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Giovedì, 25 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Libertà di uccidere

Questa libertà, per alleggerirne il peso e la responsabilità, si preferisce chiamarla eutanasia. Cosa significa questa parola? La possibilità di sopprimere una vita quando questa sembra giunta ad essere incompatibile con la prosecuzione dell’esistenza. Ma qui nasce il problema. Quando questo stato di cose si verifica? Cominciamo allora a dividere il problema in base alle credenze religiose. Per chi ha fede anche la sofferenza non rappresenta un impedimento alla vita. Questa infatti è voluta da Dio e nessuno può toglierla. Anzi la sofferenza può essere uno strumento di redenzione per meritare quel premio che la fede identifica nella vita eterna. Altra situazione invece per chi non ha questi principi. Per essi la sofferenza quando è fine a se stessa non merita di essere vissuta e la morte accettata con serenità rappresenta il naturale compimento e completamento della vita.  Questo tipo di morte viene appunto chiamata da una parola greca eutanasia, col significato di rendere la morte   bella, tranquilla, naturale, accettata specie dai filosofi antichi con spirito sereno. Non è ancora finita. Per esemplificare meglio il concetto, va precisato che di eutanasia ne esistono due. Quella attiva e l’altra passiva. Nel primo caso si genera la morte attraverso un atto medico quale ad esempio una iniezione fatale e letale. Nel secondo abbandonando le cure, dette anche accanimento terapeutico, quando le stesse non sono più in grado di modificare una situazione ormai stabile, in cui i parametri vitali sono ormai compromessi in modo tale da renderli non più suscettibili di cure. Detto questo, parliamo del referendum proposto dai radicali che riguarda appunto quella che essi definiscono una manifestazione di civiltà. Trattasi, se il referendum come sembra passasse, di una proposta che riguarda l’omicidio del consenziente finora vietato dall’articolo 579 del codice penale, che punisce chiunque provochi la morte di un uomo, anche col suo consenso, con la reclusione da sei a 15 anni. Per abrogare questa legge i radicali pongono dunque il problema del consenso. Ed escludendo da questo i minori e tutti coloro considerati infermi di mente, tutte le altre persone hanno il diritto di non desiderare più di continuare a vivere. Diritto che prossimamente secondo le intenzioni, dovrebbe essere sancito per legge per cause le più disparate, su cui non è lecito  porre limiti.  In quanto la scelta di ognuno è legata ad un bene individuale imprescindibile che si chiama libertà. In questo modo si apre un vasto campo di possibilità, considerato che la stessa libertà subisce tanti condizionamenti di vario tipo. In cui rientrano situazioni psicologiche legate ai fatti che accadono nella vita e per i quali le rappresentazioni individuali di questi fatti risentono di condizionamenti reali o immaginari che possono cambiare nel tempo. In pratica oggi si pensa in un modo e domani nell’altro senza che una vera causa, se non quella mentale, sia subentrata nelle rappresentazioni della realtà. Insomma libertà e verità, quando è in causala malattia, non sempre vanno d’accordo, ma si mescolano di continuo influenzando modi di essere e conseguenti comportamenti. A parte le motivazioni psicologiche, esistono poi anche quelle fisiche per le quali non sempre è lecito stabilire stadi di gravità e tempi di durata. Ne sono una prova le guarigioni dette miracolose, in quanto sfuggono ai canoni della scienza e per le quali statisticamente se ne riconoscono una ogni 8 mila. Da queste premesse il consenso del consenziente al fine vita è quanto mai vago e si perde spesso nell’imprevedibilità delle cose umane, su cui è difficile stabilire criteri certi e verità assolute. Ma c’è qualcosa in più e riguarda la nostra società, già considerata liquida dal sociologo Zygmunt Bauman, causa il caos in cui siamo immersi ed il conseguente disorientamento delle relazioni sociali. Dove il fallimento dei rapporti relazionali sono sempre legati ad una caduta delle capacità comunicative. Dunque una società che non comunica, si trasforma in una massa di individui che pensano tutti egoisticamente al fine di soddisfare i loro problemi, considerati in funzione di interessi legati al senso ludico o di comodità e frequentemente di natura economica. In tale società diventa quindi possibile l’emarginazione di individui deboli e non conformi agli standard di tipo egoistico alla base di quel problema di fondo rappresentato, secondo il sociologo, dall’incomunicabilità. Siamo immersi allora in una nuova cultura dell’ipocrisia e dello scarto, dove l’allontanamento di ciò che vale e che dovrebbe essere alla base del consorzio civile, diventa la premessa del consenso ad uccidere quel che non piace. In altri termini una società che non ama l’altro e non compatisce il debole, può commettere qualsiasi errore. Col risultato di contrabbandare l’omicidio del consenziente con il senso di conquista civile legata al concetto di libertà al fine di prendere qualsiasi decisione. In sostanza questo è l’aspetto criticabile della proposta radicale, che si concretizza in un atto di ipocrisia. Vale a dire intendere la libertà, come arbitrio. Come soluzione nei confronti di chi si trova in un momento di difficoltà ed in quel momento non trova nessuno che lo comprenda e lo aiuti.  Con questo non voglio essere ipocrita, perché anch’io ho praticato nel mio passato ospedaliero qualche forma di eutanasia. Riguardava individui in fase terminale che ormai avevano superato ogni possibilità di cura comprese quelle palliative. Individui poco coscienti ma dilaniati da dolori fisici in quegli istanti tremendi e devastanti del loro fine vita. Controllare il dolore diventava la sola e ultima possibilità. Abbondare in antidolorifici ed anestetici diventava l’unico rimedio. Così facendo si controllava il dolore fisico e per lo stato di obnubilamento anche quello psicologico, ma nello stesso tempo, si riducevano le poche ore a disposizione di quelle vite.  Se questa sia stata una forma di eutanasia, ebbene io la rivendico aggiungendo il termine caritatevole. Che se per chi è credente, può essere frainteso come un atto di sopruso sanitario, va precisato come avesse un significato opposto alla eutanasia radicale. In sintesi, opponeva la carità al posto dello scarto. E questo è tutto. 

Libertà di uccidere

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