rotate-mobile
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

La giustizia al potere, ovvero il potere della giustizia

Difficile dar ragione all’uno e all’altro di questi due concetti. Il perché è presto detto. Entrambi sono giustificati, come se fossero le facce di una stessa medaglia. Questa mia impressione potrebbe anche non corrispondere al vero. Infatti parlo di impressione, ma al di là della presunta verità sui meriti della Giustizia, formata da tanti magistrati e giudici integerrimi, la sensazione da parte della gente è quella da me ipotizzata, come un senso di distacco se  non  di  avversione. Dunque chiediamoci il motivo se La Giustizia offre questa immagine non proprio edificante, rispetto a quello che è (o dovrebbe essere) il cardine di ogni sentenza, vale a dire lo stato di diritto. Per non cadere nel vago o nel generico, ci danno una mano, per sostenere questa mia tesi, le statistiche che saranno quel che sono, quindi opinabili, ma neppure non  possono e non  devono essere punto considerate.  Parlando allora di fiducia, solo il 31% è oggi disposto a riconoscerla alla Giustizia.  Mentre, continuando con i dati, addirittura il 61% parla di scandalo in riferimento a questa stessa condizione di  scarsa fiducia. Se i numeri sono questi, bisogna ricercare le cause di queste valutazioni statistiche. In questi ultimi tempi, condizionate anche dalla vicenda poco chiara, anzi molto scandalistica, legata alla sospensione del magistrato Palamara  da parte del Csm.  Di queste valutazioni cui prima mi riferivo, alcune sono di natura politica, altre di natura poco definibile agli occhi di colui che non è addentro alle questioni del diritto.  Ma che, pur non essendo esperto di leggi e pandette, non può sottrarsi a quella condizione del diritto naturale che in altre parole si chiama buon senso. O meglio a quella sensazione di giustizia che ognuno ha dentro  di sé in base ad una serie di elementi, a loro volta legati all’educazione, alle tradizioni, al senso di umanità e a convinzioni di natura religiosa e ideologica. In altre parole, il riferimento è al senso comune di cui tutti noi siamo imbevuti per le ragioni già dette. Cominciamo allora ad affrontare il tema politico, quello più ostico, perché divide le stesse forze partitiche  in due schieramenti, molto asimmetrici fra loro, in relazione sempre allo stato di fiducia. A dimostrazione che le sentenze soddisfacendo più agli uni che agli altri, di fatto autorizzano a pensare che la cosiddetta imparzialità della Giustizia, non consente di escludere, la presenza   di   condizionamenti di natura ideologica. Lo dimostrano i dati, allorché la fiducia  cade al 35% per le forze di centro destra, mentre raggiunge il 61% per quelle di centro sinistra. Come si giustifica questa disparita? Prediamo i due casi più eclatanti, prima  Berlusconi ed ora Salvini. Sul primo gli infiniti processi che gli sono stati mossi dopo che è sceso in politica, lasciano perplessi. Intendiamoci nessuno pensa che sia un santo, ma l’accanimento non terapeutico ma giustizialista, ha dato l’impressione che si volesse eliminare un candidato scomodo per via giudiziaria, piuttosto che per la via politica.  Impressioni queste avvalorate dalle statistiche fra sostenitori della sua parte e detrattori dalla parte opposta. Lo stesso sta capitando a Salvini. La sua politica dei respingimenti nei confronti dei migranti attraverso i porti chiusi, non sembra compatibile, come sostengono alcuni magistrati, con l’autonomia della politica, giusta o sbagliata che sia, ma entra di forza nel terreno della Giustizia. Dove finisce la prima, quella di un ministro degli Interni e dove comincia la seconda che riguarda un giudice di Catania, ben pochi sono in grado di comprendere. Soprattutto perché pesi e misure variano a seconda degli imputati. E l’impressione, badate bene parlo di impressione, è che le cose cambino a seconda da dove viene  l’imputato. Se da destra o da sinistra. Insomma Salvini non vale Prodi, quando durante un blocco navale  nel 1997 per fermare gli sbarchi dei immigrati albanesi,  una bagnarola di quella nazione, fu affondata, con il risultato di 83 mori. E lo stesso Berlusconi politico (donnine a parte) non valse D’Alema, quando decise di bombardare con i Tornado la città di Belgrado, senza neppure l’autorizzazione del Parlamento. Fin qui la Giustizia politica o politicizzata. Passiamo allora alla Giustizia su fatti che accadono nel nostro paese e che con la politica non hanno niente a che fare. Ma che tuttavia destano perplessità sulla base del senso comune, al punto che, come dicevamo, la Giustizia  nella considerazione pubblica raggiunge solo un modestissimo 31%di apprezzamento. Dei tanti casi, ne cito solo due, molto significativi, che giustificano la perplessità della gente.  Cominciamo con il più recente caso, successo a Busto Arsizio. Dove un uomo Mohammad Urapi uccide la moglie Diana Koni con 24 coltellate. Dichiarato colpevole con una pena prevista in 30 anni (mi sembrano pochini), questa viene ridotta di dieci anni, passando da 30 a 20 anni. Come dire che per la Corte Costituzionale non viene riconosciuta l’aggravante dell’omicidio. Insomma le coltellate ci sono, ma solo 34, quindi non sufficienti per indurre uno stato di sofferenza nella vittima. Un caso isolato? Niente affatto. Lo dimostra il fatto accaduto a Melania Rea uccisa dal marito Salvatore Parolisi con diverse coltellate e atti di pura violenza in spregio e odio alla vittima, tipo una X sull’addome, una svastica sulla coscia sinistra ed una grata su quella di destra sempre della vittima, anche in questo caso venne esclusa dalla Cassazione l’aggravante della crudeltà. Finiamo la miniserie dei fatti, con il caso accaduto a Paceco, dove il tribunale di Trapani nei confronti del marito Antonino Madone che uccide la moglie Anna Manuguerra con (appena) 23 coltellate  e poi tranquillo va al bar, come se niente fosse. Ebbene la condanna inflitta è (addirittura) di 16 anni. Perché, così poco si chiede la gente? Per le attenuanti generiche che gli vengono riconosciute. Sia chiaro che con questi casi non vogliamo mettere sotto accusa la Magistratura nel suo insieme. E non c’è bisogno di ricordare, come negli anni di piombo, causa la mafia o le brigate rosse, diversi integerrimi magistrati vennero, colpiti da violenza e uccisi. Ciononostante un dubbio viene, quello che la Giustizia sia come un timone che conduce la barca in base a come  decide preventivamente di orientarla. Oppure, il che è anche peggio, che la Giustizia dia l’impressione di essere una casta di intoccabili legata al potere, il loro. Non è vero? Provate a contestare queste frasi: “ quando si parla di leggi e sentenze è del tutto impossibile dimostrare la malafede dei giudici o solo ipotizzarla, per il motivo che le leggi devono essere interpretate e quindi ogni giudice le interpreta  a modo proprio scontentando sempre qualcuno”. Cosa se ne deduce? Che il diritto è opinabile e che lo stesso stato di diritto diventa un fatto ipotetico, in quanto tutto può essere  messo in discussione da un’interpretazione che al limite del paradosso,  potrebbe giustificare l’azzeccagarbugli manzoniano. Ecco allora cosa auspico come apologo finale. Che la Giustizia  possa trasformarsi in Giustezza. Una Giustizia quindi dal volto umano che sia rispettosa sia del codice, ma anche di quei valori consegnate dalla storia all’uomo e stoccati nel sentimento di tutti.  Valori, basati su una valutazione dei fatti dove l’interpretazione  di un codice non scritto,  non faccia a pugni con quello scritto. Ma soprattutto non faccia a pugni fra gli abitanti del  Palazzo, la casta dei  magistrati e l’uomo della strada, quando i primi si allontanano troppo  dal senso comune. In una parola, come ripeto, dal buon senso. E’ troppo sperare, nella Giustezza? Certamente sì. perché mi rendo conto che trattasi di una utopia. Ma di utopia si può vivere o morire. Spetta allora alla Giustezza il dover scegliere da che parte sia giusto stare.  Non per se stessa ma per il bene comune. In altri termini per un vero stato di diritto.    

La giustizia al potere, ovvero il potere della giustizia

IlPiacenza è in caricamento