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Venerdì, 29 Marzo 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

La legge non è uguale per tutti

Lo sapevamo già e non c’era bisogno di conoscere gli ultimi scandali che hanno riguardato la Magistratura. La legge è uguale per tutti, è una scritta esposta in tutte le aule di giustizia e rappresenta più che una verità, quasi un avvertimento

Lo sapevamo già e non c’era bisogno di conoscere gli ultimi scandali che hanno riguardato la Magistratura. La legge è uguale per tutti, è una scritta esposta in tutte le aule di giustizia e rappresenta più che una verità, quasi un avvertimento. Intendiamoci che la frase in sé sia vera non ci sono dubbi, ma la verità ce lo ricorda già Pilato quale che sia, non sempre si conosce. E anche quando si conosce non sempre è possibile renderla fruibile ed uguale per tutti. Dunque la frase rappresenta una condivisibile aspirazione, oppure anche una illusione di cui l’uomo e la Giustizia in particolare, devono credere, al fine di trovare in essa le giustificazioni nella valutazione di un comportamento. Dunque trattasi più di una tensione verso la legge morale, che non di una realtà di fatto. Insomma inutile allungarla troppo, l’uomo è fatto così. Un misto di bene e male con la vocazione al primo ma con la tentazione al secondo. In questo strano miscuglio, è la morale che garantisce la giusta scelta per l’uomo. E visto che trattasi di scelta, il luogo prescelto, in base alla legge morale, il cui nome è giustizia, è il tribunale.  Luogo deputato a prendere una decisione, chiamata sentenza, in grado di individuare fra il bene ed il male, la giusta proporzione dei fatti o misfatti. Dunque si ritorna alla frase di partenza, quella della legge (non) uguale per tutti. Che è indubbiamente giusta, nella sua accezione positiva, ma spesso e solo sul piano teorico. Altrimenti e la psicologia lo dimostra, non ci sarebbe bisogno di riportarla in modo così perentorio in ogni luogo in cui si amministra la Giustizia. Anche per il modo di scriverla con caratteri fissi, stampati e sempre uguali, per non rischiare di essere fraintesa. Dunque non ci sarebbe bisogno- come dicevo- che facesse bella mostra di sé, sopra lo scranno del giudice, se fosse una frase del tutto scontata, come in teoria dovrebbe essere. L’impressione allora è che più viene scritta e meno ci si crede. Impressione. Così come, in analogia, non ci sarebbe bisogno che ognuno, quando si ritrova al cospetto della Magistratura per una accusa tutta da dimostrare, debba affermare categoricamente di aver fiducia nella giustizia.  Ma da scriversi con la maiuscola per intendere la sua amministrazione. Ebbene queste premesse, rivelano un disagio da parte dei cittadini riguardo al loro rapporto, non sempre tranquillo, con la Giustizia. Nulla di nuovo sotto il sole, ma in questi ultimi tempi che il sole si sia offuscato più del solito, ce lo dimostrano i fatti. Cominciamo con il caso Luca Palamara, dalla carriera  prestigiosa come magistrato. Prima come membro del C.S.M e poi come il più giovane presidente del A.N.M. dal maggio 2005 al marzo 2012. Trattasi dunque, come si suol dire, di un pezzo da novanta della Magistratura. Un esempio di buoni propositi e di carriera immacolata. Detto così mi rendo conto di esagerare nei toni con quell’immacolata, scritta in questo modo, che  se fosse invece con la i maiuscola, ci rimanderebbe a tutto un altro personaggio che ha poco a che fare con le questioni terrene. Ma a volte l’esagerazione serve per dimostrare il contrario. Infatti di Palamara oggi si dice quello che non si ha il coraggio di affermare a proposito della Magistratura. Il perché?  Il timore di rimanere invischiati nelle sue spire, nonostante le affermazioni ripetute fino alla nausea di  una  fiducia incondizionata.  Ma quale fiducia? Quando il carrierismo avviene per correnti ideologiche? Per conoscenze e scambi di favori? Per contatti riservati di natura  spesso omertosa, per ottenere posti al vertice, senza nessuna dimostrazione di meriti e competenze? Anzi esattamente avviene il contrario. Infatti i meriti diventano demeriti, se non si è legati a determinate correnti politiche. Che decidono gli scambi di interessi in base a convenienze partitiche, che tradiscono addirittura la loro stessa natura ideologica, quando si riducono a convenienze solo di carattere personale. Allorchè la politica diventa il mezzo e la persona il fine. Di Palamara si potrebbe dire altre cose, ma non serve a dimostrare quello che ormai si è capito e che è ormai come scandalo, si è insediato  nella considerazione popolare. E trattasi di questo italico vizio. Che la Magistratura fa paura e quindi bisogna tenerla buona, tramite le ostentate, ripetute e ossequiose dichiarazioni di fiducia. Ma c’è un secondo fatto che ha fatto precipitare del tutto  il consenso verso la Giustizia: il caso Berlusconi. Intendiamoci non voglio impancarmi a giudice e sostenere che l’ex Presidente del Consiglio non abbia o avesse  scheletri nell’armadio. Quello che voglio dire è che qualora, gli scheletri ci fossero stati, questi dovrebbero essere dimostrati con, e qui mi viene da sorridere, con giustizia giusta. Di tutte le inchieste a suo carico e parlo di Berlusconi, non entro nel merito, perché o giuste o sbagliate non ci sono motivi per pendere da una parte o dall’altra.  Ma da una parte bisogna invece stare a proposito del processo con relativa sentenza di condanna riguardante Mediaset. Cosa è successo? Che per ben dodici anni, è durato tale processo, fra accusa e difesa. E fin qui nulla da dire, se non che la Giustizia non solo è lenta ma lentissima.  E questo fatto è già di per sé una ingiustizia. Comunque, come tutti i nodi vengono al pettine, anche questo processo arriva a sentenza. Infatti il primo agosto 2013, Berlusconi viene dichiarato colpevole per frode fiscale riguardo all’ acquisizione fraudolenta di diritti Tv. Lo dichiara la sezione feriale della Corte di Cassazione, sembra riunitasi in fretta e furia per arrivare a sentenza. La condanna è di 4 anni con 3 condonati per l’indulto. Più 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, tanto che solo l’11maggio 2018 il condannato può ottenere dal Tribunale di Sorveglianza di Milano la riabilitazione e la possibilità di annullare la incandidabilità stabilita dalla legge Severino, per la durata di 6 anni.  Così riesce ad  ottenere il diritto di  ripresentarsi e correre per la Camera o il Senato. L’anno di carcere  è tramutato in uno stesso periodo di affidamento ai servizi sociali, per accudire i malati di Alzheimer presso la Sacra Famiglia di Cesano Boscone.  Chiuso il processo, fine del contenzioso. Ma il sospetto di una mala giustizia aleggia. Sospetto, dicevo. Finchè si arriva ai giorni nostri quando un relatore del Processo Mediaset, il giudice Amedeo Franco, purtroppo morto circa un anno fa, dopo un anno da quella sentenza non regge, sembra, al rimorso, e va da Berlusconi con la cenere sul capo. Cosa dice? Che Berlusconi doveva  essere condannato a prescindere, perché veniva considerato un mascalzone e che quindi la sentenza, fra  l’altro, pilotata dall’alto, era preconfezionata con malafede. Registrata questa  dichiarazione ,  questa non viene dichiarata pubblicamente. Si aspetta in base al fiuto politico di Berlusconi, da sempre campione in questo, il momento più buio della Magistratura, quello attuale. Ed ancora una volta il tutto fa brodo agisce contro la cosiddetta Mala Giustizia. Quale la conclusione? Che quando si tratta di una casta come deve essere intesa la Magistratura, la quale mai risponde dei propri errori (ricordiamo uno per tutti il caso Tortora), non si può che dar ragione al principe Antonio De Curtis in arte Totò. Che la casta, quando è casta deve essere rispettata e basta. Oppure possiamo scomodare Virgilio accompagnatore di Dante nel viaggio infernale con la sua conosciuta e ripetuta frase: vuolsi così colà dove si puote, ciò che si vuole e più non dimandare. Che tradotto vuol dire questa è la volontà di chi detiene il potere, non chiedere altro. Infatti noi pure non chiediamo altro. Abbiamo fiducia nella Magistratura e questo ci basta.

La legge non è uguale per tutti

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