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A cura di Carlo Giarelli

Mattarella e Checco Zalone, «Due comunicatori uguali e contrari»

"Un paragone forse irriverente, ma entrambi hanno comunicato e comunicano ad un grandissimo pubblico e denunciano in maniera diversa le cose che non vanno in questo Paese"

Sì, può essere anche irriverente (ma esiste oggi, dove tutto è permesso, qualcosa di irriverente?) mettere insieme per quanto riguarda la comunicazione il Presidente Mattarella e un comico come Zalone, ma l’abbinamento ha una sua giustificazione. Entrambi infatti hanno comunicato e comunicano ad un grandissimo pubblico. Il primo, intendo il Presidente, addirittura – si dice - a tutti gli italiani ( ma quanti secondo le statistiche in percentuale?) in occasione del tradizionale discorso di San Silvestro per gli auguri del nuovo anno. Il secondo, il comico, oggi forse il  più amato in Italia, per essersi rivolto ad una platea di cine spettatori in continua crescita. Tanto che dopo le prime due proiezioni del film Quo Vado, un  italiano su 6 è già stato coinvolto dal messaggio cinematografico. Per cui non è azzardato pensare, che, molti italiani, alla fine verranno coinvolti dal comico, quasi a bilanciare le due statistiche. Fin qui le cose uguali. Altro invece il tipo di comunicazione di natura completamente diversa.  Anzi contraria. E mi riferisco non al mezzo, ma ai contenuti. Entriamo nel merito. Un po’ ingessato il messaggio del Presidente anche se gli va riconosciuto, una volta tanto a differenza dei suoi predecessori, causa forse  una non perfetta disinvoltura davanti alla telecamera, di non aver parlato ex cathedra. Vale a dire non mettendosi a mezzobusto dietro la solita scrivania, tipo Luigi XVI con tanto di intarsi e bronzi dorati, ma seduto su una semplice poltrona in un ambiente altrettanto comune, come può essere quello di una casa borghese. Dunque ha prevalso il tono sottotraccia, di tipo colloquiale senza fronzoli e soprattutto privo diquella prosopopea, tipo Oscar Luigi Scalfaro per intenderci, che non facevano altro che generare una naturale avversionefra gli ascoltatori. Col risultato di aumentare la distanza già esistente in termini di sfiducia,fra il popolo suddito e il Palazzo. Il ché spiega in abbondanza la protesta dell’antipolitica alla prova elettorale, attraverso  la disaffezione della gente  per le urne o le schede bianche.

Dunque si diceva del tono apparentemente dimesso, ma nello stesso tempo semplice e (anche per questo) chiaro nei vari passaggi. Cosa ha detto il Presidente? Ha parlato un po’ di tutto toccando qua e là i temi che oggi affliggono il paese. La mancanza di lavoro, soprattutto per i giovani, l’immigrazione, fenomeno  questo  di tipo mondiale, che egli auspica possa svolgersi nella legalità (ma non era questo un tema da sempre sostenuto dalla Lega?) ed a proposito sempre della legalità ,la lotta alle mafie (dette  al plurale). Quindi  la necessità di contrastare il fondamentalismo integralista (senza alcun riferimento alla matrice islamica) ed infine la condanna dell’evasione fiscale che grava notevolmente sui conti pubblici creando di fatto una lacerazione nel tessuto sociale. Al punto che - questa la Sua conclusione - se tutti pagassero le tasse, ogni contribuente onesto potrebbe pagare di meno. Eh no, caro Presidente qui si sbaglia. La questione non è proprio tale da potersi  risolvere come un problemino da aritmetica elementare. Qui il male non è solo dei contribuenti disonesti, che pur esistono, ma della macchina dello Stato. Farraginosa e talmente elefantiaca, che contando sugli infiniti ingranaggi della sua impalcatura burocratica,  si comporta come bestia famelica che “carga nella sua magrezza di tutte brame” non si accontenta mai di niente. Anzi quanto più riceve, tanto più diventa famelica e le genti, continuando con Dante, le fa viver (più o meno tutte) grame. 

Ecco allora il punto Signor presidente. Nel suo discorso, c’è, è vero, un invito ad amare maggiormente il proprio paese da parte di tutti, attraverso una maggiore consapevolezza dei propri doveri, ma manca  nel suo discorso, l’affondo verso i veri mali che affliggono la nostra società. A  cominciare dal governo che sbandiera successi inesistenti. Che dice a proposito delle tasse (il vero male) di ridurle a parole senza poi essere in grado di  attuare tali propositi. Di praticare una spendingreview senza il coraggio di abolire i privilegi e le morte gore dell’assistenzialismo ingiustificato. E poi, diciamocela tutta, manca nel discorso, ogni riferimento di condanna, ma mi sarei accontentato anche di perplessità, verso un governo che sta in piedi attraverso un moto di Palazzo, voluto dall’ex Presidente Napolitano (ricordiamo quello di Monti e Letta) a sua volta spinto, attraverso la politica pilotata degli spread, da chi oggi comanda in Europa ed in Italia, la signora Merkel. Infine, niente dal Suo discorso è trapelato sul Parlamento che al posto di discutere (anzi parlare come da significato etimologico) preferisce il silenzio votando disegni di legge già preconfezionati e rigidamente bloccati. Ecco allora perché il Suo invito finale, un po’ scontato, caro Presidente, di amare  un po’ più l’ Italia , per quanto da Lei espresso  in sicura  buona fede, rischia di cadere nel  luogo comune  del già visto e rivisto.

Detto questo, passo a Zalone detto Checco. Anche il suo film Quo Vado , che parte già bene in quanto azzeccato nel titolo, descrive e denuncia in modo esilarante i vecchi e sempre attuali difetti dello stile italiano ad affrontare la vita, pubblica e privata. In particolare il tema in questione è il posto fisso, antica ambizione di un popolo sottomesso allo Stato che ambisce a sopravvivere  utilizzando proprio gli stessi coercitivi sistemi dello Stato padrone. I cosiddetti privilegi che se interessano primieramente i suoi esponenti di vertice, sono poi obbligati a ricadere a cascata anche sui suoi ultimi rappresentanti. Quelli che ambiscono a sistemarsi in un ufficio, purché sia, a diventare per la vita servitori di una burocrazia inutile e nemica, onde far finta di lavorare e  non rischiare mai il licenziamento. Anzi la sicurezza del posto fisso, sta  proprio nel progredire nella scala gerarchica,  per anzianità e mai per merito. Parola questa da considerarsi in sospetto  di deviazionismo, diribellionee quindi da condannare. Da questo punto di vista la Prima Repubblica, che esprimeva al meglio, questo concetto paternalistico di impiego,  non è mai finita e neppure mai iniziata se consideriamo che  dalle origini dello Stato Unitario le cose stanno così.

Anzi ad essere precisi è dalla decadenza dell’impero Romano che la burocrazia del fare troppo per non fare niente, ha certificato la sua fine (parlo dell’impero). Ma ritornando al film, il cui tema era già stato oggetto delle molte interpretazioni da parte del grande Totò, compare un argomento di attualità a dimostrazione che lo stato dei difetti italici non è destinato a cambiare. Il riferimento riguarda la recente riforma della Province. Eliminate? E chi lo sa? Anzi in Italia c’è sempre un escamotage.  Una soluzione si trova sempre, legata spesso alla modificazione del  linguaggio, in chiave più o meno semantica.  Infatti basta  chiamarle aree metropolitane e gli effetti non cambiano. O cambiano talmente poco che il posto fisso non si  mette mai in discussione se non per qualche sprovveduto, troppo ingenuo o troppo illuso . E’ questo il caso del nostro Zalone che per non rinunciare al posto è disposto atutto, aiutato in questo da un politico mestierante, vera anima (nera?) dello Stato burocrate e burocratizzato.

Arriviamo al dunque. Il film con gustosa e a volte irresistibile ironia, causa la carica di simpatia di un uomo mai sopra le righe anzi un tantino sotto,  si rivolge a tutti perché in esso ognuno si identifica, causa la radicata  e inveterata abitudine datata di secoli, già espressa sull’origine  della decadenza dell’impero romano. Cosicché gli effetti comici  trovano la loro più autentica espressione di  incontenibile ilarità in un apparente paradosso. Vale a dire nella apparente contraddizione fra la scherzosa condanna del  vizio  e nello stesso tempo la sua  inconscia  accettazioneda parte degli italiani, abituati a Franza o Spagna purché se magna. Il finale comunque  dovrebbe essere di condanna senza appello  in riferimento agli  usi e costumi degli altri paesi, in particolare di quelli nordici. E qui , gli esterni sono veramente gustosi spaziando dal polo nord al caldo africano. E proprio il paragone con questi paesi considerati più civili del nostro, alla lunga fa emergere  anche da parte loro, difetti non sempre preferibili ai nostri. Cosìcché, raschiando sul fondo del barile, con la rinuncia al posto fisso, si giunge alla fine ad  intravvedere uno spiraglio di stima per il nostro paese. Che sarà quello che sarà, ma vuoi per  quel po’ di umanità che si nasconde dietro ogni scartoffia o nelle pieghe di ogni tormentone  burocratico, vuoi per l’arte di arrangiarsi, dietro tante nubi compare  un timido spiraglio di sole che induce a  credere o a far illudere che qualcosa nel futuro possa cambiare in meglio. Ecco allora la differenza  delle due comunicazioni, fra il filme il discorso del Presidente. Entrambi denunciano le cose che non vanno, ma in un caso (il film) si ride e là, se non si piange, si resta indifferenti. E se, per continuare con il linguaggio cinematografico, il riso può anche essere amaro, alla fine la stessa vis comica, può alimentare più speranza di un discorso, troppo scontato, troppo generico e troppo buonista. In sostanza troppo grigio, perché di questo colore appare il nostro Presidente.

Mattarella e Checco Zalone, «Due comunicatori uguali e contrari»

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