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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Lettera al nostro vescovo

Caro Vescovo e prima di tutto, mi scuso sia del caro, troppo confidenziale, sia di non usare l’appellativo Eccellenza. Ma non voglio farle credere che l’errore o meglio gli errori non siano voluti. Naturalmente nessun desiderio di volerla ridimensionare nei suoi attributi in fatto di titoli, sia come Vescovo , sia tanto meno per quanto riguarda la sua persona. Al contrario, mi sono così espresso per la ragione che cercherò di descrivere e che a mio avviso ho cercato di cogliere in quello che io ritengo il carattere della sua persona e della sua missione di Vescovo. E poiché lei è prossimo a lasciare come primo pastore la nostra diocesi, è questa l’occasione, che a me è sembrata arrogantemente giusta, perché io potessi esprimere i miei sentimenti a suo riguardo. Eccoci allora al punto, da me prima definito il carattere della sua natura di uomo e di vescovo che emerge in tutta evidenza dopo 17 anni di attività pastorale nella nostra città. Una attività questa, contrassegnata da due qualità principali: la umanità e l’umiltà. Dette così, al giorno d’oggi in cui l’umanità in genere è alla ricerca del successo e del potere, da raggiungere a qualsiasi costo, sembrerebbe che queste due qualità che le ho attribuito siano poca cosa. Invece queste dovrebbero rappresentare  per tutti gli uomini, specie per quelli di fede cristiana, il contrassegno per potere cercare di vivere con una vocazione alla naturale condivisione delle umane cose.  Soprattutto poi per un vescovo, quelle due virtù, diventano indispensabili  per consentire di  leggere dal punto di vista cristiano, quelle ambizioni e deviazioni che, come prima citavo, si sono insediati nell’animo umano. E che si ritrovano in un cristianesimo per certi aspetti, oggi, in affanno, causa   la pretesa di poterlo sostituire con la scienza. Anzi con la religione della scienza.  In sostanza con la convinzione che sia l’uomo artefice della propria fortuna (ed anche delle proprie infelicità) senza dover scomodare quell’Altro che sembra non più degno di interesse. O addirittura da intendersi paradossalmente come  nemico dell’umanità,  per non voler assecondare tutti gli   egoismi terreni. Dunque entriamo nel merito e parliamo per prima cosa dell’umiltà, che oggi svilita, rappresenta tuttavia il primo anelito della vera fede. La quale rifugge dall’orgoglio e dalla superbia che costituiscono da sempre il trionfo dell’egocentrismo umano. Trattasi in altri termini dell’hybris che ci ha fatto precipitare da uno stato primordiale di beatitudine, ad una condizione di vita terrena, che nonostante la schizofrenia delle ambizioni, è ancora funestata di fatiche, lutti e disgrazie.  Cui l’uomo cerca di reagire, con le sole proprie forze, attribuendo alla scienza ogni capacità di soddisfare i propri desideri fino a giungere alla visione onnipotente dell’immortalità, che secondo i nuovi sacerdoti laici, è prossima ad essere raggiunta. Detto questo, caro Vescovo ed insisto sul caro, non voglio certo permettermi, di affrontare tematiche teologiche che suonerebbero stonate di fronte alla sua preparazione e alla mia scarsa  competenza. Ho cercato solo di cogliere nella sua figura, alcuni  meriti, per i quali all’umiltà bisogna aggiungere anche l’ umanità. Che strano parlare oggi di umanità, quando l’antropologia è in fase calante e si ha l’impressione di assistere al ritorno del Leviatano di Hobbes, quello per intenderci dell’homo homini lupus. Ma fra le tante virtù cristiane, sappiamo come l’umanità costituisca un elemento fondamentale per abbattere l’io, in virtù di un noi che già nell’antica Grecia, patria della prima forma democratica, si chiamava ecclesia, intesa come assemblea popolare. Da ecclesia a Chiesa il passo, storicamente parlando, non è stato  brevissimo,  ma si è poi rivelato il vero contrassegno della nuova religione. In cui fede e logos vanno di comune accordo. Ma ritorniamo all’umanità con cui lei ha plasmato in questi anni difficili, per quanto riguarda la fede, il suo gregge. Il quale anche se forse  ridotto di numero rispetto al passato, dato i tempi, si è per così dire fortificato attraverso un comune spirito di appartenenza. Infatti è attraverso la sua azione svolta sia a livello pastorale, sia per quanto concerne la sua responsabilità gerarchica, che il popolo da lei diretto non ha mai subito incrinature e divisioni. Umanità e umiltà sono state allora le  chiavi interpretative della sua condotta,  che hanno fortificato i credenti ed hanno messo il dubbio fra i tiepidi o  ancor meglio fra gli agnostici. Tutto ciò attraverso la coerenza dei comportamenti, più ancora che mediante le parole. In tempo di pandemia, si può dire allora senza nessuna enfasi, che lei ha realizzato l’opposto di quello che i virologhi sostengono a proposito dell’immunità di gregge. Secondo la quale (teoria)se la gran parte della popolazione si ammala, i restanti non vengono contagiati. Nel suo caso invece è successo il contrario. A gregge stabile o non accresciuto, anche i non credenti hanno rischiato di essere contagiati al fine di formare un gregge più numeroso. Se devo dare dimostrazione di quanto detto, caro vescovo  per alleggerire un po’  queste riflessioni, posso, con rispetto, trovare conferma nella vecchia ed oggi superata fisiognomica, a cui spesso mi rivolgo per trovare in essa gli antefatti della moderna psicologia. E nel mio caso specifico, sia come chirurgo che come psicoterapeuta ipnotista, per riscontare delle curiose analogie che sempre a proposito delle  virtù, a lei attribuite che sono-mi ripeto- umanità ed umiltà,  queste stesse trovano conferme attraverso le opere pittoriche di un Leonardo, di un  L.B. Alberti  o di un Poussin. Insomma la storia della fisiognomica, è intrinsecamente legata oltre che alla psicologia a quella filosofica e questa a sua volta all’arte pittorica, da cui se ne ricava un ideale di bellezza che ci rimanda alla Bellezza personificata di cui la fede cristiana diventa testimonianza. Entriamo allora nel merito con l’interpretare alcuni particolari della sua figura, attraverso due caratteri. Gli occhi anzitutto. Specchio dell’anima, essi rivelano le azioni umane. Ebbene i suoi occhi caro vescovo, sono di natura mite. Si appoggiano sulle cose, con l’intenzione di capire, ma senza l’intento di indagare. Insomma nessuna curiosità istintiva, come nessuna intenzione di entrare, magari senza invito, nella personalità dell’interlocutore, con intenzione di violarla. In sintesi la discrezione diventa la caratteristica principale del suo sguardo. Dagli occhi passiamo alla bocca, formata da   labbra sottili, ben disegnate e attorniata da due pieghe, dette naso labiali, che rivelano qualche senso di preoccupazione passata, presente e forse anche futura. Una bocca che si apre molto bene ad un sorriso, aperto, comprensivo e coinvolgente attraverso la condivisione delle umane cose. Per lo stesso motivo, un sorriso rasserenante causa la sua naturalezza. Perché privo di ogni ostentazione e di ogni atteggiamento o volontà discriminante. Si potrebbe continuare a descrivere i tratti, ma basta quanto detto per confermare le precedenti virtù.   Ma ora devo rientrare in medias res. Ed   in chiusura non posso esimermi dall’esprimere il rammarico che, causa questioni d’età (i suoi anni se non sbaglio sono 77), lei debba lasciarci come vescovo. Nel recente incontro nella sala convegni della Veggioletta sul tema delle pestilenze, il Presidente Corrado Sforza Fogliani rivolgendosi al cardinale Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio, auspicava che lei potesse rimanere in carica. E rivolgendosi poi direttamente a lei, definendolo santo vescovo, le ha attribuito il merito di aver svolto il suo magistero con umanità e di non aver mai ceduto sull’aspetto dottrinale in tempi in cui su tali argomenti, ma questa è una mia interpretazione, non possiamo essere sempre soddisfatti di certe prese di posizioni, da parte  della Chiesa. Condivido questa analisi del Presidente e allora non mi resta che chiudere questa mia lettera. Chiedendo venia delle tante omissioni e di tanto ardire per essermi rivolto, con troppa confidenza, a Lei. Vale a dire a sua S.E.R. Mons. Gianni Ambrosio Vescovo di Piacenza.           

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