesto la femmina si trova meglio ed i risultati lo dimostrano. Infatti studia con più dedizione e riporta voti e profitto statisticamente in modo superiore a quelli del maschio. Il quale   sembra invece perdere i suoi punti di riferimento. Intendo riferirmi ai modelli cui da sempre era abituato ad ispirarsi e che nell’archetipo maschile era e forse ancora è, costituito dall’uomo eroe.  Che per usare un luogo comune si può definire un cavaliere senza macchia e senza paura, ma ormai detronizzato dalla figura simbolo dell’insegnante femmina. La differenza fra i due sessi, sotto la prova della resa scolastica, è evidente. Infatti se la femmina studia, il maschio arranca, giungendo fino ad interrompere gli studi per trovare un proprio equilibrio nel lavoro, spesso di tipo manuale.  Affrontiamo allora il secondo aspetto, il lavoro, nell’osservare come la società si è strutturata nell’ambito delle varie occupazioni. Anche in questo ambito, il cambiamento di questi ultimi anni, è evidente.  Infatti le donne partite da una condizione subalterna in relazione a occupazioni di grande responsabilità, oggi hanno superato il cosiddetto gap. Lo testimonia un ambito che conosco bene rappresentato dalla medicina. Dove in un tempo, neanche troppo lontano,  alcune specialità tipo  ad es.  la chirurgia, erano patrimonio quasi esclusivo dell’uomo maschio. Ora non più.  Cosicchè fra uomini e donne, statisticamente parlando, non ci sono più  le antiche differenze in fatto di numero, anzi  queste ultime superano con le nuove generazioni, da questo punto di vista  i maschi. A rimarcare ancora una differenza, come ultimo baluardo, rimane il settore politico, da sempre terra di conquista dell’elemento maschile, detentore per ancestrali abitudini,  del potere. Ma le cose anche qui stanno cambiando. E come le donne sono entrate nei corpi militari, anche la politica sembra avere le ore contate, riguardo alla discriminazione fra i sessi, tanto che la   supremazia maschile sembra ormai alle corde. Sulla base di quanto detto, emerge allora che il futuro debba essere donna. Il che non rappresenterebbe nulla di nuovo, anche sotto il profilo semantico-lessicale se pensiamo all’origine del nome donna  da cui  deriva appunto domina: la dominatrice. Ma poiché non è ancora tutto, affrontiamo anche la condizione del rapporto uomo donna nella convivenza o nel matrimonio. Un ambito questo, dove bisogna riconoscere alla donna un ruolo di maggiore impegno, fatica e responsabilità , per il semplice fatto che le sue funzioni sono multiple. In lei infatti, i problemi di casa e lavoro, si sommano all’educazione di figli, creando di fatto  una sperequazione fra i ruoli, in cui l’elemento maschile  resta in  netta posizione subordinata.  Ma c’è ancora qualcosa di non ancora detto, che riguarda una condizione di privilegio riconosciuta alla donna anche dal punto di vista giuridico. Infatti in caso di rottura del rapporto col maschio, subentra una condizione di naturale assenso nei suoi confronti,  non solo da parte dell’opinione pubblica, ma  anche  in fatto di diritti sotto il profilo giuridico Sia per quanto riguarda l’affidamento dei  figli che per le questioni economiche da parte dell’ex partner. Insomma, ammettiamolo, all’emancipazione femminile, ormai raggiunta, bisogna aggiungere  una maggiore qualità dell’essere donna  rispetto all’ uomo. E la quint’essenza di tale differenza si ritrova nella maternità. A questo proposito ritorno, per meglio chiarire il problema, su quanto detto a proposito del libro della dottoressa Sarogni.  E mi riferisco ad una domanda rivoltale dall’amico Romagnoli, riguardante l’abitudine di definire il ruolo di madre e padre con la generica denominazione di genitori i e 2, a significare un declino del ruolo di madre. Una domanda questa che ha ottenuto da parte della scrittrice  un netto consenso, riguardante la diminuzione  del ruolo della donna anche in relazione all’utero in affitto. Pratica questa, secondo sempre l’autrice del libro, molto criticabile,  sia perché in questo modo,  la donna perde il suo ruolo di unicità  in riferimento alla maternità, sia in relazione  alla condizione della  famiglia tradizionale, dove al padre ed alla  made,  si sostituiscono i loro multipli, fino a formare il  numero cinque nelle possibili  combinazioni genitoriali. Tutto giusto per quanto concerne la famiglia e tutto auspicabile.  Ma  poiché oggi con la tecnologia, la realtà è diversa , ritorno al problema di partenza, dove si ha l’impressione che alla emancipazione della donna si sia aggiunta la  regressione dell’uomo. Mettiamoci allora nei panni del maschio che  di fronte alle nuove possibilità tecnologiche, non sa come agire o  reagire.   Ed il tema del suo conflitto  è costituito dalla possibilità che  consente alla donna di raggiungere la maternità senza la presenza dell’elemento maschile,  sostituito da una banca di seme.   Ed ora mettiamoci anche nella condizione della donna che, pur di raggiungere l’obiettivo di creare un nuovo individuo,  deve affidare ad un'altra donna portatrice di utero, la realizzazione di quell’evento in parte ancora misterioso   rappresentato da una nuova nascita. Il risultato finale sarà quello di  riconoscere due mamme, una biologica  e l’altra intenzionale, oppure detta anche madre   per procura. Tutto assurdo questo, lo sappiamo, anche se purtroppo per i tradizionalisti, categoria alla quale  mi inscrivo, non possiamo fermare gli eventi, se non attraverso il ricorso alla coscienza morale.  Ma, poiché non è tempo e luogo di affrontare il tema sotto il profilo etico-morale, limitiamoci ai fatti  e chiediamoci se nell’ottica maschile sia giustificata la condizione psicologica di essere il grande escluso dal progetto maternità.  Per essere passato da un ruolo antico di presunto dominatore, il cosiddetto pater familias, a quello attuale  di tipo esclusivamente ancillare. Trattasi insomma di un ruolo, il suo, talmente poco attivo, per non dire assente  ,che lo rende quasi simile ad un fuco alle dipendenza della donna, ape regina, in grado da sola  di soddisfare la sua vocazione di madre. O anche di madri, secondo la denominazione, 1 e 2.  Cosa succede allora al maschio ridotto a livello subalterno pur non avendo ancora perso l’antico l’archetipo di dominatore?  Quello di entrare in crisi esistenziale. Una crisi di identità per non dovere accettare il nuovo ruolo di semplice comparsa. Il risultato?  Sottomettersi o reagire. Nel primo caso, deve riconoscere il ruolo primigenio della donna dea, che ci rimanda alla Venere di Willendorf dal grande addome e dai voluminosi seni che  garantiscono entrambi il futuro del genere umano. Nel secondo caso la caduta, ormai fuori logica e tempo, verso l’archetipo dell’uomo cacciatore, aggressivo   e violento in grado di uccidere non più per procurarsi il cibo, ma  per riaffermare il  suo ruolo perduto, sbagliando così due volte. Detto questo, non aggiungo altro, se non la possibilità, per evitare le critiche femminili, che quando ci sono, toccano la ferocia, di appellarmi mitologicamente al  diritto d’oblio. 

L’emancipazione della donna e la regressione dell’uomo

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