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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

La morte della politica

Per chi non l’avesse ancora capito, la prova di quanto dico, lo stanno a dimostrare le dimissioni di Zingaretti. Il perché non è facile capire. Lui dice che si vergogna di chi, anche all’interno del suo partito, criticano, ma in realtà pensano solo alle poltrone. Così le poltrone diventano il vero collante della nostra politica. Delle loro comodità si perdono i confini dei partiti. Tutti le contestano e tutti se ne servono. I grillini, fra tutti, che hanno al vertice un capo detto “elevato”, il quale oggi si propone di diventare il nuovo segretario del partito, da poco orfano di Zingaretti. Cosa dice il comico teatrante? Che va messo nel logo del nuovo partito la sigla 2050 ad evidenziare quello che diventerà, con lui al vertice, il lungo corso della nuova formazione politica, destinata a giungere al potere con l’alleanza del grillismo. Comicità o follia? Ho troppa stima per l’elogio della follia di Erasmo per pendere, nel giudizio, da quest’ultima parte. Trattasi allora di pura comicità che oggi esce dai confini dello spettacolo e si arma di infinito, in quanto nella nostra attuale epoca, non esistendo il senso del limite, tutto diventa legittimo. Toccando perfino un partito, erede del vecchio Pci, che ideologicamente era ferreo quasi inscalfibile dalle provocazioni. La cui struttura organizzativa non tollerava deviazioni da quel suo modo di intendere il mondo, concepito come una vocazione individuale e soprattutto sociale, verso la conquista di un ideale di riscatto della condizione umana, senza però pensare a presupposti religiosi. Anzi contrapponendo ad essi una nuova fede, fatta tutta di riscatto della condizione umana in terra senza pensare al cielo. Zingaretti diventa allora l’esempio della crisi della politica come ideologia con tutti i suoi ideali ed in prospettiva, allargando il discorso, della decadenza di dove sta andando la società. Cominciamo con la politica. Che sia superata dall’economia e quest’ultima dalla componente finanziaria, gestita dalle grandi concentrazioni di potere economico, è un fatto. Come pure è un fatto, la sterile e fittizia contrapposizione destra e sinistra, esistente solo a parole, ma nei fatti defunta da un pezzo. Lo dimostra la sempre più marcata instabilità fra diritti e doveri, superati dall’uso generalizzato, ma non sempre consapevole, della tecnologia. Che ha creato una nuova condizione umana, per altro contraddittoria. La pretesa di vivere in base a fattori emotivi, istintivi, a loro volta basati su una condizione condizionata quasi esclusivamente, dal potere biologico nella direzione di una immortalità terrena, che nello stesso tempo è affetta dalla non ancora sopita, paura della morte. Contraddizione. Infatti la morte deve essere rimossa e per crederci basta vedere la completa scomparsa del defunto nella propria casa con tutti suoi affetti, a favore dei luoghi cosiddetti della buona morte.  Ma nello stesso tempo l’assoluto attaccamento verso una esistenza senza limiti, con poche regole e senza veri ideali se non quelli egoistici del vivere come si può, dando importanza solo al fattore economico, inteso come sublimazione dell’esistenza. IL risultato è che si legge poco e si impara altrettanto poco, considerata l’attuale condizione della scuola pubblica. La cultura ha perso di interesse a favore della tecnologia. Un conformismo di comportamenti lo dimostra. La perdita dei modi educati, la vita banalizzata nei modi e nei toni, lo stimolo da parte dei giovani verso la violenza, ed il disprezzo per la visione critica degli eventi con il trionfo del pensiero unico, indotto a sua volta, dai potere finanziari, inducono a pensare ad un modello di esistenza, dove i valori come la politica, sono in agonia, per non dire ormai in disfacimento. I talk show che crescono come i funghi nei vari programmi tv, stanno a dimostrare come l’incapacità si è trasformata in conformismo, venato però di presupponenza e spesso di arroganza. Ogni politico propone la propria ricetta, ma si avverte la banalità delle cose già dette o addirittura la falsità verso il non detto. Anche il ribellismo di alcuni, lascia presto il campo alla uniformità di gregge, come con la pandemia, nel seguire l’utilitarismo mascherato dai soliti proclami, detti più che fatti, per il bene del paese. Il vero collante di ogni questione è allora il nichilismo. Un   tempo patrimonio dei ribelli che contestavano la società nei suoi valori tradizionali, di patria, famiglia e religione ed oggi diventato il passe partout di ogni politico che si rispetti, in tema di smoderatezza in fatto di toni e linguaggio. In ogni discussione fra politici, al di là delle singole posizioni, si intravvede l’assenza di scopi che non siano quelli di conservare prerogative e prebende. In pratica sempre e solo le vituperate, a parole, poltrone. Oggi tutto si concentra sulla vaccinazione. L’unico potere che si riconosce è quello immunitario. Ma anche quest’ultimo è condizionato dagli eventi. E fra tutti gli intoppi del vivere, emerge la burocrazia. Che vive di luce propria e in questa luce si perde. Lenta e farraginosa, gestisce quel potere che la politica assalita dalla magistratura che rappresenta un altro vulnus della società, non è in grado di soddisfare. Si aspetta e si spera. In tutto questo deserto di (in)civiltà, boccheggia  affannosamente la religione, in decadenza come la cultura e la lettura, sconfitta dalla modernità progressista. La quale  era  convinta che venendo meno la fede, sarebbe  aumentato  il desiderio dell’uomo di dedicarsi alla cultura.  Altra contraddizione. Infatti nulla di tutto questo è successo. Anzi le due perdite si sono appaiate ed il risultato è il degrado civile e sociale, un tempo legato al benessere, ma  che oggi  è in netta diminuzione, con la comparsa della povertà. Ritornando alla politica e alle dimissioni di Zingaretti  con il comico  “elevato” che si propone di diventare il nuovo segretario del Pd, l’unica cosa rimasta, per esorcizzare il declino, è la tragica comicità degli eventi. Trattasi, come detto, di una comicità tragica in quanto nessuno ride. Ma quel che è peggio è che nessuno piange. Troppa fatica costa una cosa e l’altra. E noi di faticare non ne abbiamo più voglia. Preferiamo, se proprio dobbiamo morire, in attesa di una futura immortalità tecno scientifica, terminare l’avventura terrena, preferendo una morte lenta. Quella eroica non fa più per noi. Preferiamo subire, piuttosto che reagire e così il nostro potere immunitario ci segue. Sfaldandosi in attesa del vaccino che tarda a venire. Perché? Basta considerare il titolo, secondo il quale la politica è morta. 

La morte della politica

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